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ReportIntervista

Willie Peyote

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Ciao internet,
Oggi, prima di lasciarvi all’intervista con il buon Willie Peyote vi racconterò della serata durante la quale ho avuto modo di incontrarlo, sarò breve e conciso, fidatevi -anche perché tante scelte non ne avete-.
Insomma, cominciamo:
Siamo al Locomotiv, Bologna, Italia: in questa prima parte (La seconda sarà con intervista e report dedicato agli Assalti Frontali) mi concentrerò sulla performance del Giuovine Nichilista e del suo fido compagno Frank Sativa.
Parto subito dicendo che mi è piaciuta, nonostante vi sia stata una scarsa affluenza e quasi tutto il pubblico sia stato freddino, un’accoglienza decisamente inaspettata per una formazione che a Bologna ha suonato molte volte riscontrando sempre un ottimo feedback!
Ma andiamo con ordine:
Prima del Willie, infatti, ci godiamo la presentazione di “Pensieri e Parole” del bolognese Motivo. A seguire, un piccolo cameo di Lince -ragazzo torinese: Milizia Postatomica- con il suo Antitesi Mixtape. Poi, finalmente è ora del duo grazie al quale state leggendo l’articolo.
In quella che è stata un’ora circa di live, la scaletta comprendeva pezzi delle ultime fatiche del Peyote & compari: “ll manuale del giovane nichilista“, “non è il mio genere il genere umano” e “Funk Shui Project”. E così è iniziata la sfilata tra l’hardcore-soul di “N together now” (TOMA!), l’invito all’interessarsi alla geo-politica, la dance di “Fresh“, il bellissimo momento di raccoglimento avuto con “Dettagli” (perché sì, la Tristezza piace e sì, la Tristezza può essere cool) e  all’1312 un gruppo ha innalzato -proudly- un cartellone a tema con il pezzo. Notevole. Lo show si conclude, a grande richiesta dei fan con un “Friggi le polpette nella merda (Cit.)” che finalmente riceve il calore che merita.
Ho avuto modo, inoltre, di apprezzare il buon Frank Sativa che non è un DJ né tantomeno si limita a star lì a “mettere le basi”: ogni sua strumentale viene infatti rigorosamente risuonata live e così il tutto si arricchisce, si amplia e ci si diverte a far musica e ad ascoltarla, la Musica, raghi. Ogni tanto anche il rap se la può permettere, per fortuna.
Ringrazio Annarella aka Anna Pannocchia per avermi accompagnato, il DiamondStaffBooking per la disponibilità e la cortesia dimostrata nei nostri confronti, oltre che gli Artisti in questione.

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Ciao Willie! Benvenuto alla Casa del Rap! Presentati per chi non ti conoscesse, e dicci: come ti sei avvicinato al rap? In fondo, sembri più hipster che rapper!
Ah si comincia già con i dissing? (ride)
No beh, l’hai detto tu!
Sì, io mi prendo in giro da solo! Intanto ciao! Io sono WIllie Peyote, ho iniziato a fare il rap perché mi piaceva e ho conosciuto un beatmaker quando facevo le superiori. Fino ad allora suonavo altri generi e per questo sembro hipster. Ero un punkettone, quindi sembrare proprio rappuso sembrava diffiicile. Però se dico che non sono un rapper si offendono.
Fai le rime?
Faccio le rime, quindi sono ufficialmente un rapper!

Partiamo dall’attualità: ho visto che ultimamente ti hanno chiamato a Vevo DSCVR. Com’è andata l’esperienza? Come mai ti hanno chiamato?
Beh, guarda, è strano perché poi io sono il primo e unico -attualmente- rapper tirato in mezzo nel progetto Vevo DSCVR in tutta Europa (Perché credo sia una roba europea, iniziata in Gran Bretagna lanciando Hozier, quello di Take me to Church). E’ stato molto divertente perché lo studio era una figata, tutto pettinato. E’ stato un bel momento soprattutto perché sono riuscito ad andare con Taiyo (aka Hyst -ndr), con Frank (Sativa -ndr) e anche con Paolo Parpaglione al sax. Era la prima volta che facevamo “Dettagli” live, io non l’avevo mai fatta l’abbiamo provata per l’occasione!

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Ultimamente sono usciti due lavori tuoi -uno solista e uno con i Funk Shui Project-, stai già lavorando al prossimo?
Sì!
E vuoi dirci qualcosa?
Posso dire che sarà pronto prestissimo del materiale nuovo, in che forma, che misura e quando è un po’ presto per dirlo. Poi ci piacciono le sorprese! Comunque, così come Dettagli è arrivata a sorpresa, così ne arriveranno altre -mi auguro-. Odio i social e creare/preparare hype mi sta sul cazzo. In generale sì, sto lavorando a una roba nuova da solo, poi con i Funk Shui Project ci occupiamo molto dell’approccio live visto che è nostro interesse girare un po’ e poi a breve ci metteremo nuovamente in studio con la nuova formazione per fare il disco nuovo

Tornando sui due dischi, a livello di scrittura, quali sono state le differenze? Penso tu ci abbia lavorato contemporaneamente, o quasi. Quindi come facevi a stabilire se il pezzo stava in un disco piuttosto che in un altro?
In realtà sì, ci ho lavorato contemporaneamente. Il discrimine lo fa la base. Io scrivo in base a quello che mi viene sottoposto a livello di beat. Poi a livello di argomenti non c’è tutta questa disparità. Io parlo di odio, misantropia e presammale in entrambi i dischi. Nel mio sono più libero di dire che cazzo voglio io, nel disco dei Funk Shui parlo a nome del gruppo e quindi avevano voce in capitolo anche sui testi. Non mi cambiavano le rime ma, per esempio, un anneddoto: all’inizio la terza strofa di Soulful me l’avevano cassata perché iniziare con “Vaffanculo tu e gli Intillimani” per loro che suonano in un gruppo (I Poor Man Style) che hanno avuto uno degli Inti-llimani a fargli la copertina del disco pareva brutto, capisci? Poi alla fine abbiam deciso di metterle tutte e due. Ho scritto la seconda strofa al posto della terza e poi l’abbiam tenute tutte. Non entravo nell’ottica dello scrivere una cosa per i Funk Shui e una cosa da solo. Scrivo e poi in base al beat viene fuori l’argomento.

Come hai raccolto i beat per il tuo disco da solo?
Ci sono due produttori dentro, che sono poi quelli con cui lavoro: Kavah da sempre, è il famoso beatmaker di cui dicevo prima. Il manuale del giovane nichilista è prodotto tutto praticamente da lui, tranne due eccezioni. Nel frattempo ho conosciuto Frank -che viene con me live- e si è occupato dei beat che non sono di Kavah. Come li ho collezionati i beat? Parlandogli e dicendogli: “Ragazzi, dobbiamo fare questo, questo e quest’altro. Facciamolo!”

Ultimamente tu hai vinto un premio per come scrivi. Ecco, come scrivi?
Una volta potevo vantarmi di dire che non scrivevo. Il Manuale del giovane nichilista è stato concepito tutto a mente. Adesso sono invecchiato e quindi qualcosa scrivo, per essere più veloce, in realtà. Una volta consegnavo le pizze in macchina e scrivevo i pezzi mentre guidavo, me li ricordavo. Invece adesso no. La vita sedentaria mi ha rovinato. Però “come scrivo?” Boh. Come cazzo si scrive? Ti viene in mente una roba e la scrivi. Non saprei dirti, il processo è complicato perché per tutti è così naturale ma non lo è per tutti, a quanto pare. A me viene da scrivere e scrivo.

Il nichilismo da dove arriva allora?
Il nichilismo è una accusa che mi è stata rivolta negli anni, da quando ero adolescente. Sono un po’ preso male, mi fa tutto schifo. Hai presente la puntata in cui a Stan viene la sindrome di hamburger che lui mette su i dischi e sente solo scorregge? Io sono così
E’ tipo quella in cui il vecchio cerca di sentire la musica da giovani?
Sì, ma poi ho letto che è naturale che la musica che ti rimane impressa è quella che ascolti nell’età adolescenziale, ed è naturale, per un discorso anche neurologico, che a 60 anni non capirai proprio quello che ascoltano i 16enni tuoi contemporanei. E’ proprio un problema di affinità con quello a cui sei affezionato e a cui sei abituato. E quindi, io non capivo niente però mi faceva schifo tutto e allora mi accusavano di essere nichilista perché pare che il nichilismo sia la rinuncia e la negazione di tutti i valori. Quello l’ho studiato dopo. Quando me l’han detto non sapevo neanche che cazzo fosse.

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L’ultima volta che sei venuto a Bologna -ed io ti ho anche aiutato a scendere dal palco-…
…Detta così sembra che non sappia deambulare! (ride)
No vabbè, c’era il palco dell’Arterìa e tu sei saltato giù
Ah, l’Arterìa! Fino ad oggi ho suonato sempre e solo in Arterìa, vittima di una campagna mediatica vergognosa ed io mi schiero -chiaramente- dalla parte di chi dice che non esiste parlare di apartheid in Arterìa. Non esiste neanche parlare di razzismo o di discriminazione a nessun livello. Essere lasciati fuori non è discriminazione. Io voglio sentire se davvero il buttafuori ha detto: “tu rimani fuori perché sei nero”. Allora, se l’ha detto c’è un problema di razzismo. Se uno rimane fuori per altri motivi, scrivere “apartheid in discoteca” è veramente qualcosa di folle e, se fossi stato Mimmo (il proprietario del locale -ndr), avrei anche querelato la giornalista. Se la storia continua, secondo me, è anche passibile di denuncia. Non si può accusare un locale di commettere un reato del genere. Scusami, ma ci tenevo a dirla questa cosa, perché i ragazzi del collettivo io li conosco bene e il disco uscì -quando uscì in freedownload- con il loro patrocinio. Sono molto vicino ai ragazzi del collettivo e mi sembrava giusto dire la mia al riguardo. Tutto lì. Poi io lo dico da fuori perché non sono di Bologna, ma ultimamente ci sono stato spesso e qualcosina ho visto.

Insomma, l’ultima volta che sei venuto a Bologna hai detto: “io ho lasciato il call center”. In qualche modo la tua scrittura ne risente?
La mia scrittura ed il mio cervello hanno risentito dei cinque anni del call center, di che cazzo parliamo! (ride) Stare senza quello non può peggiorarmi, magari ricomincerò anche a leggere, ad ascoltare della musica, magari ritornerò a fare una vita normale. E’ un lavoro alienante e fa male al cervello. Io, per fortuna, non sono sempre stato al telefono sennò 5 anni non avrei retto. Comunque è alienante, ti rovina. E’ la fabbrica dei nostri giorni, solo che è alienante in un modo che attacca direttamente il cervello, perché non devi fare un’azione ripetuta come al tornio ma dire una cosa tutto il giorno. Dire. All’iniizo ho risposto al citofono dicendo: “Enel servizio elettrico”. Non ne risentirà sicuramente la situazione artistica, non può che migliorare -per quanto mi abbia ispirato eh-. Vedi un sacco di roba e hai a che fare con un sacco di persone. Io, ad esempio, ho scoperto che non è così vero che le giovani coppie non mettono al mondo dei figli. Al call center era pieno di ragazzi di 20 anni con dei figli. Io ero abituato alla situazione universitaria, fino a quel punto, e c’era gente un po’ benestante che fino a trent’anni figli non ne mette al mondo. Invece al call center vedi anche strati sociali “più bassi”. In realtà, in certe situazioni, ci sono persone che a 23 anni di bambini ne ha già 3. Ho visto tanti aspetti dell’umanità e questo ha accresciuto anche il mio odio. Parlare con gente che chiama per le bollette dell’Enel (perché lavoravo per il servizio clienti dell’Enel, vabbè non l’ho mai detto), gente tendenzialmente incazzata e poi con un livello di ignoranza talmente alto da avermi fatto capire che l’Italia è un Paese profondomanete ignorante, sotto tutti i punti di vista. Ignorante perché non ha potuto né voluto studiare o informarsi. Io poi sono polemico, quindi litigavo con la gente, però mi ha insegnato diverse sfaccettature che non conoscevo da così vicino. La vita è una merda, la gente è una merda, per capirci.
E poi si muore
Sì, poi si muore, ma nel frattempo ti tocca sucarti un sacco di merda.

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Che intendi per hardcore? E’ uno stile? Un’attitudine?
Secondo me, hardcore è un’attitudine. Ho visto discussioni, per esempio sotto il video di Glik, su cos’è l’hardcore: la voce giusta, la faccia giusta, il vestito giusto, le basi giuste. Sono minchiate, per come lo vedo io. Vuol dire che allora i dischi hardcore devono suonare con la stessa chitarra, con la stessa distorsione, una minchiata. Hardcore non è quello, hardcore è un’attitudine nell’affrontare gli argomenti. La sincerità è assolutamente hardcore, in un paese di ipocriti come il nostro. La verità è sempre hardcore, non conta con che voce lo dici.

In un pezzo del Manuale del Giovane Nichilista citi “Santa Maradona”. Come ti è venuto? Come vivi la tua città?
Quel film è uno dei miei film preferiti e ha solo un problema: quei ragazzi vivono a Torino, sono torinesi e vanno a tifare la squadra sbagliata allo stadio. Per il resto è tutto giustissimo quel film, ne conosco a memoria le battute -più di Bart che di Andrea-. Libero De Rienzo (Bart) è il mio attore preferito dopo che ha fatto quel film ed è l’uomo-accappatoio, un genio. Quel film mi ha, in qualche modo, rappresentato e ancora rappresenta quel che sono adesso, in realtà. Adesso sono un trentenne in quelle condizioni. All’epoca ero poco più che ventenne e vedevo questa cosa credendo mi rappresentasse. Che rapporto ho con la città? Bello, come si ha con qualcuno con cui si conosce da sempre, insomma. Non va sempre tutto bene, non è sempre tutto bello però ci si conosce, ci si capisce.

Ricordaci -anche se tu non fai hype- dove seguirti e sentire la tua musica!
Ma un conto è promuovere gli eventi, un conto è creare hype facendo foto, avere un profilo instagram in cui metti solo foto di te con degli sfondi a cazzo per far vedere che esisti! Porco Giuda, lo sappiamo che esisti e non ce ne fotte un cazzo delle foto. Quello è il modo sbagliato di creare hype, per me. Le date si trovano sulle pagine artista, ma gireremo ancora un po’. Come ti dicevo, avevo intenzione di fermarmi perché poi usciranno i lavori nuovi. Dove saranno disponibili? Eh, sorpresa. Tanto saranno tutti online, quindi di che cazzo parliamo!

Conosci meglio

Scrivo di rap e studio filosofia. Nel tempo libero mangio la carbonara.
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