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Recensione

Wale – The Album About Nothing

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Wale all’interno della sua etichetta, la MMG, forse è l’unico rapper che ha un atteggiamento meno gangster, ma non per questo manca di personalità. Si percepisce in questo disco la direzione artistica completa da parte dell’artista: la scelta dei beat, il non voler chiamare produttori del momento, elementi che delineano la volontà di fare un album non con l’obiettivo commerciale, ma di raccontarsi.
La presenza di Jerry Seinfeld negli skit all’interno delle canzoni vuole dare una parvenza di conversazione, ma in effetti risulta un qualche cosa in più che non dà alcun valore aggiunto al disco, forse sottolineano il messaggio di certe canzoni: se non ci fossero stati non se ne sarebbe sentita la mancanza.
Il disco inizia con “The Intro about Nothing”, ed è perfetto per iniziare la conversazione con Wale. L’atmosfera si fa colloquiale tramite un uso sapiente di un piano ed un semplice snap, verso la fine il suono diventa più corposo con l’aggiunta della batteria, e Wale parla di diversi argomenti in maniera fugace, questo solo per anticiparci come il disco toccherà diverse tematiche.
Nonostante stia vivendo una parabola discendente del suo successo rispetto all’esordio, è certamente un buon rappresentante della nuova generazione e in “The Success” da buon rapper, elogia le proprie capacità di MC. La base ricorda molto lo stile del Just Blaze di Jay Z, peccato però che tenda un po a essere ripetitiva. Ma questo successo porta dei cambiamenti nella persona che lo vive, ed influisce anche sui rapporti che si hanno con le persone, ecco che questo senso di precarietà viene rappato in “The Glass Egg” facendone una canzone molto piacevole e melodica, complice l’uso del flow simile a quello della hit “Tell Me” dei The Groove. Ho trovato particolarmente azzeccato l’uso della metafora del palloncino in “Helium Baloon”. Il successo porta a gonfiare il palloncino (lui stesso) ma molti cercano di trattenerlo a terra, presumibilmente per invidia, peccato che la base risulti un po’ ruvida, poco fluida e rende la canzone forse la meno melodica dell’intero disco.
La fama e la notorietà, portano spesso ad entrare in contatto con più donne (gold digger), ed ecco una delle canzoni più belle del disco: “Girls on Drugs”. Parla di come molte ragazze al giorno d’oggi siano assuefatte da droghe, oltre ad essere una sorta di storytelling, non c’è un vero ammonimento, ma fa percepire come (a differenza di chi mette la droga nel bicchiere per approfittare di lei) non gli piaccia questo tipo di comportamento.
 
“I’m trying to get me a real woman to take out”
 
Wale non si sofferma solamente sul decadimento dei costumi della donna, ma rappa anche della loro bellezza, usando la metafora del fiore: “The Bloom”. Molto frizzante il ritornello, e l’intera canzone evoca atmosfere primaverili ed estive ma soprattutto bisogna riconoscere la bravura del rapper di Washington nel valorizzare molto bene con le parole questa analogia. Ci sono vari tipi di relazioni che si possono avere con le donne, e in “The Need to Know” (featuring SZA) parla delle così dette: “friends with benefits”. Descrive in maniera molto naturale un rapporto il cui fulcro è la condivisione dei desideri più carnali. Il ritornello cantato da SZA (riprende quello di “Just friend” di Musiq Soulchild) conferisce eleganza alla traccia, e insieme alla base minimal, crea quell’ atmosfera intrigante, un po’ come queste tipo di relazioni, dove la complicità è la base di tutto. Di fronte a tutte queste relazioni e donne, Wale si trova a scontrarsi con la realtà, con gli anni che passano e che portano l’idea del matrimonio: “The Matrimony” (featuring Usher). La scelta di una donna con cui passare il resto della vita un po’ lo angoscia, infatti ammette di non sentirsi ancora pronto, anche in questo caso le sue sensazioni riesce a metterle in rima in maniera molto buona.
All’interno del disco trova spazio anche la critica sociale, in una traccia in cui vediamo J.Cole solamente nel ritornello, con il titolo di: “The Pessimist”. E’ una canzone forte, perché racconta come gli afroamericani siano senza speranze, sia perché taluni versano in condizioni così precarie che difficilmente riusciranno a cambiare il loro stato sociale, ma allo stesso tempo alcuni sono loro stessi artefici della loro condizione e non fanno altro che adagiarsi. L’uso di un flow spigliato la rende sicuramente una delle canzoni più belle del disco. Non poteva mancare una traccia sulle scarpe, infatti Wale è uno degli sneakers-head per eccellenza. Anche in questo caso non è una canzone fine a se stessa, in “White Shoes” la sua passione diventa un momento per ricordare alcuni momenti della sua vita, infatti l’uso del piano elettrico con un suono anni ’70 ricrea un effetto flash back, quello che mi ha colpito è che tra i ricordi trova spazio anche il suo lato umano:
 
“Still have them Js for the low, low, and I could get ‘em early
But I’m not without a conscience, I see people out there hurtin’

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Come si è percepito fino adesso si sono toccati molte tematiche, ma c’è spazio anche per canzoni più leggere come “The Middle Finger” un banger scacciapensieri, oppure  “The One Time in Houston” che in qualche modo mi ricorda le sonorità dell’ultimo disco di Drake. Così come “The God Smile” ha un ritornello veramente ipnotico, che ti entra nella testa e difficilmente ti lascia.
Un disco che deve essere metabolizzato, non per il fatto che abbia un suono così particolare, ma per il fatto che non c’è una canzone che spicca sulle altre, diciamo che tutto è nella media e quindi sembra un prodotto mediocre, ma soffermandosi sulle tracce emerge la personalità del rapper e la maggior parte delle volte anche nel racconto delle situazioni più semplici, si ravvisa sempre una velata riflessione.
 
6.8/10

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