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Intervista

Kiave, Stereotelling: L’intervista

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Il 22 gennaio è uscito il nuovo disco di Kiave, StereoTelling. Si tratta di un disco completo e coerente, che non ha deluso le aspettative. Lo storytelling disegna un percorso che unisce la tracce in un sapiente lavoro di riflessione, mai banale. Dopo la recensione qui, ecco l’intervista all’artista cosentino.

 

Ciao Kiave, bentornato ne La Casa del Rap! Il disco è uscito da poco, ma in molti ne stanno già parlando. Come sono stati i feedback fino ad ora, ti hanno soddisfatto?
Ciao, sono molto soddisfatto del disco in generale, proprio della sua realizzazione e del prodotto finale. Sono consapevole che è il solito disco ad assorbimento lento (magari meno di altri, ma io sono fatto cosi), quindi magari è ancora presto per dirlo. Vedo che sta entrando a far parte degli ascolti e delle vite di molti, era da un po’ che non provavo una sensazione così importante e stimolante per continuare a scrivere.

Anni fa, con l’uscita de “Il tempo necessario” ti riferivi al precedente album dicendo “se volevi un disco come quello è quello, se nestampo un altro è per alzare il livello”. Com’è stata in StereoTelling la tua Metamorfosi artistica?
Penso notevole, e logicamente per qualcuno anche difficile da assimilare. Sarebbe stato facile per me fare i soliti pezzi con la solita formula che sappiamo possa funzionare. Ma in questo disco mi sono spinto oltre, maggiormente per quanto riguarda la parte musicale.
Ricordo che quando l’ho fatto ascoltare a Mistaman in anteprima, la prima cosa che mi ha detto è stata: “Fix, hai fatto un disco super-sbattuto a livello musicale”. Era una cosa che volevo fare da tempo ma per mancanza di mezzi, di condivisione coi produttori, o anche per mancanza di budget non ero mai riuscito a fare completamente. Ora si può, anche grazie al tocco magico di persone come Gheesa e di Fid Mella.
Mi sentirei di rubare all’ascoltatore e principalmente a me stesso se facessi un disco uguale a quello precedente. Non fa per me, cerco evoluzione continua, con tutti i rischi e gli errori che ne conseguono.

Parlando ancora del lato stilistico, in Stereotelling troviamo Johnny Marsiglia, Hyst, Killacat, Patrick Benifei e il nuovo acquisto MacroBeats: CRLN. Come hai scelto le collaborazioni per questo album? Cosa ci dici delle produzioni?
Anche qui, volevo mettere pochi feat. perchè penso che se arrivi a fare il quarto disco ufficiale da solista, più vari prodotti alle spalle, devi cercare di essere solido e stabile con le tue gambe. Ho inserito Marsiglia e Hyst perchè era da tempo che dicevamo di fare qualcosa assieme, e non l’avevamo mai fatta. Di Hyst inutile dirvelo, è mio fratello da sempre ormai, per Marsiglia, lo considero uno degli artisti/uomini migliori che abbia mai incrociato in questo gioco.
Le produzioni sono tutte di artisti che stimo e con cui spero di collaborare anche in seguito, ma ci siamo spinti anche un po’ più in la, prima in europa con Astronote e poi oltre oceano con Marco Polo, a conferma che la  definizione di “nemo propheta in patria” non è poi così lontana per quanto mi riguarda.

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Il tema del cambiamento e della rivoluzione è sempre fulcro centrale delle tue strofe anche dal punto di vista umano. Troviamo un esempio in “Imparo pt.2”.  Ti fai sempre largo in un oceano di autocelebrazione, che è la scena attuale. Quanto è importante questo lavoro interiore di autocorrezione e di lotta dei propri demoni?
Dipende che valore dai alla tua musica, anzi quanto pretendi da essa. Ho cercato di scrivere un disco che metta da parte completamente l’autocelebrazione fine a se stessa, scontata; così che quando arriva, ha un peso vero, forte e meditato. Io sono fatto così caratterialmente, molto severo con me stesso, e un eterno guerriero alla ricerca di qualcosa in più. Quando ho ascoltato il disco di Kendrick e ho visto che questo aspetto poteva essere assorbito appieno dai testi Rap, be’, lì è stato davvero scoprire un nuovo mondo. L’ho sempre fatto eh, ma ora ho lasciato entrare ancora di più chi ascolta nei meandri profondi del mio essere, delle mie insicurezze e delle mie debolezze, il machismo non fa per me, anche perchè spesso nasconde “evidenti problemi di dimensione”, scusate l’autocitazione.

Ti sei reso non solo portavoce di certe problematiche, ma anche soggetto attivo sul campo di diversi percorsi, laboratori e progetti, tra cui quello nelle carceri. Per esempio, in “M.K. Ultra” parli di Rieducazione del reo, come sancito dall’art. 27 della Costituzione. Credi di aver visto davvero applicato questo diritto nei diversi carceri in cui sei stato? Hai idea di far qualcosa di simile anche al sud? Cosati ha influenzato nella scelta di creare questi progetti?
Sì, ì risultati dei vari progetti in carcere hanno superato di gran lunga le aspettative. Sarebbe lunga da raccontare qui, e forse servirebbe uno spazio dedicato a parte per rendere bene l’idea, ma questa magia dello scrivere, del foglio, della penna, delle strumentali e del flow, aiuta davvero i ragazzi che stanno lì dentro, magari per una semplice cazzata, magari per i propri demoni interiori. Quest’anno farò la terza edizione di “Potere alle parole Lab” nel carcere di Monza, ed è già partita quella nel Beccaria, carcere minorile di Milano. Il progetto mi occupa parte della settimana, ed è diventato un vero e proprio impegno per me, dato che è facile dire che si vogliono cambiare le cose, ma spesso non ci muoviamo dal divano per farlo realmente. Non ti nego che questa esperienza mi toglie tante energie, e spesso mi fa male, perché lì dentro vivi cose che la gente fuori non può nemmeno immaginare, ma so di fare la cosa giusta, quindi continuo a testa alta fra critiche, stimoli ed ignoranza. Sulla questione Sud, ecco anche qui servirebbero altre mille pagine, ci sto provando da anni ormai, ma trovo sempre le porte sbarrate. La burocrazia giù è così lenta, da creare delle barriere culturali davvero disarmanti, ma non demordo, prima o poi porteremo il progetto anche nelle carceri del Sud.

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È degno di nota il tuo Amore per il genere femminile e il tuo rispetto per le Donne, con le giuste dosi di ironia. Che sensazioni provi nell’ascoltare artisti poco attenti a riguardo?
Non ho sensazioni specifiche a riguardo, mi spiace per loro perché si perdono una parte importante dell’universo femminile, che è davvero qualcosa di magico e meraviglioso. La metafora che può rendere l’idea è quando spesso gli uomini (me compreso fin quando non ho raggiunto questa consapevolezza) chiamano la donna “Figa”. Be’ certo al bar con gli amici ci sta, ma se ci pensi ti stai precludendo il tutto solo con una sola parte, individui la parte col tutto, e quindi se vedi una donna solo come una vagina ambulante, cazzo, ti stai perdendo un sacco di cose, è come vedere quei film in streaming ripresi dal cinema, dove si vedono i 2/4 dello schermo, per giunta sfocato e con i dialoghi fuori synch. Io preferisco di gran lunga l’universo femminile nella sua totalità, in HD.

Parliamo dello storytelling a cui si ispira il titolo. Esempi lampanti sono “Storia di un impiegato” e “Vivi ora”. Hanno stili diversi. La prima è molto spiazzante e narra interamente un’unica storia, dall’inizio alla fine. La seconda è un insieme efficace ed immediato di storie diverse, che richiamano lo stile di “11 storie” e di “Capolinea” di Rancore e Dj Myke. Vuoi parlarci della loro stesura?
Per il primo ho scritto prima la trama, poi la psicologia dei singoli personaggi, poi una sorta di sceneggiatura, e alla fine il testo vero e proprio. Sai com’è, quando decidi di fare un disco diverso, che non sia fatto solo di punchline, devi inventarti anche modi per divertirti mentre lo realizzi no? Per il secondo ero ubriaco, e ho lasciato che la mia fantasia volasse in giro per il mondo, fotografando situazioni reali che stavano accadendo in quel momento, è stato un bel viaggio. Mi fa piacere tu abbia citato Rancore, perchè secondo me è davvero una penna speciale lui, da sempre, massimo supporto per chi ha il talento della scrittura come lui.

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Infine, cosa ci dici della scelta della copertina del disco?
Semplice, che Mecna è un genio! God Bless Corrado Grilli!

Sorridendo ti chiediamo se hai voglia di farti una domanda a piacere! Intanto ci complimentiamo, ti ringraziamo per la disponibilità e attendiamo le date dei live!
“Non ti fa incazzare quando ti dicono di essere umile?” Sì tanto, la gente ha la brutta abitudine di scambiare la sete di sapere o la consapevolezza con l’umiltà, trasformando questa parola, nata come complimento, in un’offesa.

Intervista a cura di Eleonora Cannizzaro

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Scrivo di rap e studio filosofia. Nel tempo libero mangio la carbonara.
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