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Non sei nessuno se poi non passi in radio!?

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Ho ripreso un po’ il ritornello di “In radio” di Marracash per il titolo di questo mio escursus che vuole affrontare il tema delle scelte radiofoniche musicali in Italia e il ruolo che si è ritagliato Fabri Fibra in tutto questo, fino al suo ultimo disco “Squallor”.
Premetto che quanto segue è nato da un articolo che ho letto in questi giorni sulla rivista Left (a cui sono abbonato) nella pubblicazione del primo maggio. L’articolo incriminato porta la firma di Giulio Cavalli e il seguente titolo: “I super dj decidono la musica che vi piace”. Beh, che novità ho pensato, scontato, succede così con tutto e in tutti gli ambiti! Di conseguenza ritengo importante, per i lettori, riportare l’intero articolo, perché moltissimi spunti possono essere riletti in chiave rap, musica che ci accomuna sul portale de La Casa Del Rap.
Veniamo così al virgolettato, qui riportato in corsivo: – Qualche settimana fa la polemica ha provato ad accendersi ma niente: prima Eugenio Bennato e poi Sergio Caputo hanno provato a suonare l’allarme della musica inghiottita dalle radio, ma il dibattito si è spento come si spengono le recriminazioni di un qualche presuntuoso. Eppure il messaggio è grave: la radio che era “mezzo musicale”, oggi detta i tempi delle produzioni, degli ascolti, e quindi del mercato, a braccetto con le poche major discografiche. La musica è diventata un numero, somme di vendite e profitti, dicono, e nessuno se ne accorge. Sul tema ha alzato la voce anche Francesco Baccini, cantautore genovese ma anche camallo al porto di Genova: uno che non ha mai voluto imparare le mezze misure. “Guarda”, mi dice subito, “ti puoi chiamare anche Sting ma il discorso è sempre il solito: questo non è mai stato un paese meritocratico, soprattutto negli ultimi trent’anni. La differenza non la fanno i meriti ma gli appoggi, e quindi alla fine vale tutto. E, nel nostro caso, il pubblico è come se stesse in una mensa: mangia tutto quello che passa. Gli fanno anche credere di scegliere, ma quando cambi stazione radio senti sempre e solo le solite cose. Il popolo italiano non è notoriamente un popolo di rivoluzionari e quindi si accontenta. E il meccanismo funziona”.
Quindi ha ragione Bennato? Siamo all’oligarchia?
In Italia la musica è in mano al massimo a dieci persone che sono i cosiddetti “programmatori delle radio”. Sono quelli che compongono i palinsesti musicali, che scelgono i passaggi. Hanno un potere enorme, e possono esercitarlo: in un altro lavoro lo denunceremmo. È invece con le radio libere che abbiamo scoperto gente che non sarebbe mai diventata famosa. Chi pensi passasse i Pink Floyd? Io da ragazzo ci ho anche lavorato, in una radio libera. La differenza è che lì ti portavi i dischi da casa, ed era divulgazione vera.
E oggi invece? In radio come avvengono le scelte?
È una domanda che potrebbe essere il terzo segreto di Fatima. Nel 1994 in un mio libro c’era un capitolo che si intitolava “La musica sta morendo”: nelle radio hai a che fare con gente che non capisce un cazzo e decide, come un ministro dei Trasporti senza patente o un ministro della Sanità ignorante in medicina. Questi per salvare la sedia non rischiano e quindi non prendono decisioni, assecondano.
Ne parli come fossero dei servi?
Praticamente sì. Dipendono dalle multinazionali e vengono giudicati solo sulla base dei tabulati di vendita. La casa madre dall’altra parte del mondo, non sa nemmeno cosa sia la musica italiana. Io mi ricordo quando Caterina Caselli vendette la Cgd, la sua casa discografica, alla Warner, e quelli guardarono solo i numeri. A seconda dei dati di vendita ti rinnovavano il contratto o meno, senza nessuna strategia culturale. E infatti Andrea Bocelli lo mandarono via, per dire.
È difficile da accettare?
Io all’inizio, come tutti, sono andato anche in crisi. “Faccio dischi di merda”, mi dicevo. Perché te la vendono come se fosse una colpa. Una volta la radio era un vettore di musica: in una giornata passavano cento canzoni e il pubblico sceglieva, adesso invece (negli anni Novanta hanno capito il trucchetto) le canzoni che passano sono una ventina. E quindi in 24 ore fanno sentire le canzoni che ci stanno in un solo cd ed è ovvio che dopo una settimana le canticchi tutte, se ascolti quella radio. In più le radio oggi producono i dischi. Ma qui in Italia la parola “conflitto di interesse”, lo sappiamo, non esiste nel vocabolario. Se io sono una radio e produco, secondo te passo il mio disco, o quello di altri?
Le radio si giustificano dicendo che serve musica “orecchiabile”.
Ma è tutto orecchiabile se lo senti dalla mattina alla sera. Anche la Nona di Beethoven diventa una canzonetta. Senti: una volta c’era la Corrida che mica per niente si chiamava “dilettanti allo sbaraglio”. Non ti aspettavi di trovare in classifica il vincitore della Corrida, né di trovarlo in un film con Alberto Sordi. Per me la musica è una cosa seria e come diceva Paolo Conte, mi piace scherzare ma da professionista. In Italia la musica serve solo per fare le gare, i reality in tv.
Ma perché su questa denuncia non si è acceso un dibattito?
Perché non interessa la musica. La musica oggi è un orpello. Non si ascolta. Noi a quindici anni passavamo le serate a mettere dischi e commentarli. Commentavamo anche le copertine. Poi, negli anni Novanta la musica è diventata ballo. E oggi, se ascolti la radio, il cantante lo riconosci a metà canzone e solo se ha una voce particolarmente originale.
Come salvarsi?
Un allineamento dei pianeti, forse aiuterebbe. Poi bisognerebbe azzerare, fare in modo che non ci sia più musica perché la gente se ne accorga e capisca il meccanismo. Che è questo: io e te insegniamo a scuola, io insegno con Petrarca e Leopardi, tu con la pizza e l’inter. Secondo te chi sarà il più seguito, se dovessero scegliere gli studenti?
E la politica?
I politici sdoganati da Funari sono diventati personaggi televisivi più dei musicisti e gli intellettuali sono spariti: o sono in Parlamento o sono dei reduci. Anche la militanza delle idee, che una volta apparteneva ai cantautori, è stata masticata dalla politica. Pensa a De Andrè: era un anarchico, e oggi viene citato dal Pd.
Conoscendolo bene non credo che ne sarebbe contento.

E qui verrei alla breve e non certo esaustiva riflessione, che però mi piacerebbe condividere partendo dalla domanda: e il rap italiano nelle radio italiane?
Beh facile anche in questo caso, la risposta è che il rap nelle radio del nostro Paese non passa, se non per rari artisti, che fanno rari singoli dedicati alle radio, in rare radio che lo propongono.
Facendo un gran torto a tutti gli altri mc del Bel Paese, vorrei in questa chiave di lettura ripercorrere i passi compiuti da Fabri Fibra, che ancora nel 2015 si incazza nel suo ultimo singolo “Il rap nel mio paese” ribadendo che le radio/tv sono una vera lobby e che le piccole realtà indipendenti che trasmettono esclusivamente rap nel nostro Paese sono inesistenti. Il riferimento del video alla WebRadio Burger Radio è palese con l’hamburger schiacciato in un pc, però non è assolutamente un attacco verso questa realtà, bensì ne ribadisce la sua ininfluenza, senza colpevolizzarla. Direi che “Vende il disco chi è in tele/ sotto stress l’ho capito a mie spese/ nessuno esiste se le telecamere non sono accese/ Il rap nel mio paese un po’ qua un po’ la un po’ rock un po’ dance un po’ facce ballà/ un po’ club un po’ fashion le modelle tra i flash…”, basta per ribadire il concetto che ha espresso nell’articolo di Left lo stesso Baccini.

La sua denuncia verso le radio parte forse ancora prima del 2004, anno del disco “Mr.Simpatia”, dove esplicita l’odio verso Albertino ed Irene La Medica, tra gli altri, diatriba che comunque era  già aperta da tempo, in quanto colpevoli di non passare la sua musica. E come dimenticare “Quelle radio”, contenuta nel mixtape “Venerdì 17”, pubblicato nel 2011, dove esordisce con ripetuti “Fanculo a tutte quelle radio! Fanculo a tutte quelle radio! Fanculo a tutte quelle radio! Fanculo a tutte quelle radio! A tutte quelle radio!”, per comporre il proprio ritornello. Le strofe sono il vero valore aggiunto!

Ribadito questo concetto, però la pace con Albertino ormai è stata fatta e il video che segue mette in evidenza come Fibra abbia preso consapevolezza del fatto che le radio vogliono un determinate tipo di prodotto musicale e come lui debba adattarsi. Questo spezzone fa riflettere parecchio sull’articolo e contestualizzare meglio le parole di Baccini.

Beh, i singoli radiofonici di Fibra sono ormai ben noti. Detto questo credo però che con il nuovo disco, “Squallor”, Fibra si sia ripreso il terreno concesso a radio e tv. A testimonianza di questa mia convinzione: la pubblicazione a sorpresa del disco; l’uscita digitale del disco, seguita solo successivamente da quella fisica; zero interviste (Fabri sappiamo che ci leggi, La Casa Del Rap, offre bei soldi per fare due chiacchierare e magari parlare meglio di questo!); il primo singolo stesso, “Il rap nel mio paese”, non è dedicato alle radio, ma lo è “Come Vasco”, un pezzo dal titolo sicuramente accattivante visto il noto riferimento, ma musicalmente molto complesso per l’ascoltatore, soprattutto quello radiofonico medio.

Su questo tema vorrei coinvolgere anche Marracash, che a mio parere, rispetto a Fibra, si trova ancora uno step indietro rispetto a quello che io ho definito per il secondo ripresa di terreno. Credo che “Status” sia esemplare e il pezzo “In radio” l’esempio massimo. Ho voluto estrarre queste parole da un’intervista recente di Marracash proprio sul suo ultimo album. Il riferimento è questo
Ho fatto un pezzo come “In radio” proprio per questo motivo, perché noi siamo quello che siamo, ma c’è un concorso di colpa dei media. Se io faccio il pezzo più ballad vado su Radio Italia, ma se non è vagamente dance Linus non lo passa. E Linus lo devo ringraziare perché si è accorto delle rime di “Badabum cha cha”, altrimenti sarebbe rimasto un tormentone. Così alla fine quello che si è cercato di fare nel rap è stato cercare la via più facile, ha aiutato a farsi notare anche Fibra, un po’ più dance, alle radio faceva comodo, era più vendibile. Io nel secondo disco avevo Giusy Ferreri, volevo andare in radio a tutti i costi. Però credo sia un mio pezzo, col featuring di Giusy che la gente sa chi è e da dove viene. Però così facendo siamo tutti dovuti andare verso il pop, come i Dogo con Antonacci, Fibra con la Nannini. ”.

Ribadisco che se ben fatti questi singoli rimangono ottimi pezzi e onestamente “In radio” è tra i migliori pezzi del disco di Marracash. Non sempre però i singoli rap radiofonici si sono dimostrati musicalmente validi, questo è indiscutibile e nel passato recente gli esempi sono stati moltissimi e ce li ha forniti anche lo stesso Fibra.

A questo punto mi sono quasi perso pure io. Concluderei solo dicendo che ormai la radio è un mezzo di comunicazione vecchio, ormai quasi del tutto superato, dedicato solo alle casalinghe solitarie che fanno le faccende di casa e ai camionisti che macinano chilometri girando l’Italia da nord a sud in vecchi camion. La musica oggi è on-line, è nello streaming, addirittura MTV ha smesso la sua funzione da qualche anno. Ognuno coltiva le proprie passioni musicali al computer, spesso da solo (purtroppo!) oppure ai concerti, alle serate, agli eventi, in discoteca, in compagnia (per fortuna!). Sempre più utenti, soprattutto tra le nuove generazioni, non ascoltano la radio, preferiscono lo streaming, YouTube, ecc. Bar e negozi utilizzano Spotify, tra gli altri, che ora è possibile utilizzare anche in macchina dove già USB, Bluetooth ecc. hanno sostituito i canali radiofonici, ma anche il CD fisico, rendendo l’ascolto di playlist personalizzate sempre più una realtà.
Si stanno sperimentando nuove soluzioni di continuo, soprattutto oltre oceano. E’ super chiacchierata la vicenda Jay Z e Tidal, solo per rimanere in tema rap. Il rapper aveva annunciato un disco in collaborazione con sua moglie Beyoncè che sarà in vendita in esclusiva su Tidal, ovvero il nuovo servizio di streaming musicale di sua proprietà. Senza entrare troppo nel merito, però è da segnalare come questa ricerca di nuove soluzioni appunto sia in una fase di sperimantazione, infatti, nonostante tutta l’attesa, il servizio non sta decollando, anzi. Kanye West ha eliminato tutti i suoi post di promozione al servizio musicale.

Quale sarà il futuro della musica a questo punto?
Forse la musica tornerà esclusiva dell’artista e di conseguenza dell’ascoltatore, entrambi liberi, perché no, di fare le proprie scelte, nella composizione come nell’ascolto. Perché: “Amici omicidi uccidi/qui nessuno compra più i CD/quindi mi chiedo per chi mai li producono/e chi lo decide, la gente consuma in base a regole precise/si testi a richiesta, l’enfasi è questa, extasy extra/gangsta rap il web ti ha ucciso bang!/con un colpo in testa”, Fabri Fibra, “Squallor” la tiletrack dell’album per continuare la rifelssione e se volete approfondire il tema “E.U.R.O”, con la collaborazione di Clementino è un ulteriore spunto di rifelessione offerto dall’mc di Senigallia.
 

A cura di Jammai
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