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Report

R. A. the Rugged Man

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Siamo ancora all’Affekt Club (FR) ed è ancora il 22 novembre del 2015. Siamo ancora carichissimi perché dopo l’opening dei Flowless, Addivvi, Mind & Ernest Powell, Oyoshe & Dope One, i Guastafeste & Lord Madness, dopo lo show di Resolute e Snowgoons è finalmente arrivato il momento del main event della serata, organizzata da Ragin’Bull, Live’N’Direct e Riot Eventi: R. A. the Rugged Man sale sul palco e non si risparmia assolutamente. Tra strofe dall’alta difficoltà tecniche e un carisma invidiabile riesce a coinvolgere il pubblico in maniera unica: dalla gente venuto a vederlo chiama a salire sul palco breaker, beatboxer e tutti i supporter del caso. Tra veri e propri moshpit sul palco e una sicurezza che è in evidente difficoltà è la personalità dell’MC americano a farla da padrone su tutto. “Non ho polmoni ma branchie“, confessa in una strofa e, a giudicare dagli extrabeat pulitissimi che performa viene da dargli ragione! I pezzi suonati spaziano tra quelli presenti nell’ultimo album come “Holla Loo Yah” passando per strofe storiche del suo repertorio come “Uncommon Valor” o “Cunt Renaissance“, riesce ad accontentare i fan di ogni età. Nonostante l’assenza dei suoi pupilli A.F.R.O. e Mr. Green, Illegal dietro le macchine d’acciaio non ha sbagliato un colpo e con più di un’ora di show passata a rappare tra il pubblico, confrontandosi con esso, Crustified Dibbs ha accontentato tutti.
Tutte le foto qui.

Ciao. Benvenuto ne La Casa Del Rap. Questa non è la prima volta che vieni in Italia, che cosa ti piace di più del nostro paese? 
No, infatti, sono stato più volte qui in Italia. Potrebbe essere un cliché ma naturalmente tutti amano il cibo qui. Ho anche origini italiane: mia nonna si chiama Giuseppina Olendo ed è siciliana!

Credo che innanzitutto ti chiederemo qualcosa su A.F.R.O.: il fatto che tu lo abbia scelto come pupillo può essere l’inizio di una tua carriera da talent scout o fondatore di che qualche label? 
Beh, ho fatto firmare A.F.R.O. per la Thorburn Records e questo è stato l’inizio. Ho molti artisti ancora da tenere sott’occhio ma devo prima finire questa cosa con A.F.R.O. e poi posso continuare con gli altri.

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La terza domanda è sul tuo album Legends Never Die: questo disco ti ha portato in tour molte volte negli ultimi anni, c’è un episodio che ricordi in particolare sulla creazione dell’album o sui tour che hai fatto in giro per il mondo? 
Una cosa che mi viene in mente è che per mettere insieme questo album, per la prima volta avevo moltissimi soldi non solo per vivere bene, ma per creare musica, oltre ad un tempo infinito per stare in studio. Quando abbiamo registrato “Die Rugged Man, Die” abbiamo fatto l’intero album con 35.000 dollari, lo abbiamo missato nel modo più economico possibile, non avevo nemmeno tempo di fare le correzioni più piccole. In altri album dove avevo un po’ più di soldi non potevo nemmeno fare quello che volevo perché ero sotto etichetta, non mi era proprio permesso farlo, così Legends Never Die diventa per la prima volta un prodotto che ha finalmente tutte le carte in regola per essere esattamente una proiezione della mia visione. Ecco perché ne sono molto felice.

OK, questa è una domanda sul rap game: sei nell’industria musicale da praticamente 30 anni ormai, come pensi che sia cambiato il rap negli anni e quale pensi sia il suo futuro?
Hai detto 30 anni? (ride). Beh, tutto è cambiato. Quando ho iniziato a rappare c’erano le cassette, e la gente andava in giro con questi enormi ghettoblaster e se li portava in studio insieme a questi tapes, e poi sono arrivati i CD e questi piccoli lettori MP3 e poi è arrivata l’era del computer e si è iniziato a mixare musica con una tastiera, che cos’è questa roba?! E così la musica è diventata completamente digitale in ogni aspetto, ma non solo quella, anche ad esempio i film, anzi, un po’ tutto. Adesso premi un bottone ed un milione di persone può ascoltare quello che hai registrato il giorno prima. Per far sì che un milione di persone vent’anni fa ascoltasse la tua musica ci voleva un esercito per promuoverla, oppure dovevi avere agganci in qualche radio molto conosciuta, e per fare in modo che il tuo prodotto si diffondesse dovevi avere un sacco di soldi. Per cui c’è molto di buono nell’Internet ma anche il contrario, ed il rap game ne risente in ogni aspetto, dal modo di produrre più old school, fino al più new school.

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Questa domanda probabilmente è un po’ difficile: in Italia generalmente gli artisti fanno fatica a coniugare il successo personale con il rimanere credibile per l’underground: quale credi sia il giusto compromesso tra le due cose?
Io penso che semplicemente uno debba fare la musica che gli piace. E poi bisogna essere competitivi: non solo mettersi davanti al computer e dire “woah ‘sta roba è figa, mi piace”. Fate quello che vi piace, ma fate anche qualcosa che vi renda competitivi con gli altri. Così dovrebbe essere: “Io faccio quello che faccio ma voglio farlo meglio degli altri”. Perché se siete migliori del vostro competitore, anche se non avete i soldi per fare nulla magari, o il grande pubblico a disposizione, qualcuno vi noterà. Se state vent’anni sullo stesso disco a dire “sì, che figo”, non riuscirete ad avere una carriera. Perché l’Hip Hop è una forma d’arte competitiva, e i ragazzi della new school che intanto dicono “No, io faccio solo musica…”. Allontanati dall’Hip Hop allora, no? Siamo nell’era in cui chiunque pensa di vincere una specie di trofeo, ma non puoi semplicemente dire di fare musica. Tu non fai rap, amico! Perché fin dall’inizio il rap è stato uno sport competitivo. E se volevi il primo posto non potevi fare a meno di prendere il microfono e se facevi schifo ti buttavano giù dal palco. Adesso anche se fai schifo hai comunque una bella fan-base su Internet. (ride)

Recentemente hai pubblicato due diversi singoli che hanno sonorità opposte. Come fai ad adattarti così bene ad ogni sonorità? Come cambia il tuo flow? 
Intendi come faccio a passare da un flow all’altro? Tipo a un “Learn Truth con Talib Kweli a un “Holla-Loo-Yuh” con Tech N9ne?
Esatto.
Beh, è sempre il discorso che stavo facendo prima sull’aspetto competitivo della musica. Pensando a Tech N9ne, mi dico: “Oh, Tech N9ne? Fa questo stile? Posso farlo anch’io! Fatemelo fare con Tech”. Se lui può farlo, lo faccio anch’io. E magari ne faccio una versione personale. E’ una roba di competizione! E provo a tutti che ce la faccio anche io. In più mi piace anche l’idea di essere creativi, come ad esempio fare qualcosa che nessuno si aspetta che io faccia. Così vi mostro che R.A. ce la fa lo stesso. Ad esempio nell’album a cui sto lavorando ci sono dei beat dei quali potreste chiedervi “come diavolo ha fatto R.A. a sceglierlo?”. Sono i miei preferiti dell’album, finora.

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Ci hai detto che stai lavorando al tuo prossimo album. Ci puoi anticipare qualcosa, non so, qualche collaborazione magari?
Beh, ho produzioni di Marco Polo, Mr. Green, Snowgoons, tutta gente molto molto brava, ma vorrei che restasse una sorpresa. Poi ci sono altri artisti anche che collaborano ma non vi svelo nulla.

Una domanda sulle label. Come sei uscito dalla situazione delle label degli ultimi anni, ci puoi parlare di quel periodo e di come sei arrivato a Legends Never Die? E’ stato come una rinascita?
Legends Never Die è importante indubbiamente, ma la rinascita è stata negli anni 2000, perché nei ’90 ero il nemico delle label. Nel ’95 ero finito. Non potevo fare nulla, ero giovane, un po’ pazzo, facevo cose stupide, quindi le etichette dicevano “Hey, non vogliamo lavorare con R.A., cerchiamo una persona normale”. Così nel 2000 sono dovuto tornare un po’ indietro, ero al top nei ’90 ma nessuno mi faceva fare più nulla, e sono dovuto risalire. Quando tagli dei ponti ci sono molti altri artisti talentuosi nell’industria musicale, così quando c’è un problema è più semplice rivolgersi magari a persone non così brave ma con le quali è facile lavorare.

Fai un saluto ai nostri lettori?
Hey, questo è l’unico e solo R.A. The Rugged Man! Sono su La Casa Del Rap e dovreste farlo anche voi. Yes yes y’all!

Report a cura di Raffaele Lauretti e Cristiana LaFresh
Tutte le foto sono di Riccardo Lancia Photo
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Scrivo di rap e studio filosofia. Nel tempo libero mangio la carbonara.
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