
Oh, si scherza eh, torniamo a noi.
Il disco si apre con una produzione dal suono classico firmata Bassi Maestro e un egotrip che lascia pochi dubbi: il Guercio è in formissima. Tra flow e metriche “on point” si continua fino a “Squalo”, un pezzo certamente celebrativo, di cui si è già ampiamente discusso e su cui mi sento di aprire una piccola parentesi: è vero, io cerco sempre di giustificare chiunque faccia qualsiasi cosa c’entri un minimo con l’arte ma siamo sicuri che “il riportare questa roba in strada” annunciato non sia stato davvero mantenuto? Certo, il sound non esce direttamente da qualche frattale della golden era, eppure Guè parla di un certo sbattimento nel cercare di vendere tutto il possibile, oltre i dischi, per permettere una vita dignitosa alle persone che l’hanno messo al mondo. Rimane una hit e un pezzo zarrissimo? Sì, però c’è una certa consapevolezza da apprezzare.
All’improvviso, nuovo cambio di sound (il disco spazia tantissimo musicalmente, ed è una scelta azzeccatissima), parte un pezzo che non ci si aspetta. “Voodoo” non solo racconta l’altra faccia della medaglia – quella del materialismo che lascia comunque vuoti- ma inaugura una linea narrativa amorosa, piena di feels, che continua con “Equilibrio” e raggiunge lo zenit in “Interstellar”, brano che vede la blasonata collaborazione di Akon. In realtà, per l’intera durata del disco questi due umori continuano a incontrarsi, a volte stridendo tra loro. Alternando pezzi come “Nouveau Riche” (che, già dal titolo parla da sé) a “Eravamo Re” (quasi commovente dedica al padre e a una donna un po’ più speciale di quelle in cui si parla in brani come “Mollami” o “Signora”), solo a volte il tutto si stempera con brani come “Oro e Diamanti”.
Questi due filoni diametralmente opposti sembrano cozzare proprio con il titolo del disco che cercherebbe di richiamare, in teoria, una certa coerenza: è davvero così? Beh, in breve, no. Tutta quell’idea del “voler riportare questa roba in strada”, firmando con un’etichetta come la Def Jam, riporta all’annosa questione che ha fatto impazzire tutti noi cucciolotti che seguiamo il rap in Italia: come si rimane coerenti con sé stessi nonostante l’essere un’icona pop ormai affermata? Guè ci offre la sua soluzione: non essere ipocriti. Guè è capace di declinare sé stesso su tutti i suoni possibili, passando con disinvoltura dal cantato al rappato, parlando di ciò di cui davvero sente di dover parlare, nelle modalità che più preferisce. Non è un segreto che Guè ha sempre agognato il denaro ed ora che ha raggiunto ciò che sognava non sta lì a menarsela su reconditi problemi filosofici: il materialismo c’è, lo vive e ne parla, appunto, senza ipocrisie o fisime da giovane che lo fa soltanto per “il vero Hip Hop”, non ha da dimostrare niente a nessuno.
“Se compri questo disco mandi un chico in hit parade” rappava qualcuno e in “Vero”, cinicamente, non ci vedo una differenza d’intenti così grande.
Vale la pena acquistare l’album in una delle tante versioni disponibili (Tre, per la precisione, ognuna con delle esclusive per aficionados. Fatturare, ricordate?) per chi è in cerca (sì ragazzi, il rap italiano offre talmente tanti tipi di rap che ormai possiamo parlare di domanda-offerta) di un disco rap fatto molto bene, con un ampio spettro di suoni, che preferisce intrattenere e raccontare, piuttosto che innovare o sperimentare musicalmente. Nonostante scorra facilmente, non mancano degli sporadici momenti di riflessione in cui l’MC riesce effettivamente a raccontarsi in modo efficace.
Tra i richiami al varlant, ospiti di caratura internazionale e un paio di strofe del pupillo del team di produttori 2nd Roof, “Vero” è un disco godibilissimo.