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Intervista

Barile + Gheesa: l’intervista

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Ciao, benvenuti ne LaCasaDelRap. Chi sono Barile + Gheesa? Presentatevi per chi ancora non vi conoscesse.
B: Barile + Gheesa sono due amici che amano sperimentare. Spesso non riusciamo nemmeno noi a catalogarci, sicuramente facciamo ciò che ci piace a prescindere dalla moda o dal mercato del momento. Siamo cresciuti a pane e musica e non è mai stato difficile rinunciare a qualcosa per farla come vogliamo farla. Poi si, siamo anche visti come rappusi, facciamo le rime :) Ci conosciamo da più di dieci anni e il nostro modo di fare è solo migliorato: per fortuna non si cresce solo di statura.

Qual è stato l’iter realizzativo che ha portato alla gestazione delle 10 tracce che compongono “Terzo Tempo”? Generalmente, da cosa traete ispirazione?
G: Ci siamo passati infiniti fine settimana a casa mia e nel mio studio. Quando non si produce, generalmente si mangia e si parla di quanto questo sia un paese mediocre che spinge mediocrità. Poi, sappiamo tutti che il rap è diventato di massa e non c’è bisogno che io racconti del perché questa cosa estremamente positiva sia successa. Dati questi due elementi, io direi che è giusto che il rap sia autoreferenziale, che sia un strumento di sfogo e che sia anche ironico/satirico, però se il 99% di roba dev’essere “io sono il king”, “mi piango addosso, guardami” o “si credono tutti king, si piangono tutti addosso”, allora noi non ci stiamo più. Quindi quello che ci ispira è non essere quel 99% e cercare di portare le cose oltre la mediocrità (che non è comune solo nel rap). Noi non facciamo rap positivo, facciamo rap propositivo.

Quali sono, se ci sono, le differenze più significative tra “Terzo Tempo” e il vostro primo lavoro ufficiale “Riad”? A parte l’aver sostituito la “&” con il “+” nel nome, naturalmente.
G: Io non sottovaluterei la storia del nome, d’altronde si sa che se passi dai controlli di sicurezza di un aeroporto chiamandoti Mohammad non ricevi esattamente lo stesso trattamento di chi si chiama Mario o Giuseppe. La differenza sostanziale è che “Terzo Tempo” è stato realizzato lavorando nella stessa stanza piena di bugnato, “Riad” solo a tratti.
B: Sicuramente in “Terzo Tempo” c’è più consapevolezza. Dicevo di recente che “Riad” è stata la nostra iscrizione alla scuola alberghiera, Terzo Tempo è il nostro primo piatto pronto per essere servito.

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A questo progetto hanno collaborato tante persone: Marcolizzo, Shorty, Mattak, FunkyNano, Kiave, Turi e Medda. Come sono nate queste collaborazioni?
Tutte le collaborazioni sono state concesse senza minacce e/o pagamenti vari (giuriamo eheh). A parte gli scherzi, in un modo o nell’altro, abbiamo incrociato la nostra musica con quella degli artisti che hai nominato sopra e tutto è nato naturalmente. Con Turi, ad esempio, dopo aver aperto un suo live ci siamo conosciuti meglio e da li è nato tutto. Con Medda, grazie a Ralis che è un amico in comune. Kiave è stato davvero disponibilissimo: lui, per esempio, aveva già collaborato con Gheesa per progetti che prenderanno vita tra pochissimo. Mattak e Funky Nano non li conoscevamo, ma è bastato poco per capire le doti del collettivo Poche Spanne. Shorty musicalmente è davvero forte, spazia molto ed averlo a bordo per noi è un onore. Marcolizzo è Marcolizzo: c’era in “Riad”, c’è in “Terzo Tempo” e speriamo ci sarà anche nel prossimo disco. Siamo soci senza saperlo.

Sul disco, però, c’è anche un’altra persona che si esibisce nel rapping oltre ai sopra citati mc’s. Sto parlando di Gheesa che, in “Ti Guardano Di + Solo Quando Tu Ti Superi”, lo troviamo nella doppia veste di rapper/produttore. Cosa ti ha spinto a voler fare una strofa?
G: In realtà di ritornelli e back vocals miei, qua e là, nel disco ce ne sono parecchi. Per quanto riguarda le strofe posso dirti che rappare mi piace e che lo farei pure più spesso, però lavorare con Barile mi porta a concentrarmi seriamente coi beats. Insomma è uno stimolo per me e, diciamocela tutta: visto che ognuno mette la sua parte, anche noi abbiamo una sana competizione interna (si, anche tra beatmaker ed emcee): quando a uno dei due non piace un beat o una strofa dell’altro lo si dice. Il rap sostanzialmente ha affinità con parecchi altri generi musicali dove la competizione, la voglia di sbalordire e di superare se stessi sono sotto gli occhi di tutti. Parla con un pianista jazz o con un batterista e ti racconteranno delle finezze compositive di Ahmad Jamal e della velocità e del groove di Jojo Mayer e di quanto vorrebbero essere loro o meglio di loro! Io mi concentro sui beats perché è la cosa che mi piace di più, però sti rapper babbei che dicono “fra” o “frate” ogni tre, quattro parole col flow da caso logopedico (che parlano pure di quanto spaccano!), ogni tanto uno schiaffetto correttivo se lo meritano.

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Da “Terzo Tempo”, sono già stati estratti 3 video: quello di “One Way”, “2ne Way” e “Ti Guardano Di + Solo Quando Tu Ti Superi”. Avete  in programma di fare altri video?
B: A dire la verità si, ma crediamo sia inopportuno parlare di qualcosa senza avere in mano nulla di concreto, quindi non ci dilunghiamo più di tanto: scusa, non siamo cattivi, giuro :)

In “Wah Gwaan”, Barile dice: “rivoglio il b-boy fiero che mi sviene sopra il palco”. La domanda sorge spontanea: cosa ne pensate della scena italiana hip-hop odierna? E invece della scena siciliana?
B: Io penso che se dieci anni fa rispettavo dieci rapper, oggi ne rispetto undici. Cioè, non è cambiato molto. In pratica la fetta di carne è sempre quella, il contorno invece è cresciuto a dismisura, lo stesso per la Sicilia. “La scena” è la scena, non saranno quattro ragazzini pieni di tattoo a farmi pensare qualcosa di diverso. C’eravamo, ci siamo e ci saremo. Non siamo di passaggio, ma di passeggeri ne abbiamo visti tantissimi, ultimamente. Ridateci i b-boy fieri.

Facendo un salto indietro nel tempo: come siete entrati in contatto con la cultura hip-hop? Qual è la prima disciplina che vi ha colpito?
G: Fine anni novanta, il beatmaking subito. Potevo comporre la musica che mi piaceva: una figata! Poi ho avuto la fortuna di avere e conoscere amici che non avevano minimamente il senso della realtà, una mezza dozzina di scappati di casa a cui non fregava nulla del fatto che l’hip hop fosse un fenomeno metropolitano e che vivessero in un paesino disperso della Sicilia occidentale dove non succedeva mai una minchia. Qualche tempo fa, uno di questi miei amici c’ha scritto anche una tesi di antropologia su tutto questo, il cui titolo era qualcosa tipo “Un fenomeno che parte da Harlem e arriva a Santu Rocco”, che è il quartiere prossimo al mio. Insomma non era Milano, né Bologna, né Torino, ma neanche Palermo o Catania :)
B: Io svuotavo i negozi di ferramenta e riempivo lo zainetto di spray, mani sporche e grossi sorrisi: che tempi! Poi ho conosciuto il freestyle e mi sono “rovinato” del tutto. So solo che se potessi tornare indietro lo rifarei altre mille volte!

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Progetti per il futuro?
G: Che “La casa del rap” ci inserisca in testa alla classifica di miglior disco del 2015 e un grammy e poi continuare a fare la musica che piace a me.
B: Un terzo disco con Gheesa è già nei miei progetti, ma non ditelo a lui!

L’intervista si conclude qui, grazie per la chiacchierata. Ma prima di salutarci, ricordateci com’Ë possibile ascoltare “Terzo Tempo” e come restare sempre aggiornati sulle vostre fatiche musicali.
G: Grazie a voi dello spazio! Su www.couscousclap.com lo scarichi gratuitamente. A brevissimo saranno disponibili anche le copie fisiche, restate aggiornati sui nostri social oppure citofona a casa di Barile e chiedi di un posto letto: https://www.facebook.com/BARILEeGHEESAOfficial
B: Grazie La Casa del Rap, mi sono sentito a casa :) Ciao ragazzi!

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Rapper, cantante, speaker radiofonico, sneakerhead e streetwear addicted, detentore della verità assoluta. Il tuo idolo vorrebbe essere me.
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