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Intervista

G-$antana in tour con KRS One

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Lo incontro subito dopo il suo concerto a Berlino al fianco di KRS ONE – un live elettrico di più di due ore che ha portato lo YAAM, storica location dell’Hip Hop berlinese ed europeo, vicinissimo al punto di fusione. L’ho visto muoversi sul palco attorno allo Blastmaster; duettare con il suo compagno di vita e beatboxer Kiing Spacely; inclinarsi verso il pubblico, mano all’orecchio, per ascoltare un’ovazione ardente. Mi viene incontro mentre lo guardo dal bar e gli porgo la mano. Mi dice che sa bene quello che ha in mente, che ricorda da dove viene, e di che cosa è fatta la sua anima. Allora gli dico che non può sbagliare e che è nelle mani migliori. Tempo dopo, quando ho ben ascoltato e digerito il suo primo lavoro, G-$ANTANA, lo richiamo online per fargli alcune domande. Trovo un ragazzo sicuro di sé, certo del suo passato e del suo presente, la testa rivolta al futuro.

Dicci qualcosa di G-$antana: qual è la tua storia? Come sei riuscito a convincere KRS ONE, uno dei più grandi di tutti i tempi, a portarti in giro per il mondo per il tour di Now Hear This, il suo ultimo album? È stato una delle tue influenze principali nella tua crescita da MC?
Prima di tutto, grazie per l’intervista, my G. Vediamo, ho 21 anni e sono originario di Brooklyn, New York, ma ho trascorso gran parte della mia vita qui a Greensboro, Carolina del Nord. Ho rappato da sempre, per quanto riesca ad andare indietro con la memoria. Tuttavia ho cominciato a lavorare sul serio alle mie rime solo negli ultimi anni. Amo questa cultura, questa musica, questo gioco che la circonda. Mi piace anche il football americano (ride), la mia squadra preferita sono i New York Giants. E mi piacciono i videogiochi, anche se ora non ho tempo per giocarci, essendo molto occupato a lavorare sulla mia musica. Proprio qualche ora fa ho finalizzato un nuovo freestyle e l’ho messo su SOUNDCLOUD, “Flava In Ya Ear”, dovresti darci un’occhiata appena ne hai la possibilità. Va davvero forte, dacci un’occhiata.

Su KRS ONE, che dire? (Ride) Ora lo chiamo zio Kris. Credo il nostro incontro risalga a marzo o aprile di quest’anno. Aveva un concerto in programma qui a Greensboro, e ricordo che quel giorno dovevo lavorare. Però non ne avevo voglia e così decisi di non andarci. Nel pomeriggio ricevo un messaggio, mi dicono che KRS ONE visiterà la mia università, quella che ho abbandonato per la mia carriera. (Sorride, i suoi occhi restano profondi) Ed è andata proprio così. KRS ONE arriva e fa un giro del campus, tiene un breve discorso e dichiara formato un cypher. Accompagnato dal beat di Kiing Spacely, allora, faccio un freestyle che dev’essergli piaciuto, niente di scritto, tutto improvvisato, naturalmente – credo abbia riconosciuto subito quanto eravamo veri. La sera, al suo live, ci siamo ripetuti con un nuovo freestyle, e allora capì, credo, di avere a che fare con un vero MC, con uno che sa muovere la folla (Move the Crowd). Ha apprezzato i nostri ritmi, i nostri testi. Riuscii a passargli il mio numero dopo il concerto, e una settimana dopo quella giornata storica ricevetti la sua chiamata – mi invitava ad accompagnarlo in tour in giro per il mondo. C’è forse altro da aggiungere (sorride)? E per quanto riguarda le influenze, sicuro, KRS ONE è stato sempre parte del mio sviluppo musicale. Ma devo dire che sono stati sopratutto la sua conoscenza e i suoi insegnamenti filosofici ciò che hanno esercitato il potere attrattivo maggiore su di me. E in fin dei conti, tutto succede per una ragione, giusto?

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Uno dei concerti del tour si è tenuto a giugno allo Chalet Club di Torino, insieme agli EPMD. Cosa ricordi di quella breve esperienza in Italia, e di quel concerto in particolare?
Giusto! Prima di tutto shoutout agli EMPD – il concerto è stato incredibile. Purtroppo ho avuto modo di trascorrere solo un giorno in Italia, ma mi è piaciuto davvero. L’energia è stata qualcosa di folle. Anzi, posso persino dire che se penso all’energia che ho percepito durante quel concerto, si tratta sicuramente dell’esibizione migliore della mia vita. Sembrava di avere a che fare con la folla di un incontro di wrestling della metà degli anni 90. E mi piace molto l’Italia, penso certamente di ritornarci. C’è molto da vedere, e il cibo è fantastico. Le donne sono bellissime. I fan sono eccezionali e la cultura Hip Hop è vera, te lo dico sul serio. Vera! Grandi saluti a Torino.

Esaminiamo la tua musica. Il tuo primo progetto esibisce un suono unico, maturo e allo stesso tempo genuino, come piace ai veri intenditori. Mi hai già detto che stavi lavorando ad alcune delle tracce proprio durante il tour. Quando scrivi di solito, e come hai organizzato la produzione mentre eri on the road? 
Grazie G. Quello che faccio è partire sempre dalla realtà che conosco, e anche il suono, allora, ne rifletterà le caratteristiche. Viene tutto dal cuore. Hai ragione, ultimare le tracce durante il tour può portare a dover fare i conti con alcuni impedimenti. A volte abbiamo concerti in date consecutive, bisogna spostarsi da paese a paese, Internet non è sempre disponibile e così via. Ma sappiamo anche che Emceein, Beat Boxin and Breakin sono i tre elementi della cultura Hip Hop che non hanno bisogno di alcun supporto tecnologico per esistere e manifestarsi. Sono qualità divine, e perciò sempre disponibili a chiunque si sente in grado di utilizzarle. Per questa ragione, anche se è duro, riesco sempre a scrivere, e di fatto non smetto mai di scrivere. Durante il tour ho scritto nel furgone per sei ore consecutive, per esempio, mentre qualcun altro guidava. È sempre qualcosa di fantastico, perché nel frattempo continuo a fare esperienza di una realtà in continuo movimento.

Restiamo sul tuo primo album. I tuoi testi sembrano senza dubbio confluire nel filone di quello che si è spesso considerato “conscious rap”, sebbene, come dici nell’omonimo pezzo, “Everybody Wants to Be A (conscious) Rapper”. Nella traccia inviti il tuo ascoltatore a mettersi in discussione in prima persona, invece che incolpare pigramente l’altro da sé – il “Trump” della situazione. Le tue riflessioni mi portano a farti una domanda precisa. Hai un pubblico ideale a cui ti rivolgi in questo pezzo, e in generale nella tua musica?
Hai ragione, voglio sempre dire qualcosa di significativo, di vero, di conscious. In questo senso non mi rivolgo a un pubblico specifico – parlo davvero a tutti. È anche vero che molti artisti emergenti, negli ultimi tempi, si propongono come artisti conscious. Il mio pezzo gioca un po’ con questo tema, motteggia lievemente questa sorta di moda, e allo stesso asserisce la mia originalità. Io non sono un biter, ma voglio restare conscious. Chiaro? Bisogna dimostrare di avere la stoffa per fare tutto, ed è proprio quello che faccio.

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“Saucin'” e “Put’ Em’ Up” sono i pezzi più elaborati del tuo repertorio. Puoi dirci qualcosa in più in merito alla genesi e all’evoluzione di queste tracce, fino al prodotto finale?
Saucin’” è nata dal beat che mi ha passato uno dei miei migliori amici qui a Greensboro, D Dawson. Eravamo un po’ fatti e ubriachi, e mi sono lanciato in un freestyle direttamente sul chummbeat. Ovviamente la prima versione non era quella definitiva, e così abbiamo fatto un po’ di lavoro con un altro dei miei amici DJ, Dr. Sleazy. Ho terminato io stesso i versi finali dopo la prima parte del tour. “Saucin’” significa indipendenza, libertà nel momento, vivere la propria vita senza paura, essere in grado di mantenere la propria parola, di portare sulle proprie spalle le responsabilità che si sono volute. Nella seconda strofa affronto alcuni episodi del mio passato, fondamentali per farmi arrivare dove sono oggi. E questo è ciò che per me significa Saucin’, in definitiva: qualcosa di serio, ma che assume un aspetto divertente per chi ne ha consapevolezza e si conserva dinamico. 
Put’ Em’ Up” è un inno rivolto alla folla, un pezzo da concerto. Ma appare nel pezzo anche il riflesso di un alterco che ho avuto con una persona. E le mie parole gli lanciano messaggi più o meno diretti, che continuano per tutta la seconda parte. Ci sono accenni a Thrilla in Manila, l’ultimo incontro tra Joe Frazier e Muhammed Ali, a Bruce Lee, a Michael Jackson con la sua Beat It. Faccio anche riferimenti alle tentazioni che ho dovuto evitare – la trappola della cocaina, per esempio – e alle chance che mi son preso. La più importante tra quest’ultime, naturalmente, è quella di fare del rap la mia vita.

“Back in ’95” è un remake di “Puffy in ’95” – il risultato di una collaborazione con DJ PredatorPr!Me, con cui sei stato in tour in Europa insieme a KRS ONE. A chi è venuta l’idea del progetto e com’è stato lavorarci insieme?
Già, (sorride) l’idea è venuta a lui. Stavo lavorando ad alcuni video in hotel, quando entrò nella mia camera, dicendomi semplicemente che intendeva fare un remake di uno dei miei pezzi. Provò a lavorare su alcune delle mie tracce, tra cui “Feel Me”, che oggi è la prima traccia del mio primo album. Ma la scelta finì per cadere su “Puffy in ’95”. E quando ascoltai per la prima volta ciò che aveva messo insieme – ‘Wow’ – pensai – ‘è così diversa.’ E immagino mi ci sia voluto un po’ di tempo per abituarmici, perché nessuno aveva mai fatto un remix di una delle mie tracce. Ma ora la adoro, e anche tu la adori, e tutti la adorano davvero. (Ride) E allora te lo prometto, continuerò a far musica per tutti in questo modo. Ne ho tonnellate, di questa roba.

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Una domanda che interessa sempre i fan italiani riguarda la percezione che un artista ha di sé in merito alle sempre discusse categorie “underground” e “mainstream”. Sappiamo oggi che il significato di queste parole cambia nel tempo – tu cosa ne pensi? Questo tipo di distinzione ha influenzato le tue preferenze musicali, e il tipo di musica che oggi fai?
(Mormora tra sé pensosamente.) Dunque, vediamo, posso dirti che per come la vedo io “mainstream” non è sinonimo di cattivo, anche ciò che è “mainstream” ha la sua verità. C’è sicuramente buona roba commerciale in giro in questo momento, lo si capisce dai testi, che richiedono un ascolto attento. E ovviamente non tutto l’ ”underground” è buono o meritevole di attenzione. Nessuna mancanza di rispetto, ma vedo che ci sono molti artisti cosiddetti “underground”, che oggi, nel 2016, a 35 anni, fanno ancora rap come si faceva nel ’95. Questo secondo me non funziona – KRS stesso non lo fa. Certo, ha i suoi pezzi classici che esibisce in ogni concerto, ma anche il suo ultimo album ha flow che sono nuovi, mi capisci? Per questo è un grande e resterà grande. Per questo Jay Z è un grande. Mantengono il proprio flow vivo e aggiornato, perché se non si fa così, be’ se non si fa così il flow muore. Insomma, mi piace l’”underground”, mi piace il “mainstream”, e ho a che fare con entrambi: ma non con tutto il “mainstream”, né con tutto l’”underground” (ride).

Ora sei tornato negli Stati Uniti. Qual è la tua giornata tipo in questo periodo?
Sto vendendo i miei CD, mi faccio un giro in città, sono sempre pronto a lanciarmi in un freestyle, ovunque. Vado in studio e continuo a lavorare sulla mia musica, costantemente. E fumo buona erba, certo (ride).

Un po’ di programmi futuri. Quando potremo vederti di nuovo in Europa?
Seguitemi ragazzi, online mi trovate dappertutto. Abbiamo grandi progetti che si avvicinano, e tour in Europa. Non fammi rivelare troppe cose, adesso (sorride). Ma posso dirti una cosa – sarà molto presto!

G-$antana, vorrai anche ricordare ai lettori dove possono seguirti?
Benissimo! Prima di tutto su Bandcamp, dove c’è la mia pagina ufficiale, con tutta la mia musica – gsantana.bandcamp.com
Soundcloud lo uso per freestyles e remix – mi trovate anche lì se digitate nel campo di ricerca MC G-$antana.
E naturalmente i social consueti:
Facebook: MC G-$antana;
Twitter e Instagram: G-$antana the MC.
E ho anche un canale su Youtube, dovete appaiono i miei video: sotto G Santana.

Lo ringrazio per il tempo dedicatoci. Prima di chiudere mi regala di sua spontanea volontà un nuovo freestyle, e lo sento evocare con la sua voce – che diventa a tratti persino stentorea – l’immagine dei suoi coetanei che sembrano invischiati nell’abitudine, un po’ di storia romana, e per finire, mentre le parole si allungano, la cultura Hip Hop, la quale ha certo l’obbligo di dire la verità – sempre e comunque; ed è per questo, conclude G-$antana, che va supportata senza compromessi.

JB SUM

Conosci meglio

Assistente Social(e) del rap italiano e della vita in generale a.k.a. Redattrice con OCD
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