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Dalla metro ai club di Berlino: la storia di Infidelix

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Nelle ultime settimane il video su Youtube in cui canta la sua “Anthem of the Lost” ha superato diversi milioni di visite. Nello stesso arco di tempo è riuscito a passare dalle esibizioni in strada ai concerti nei centri giovanili, e da questi ai club più rispettati di Berlino. Un concerto in Olanda, qualche giorno fa, si è aggiunto alla serie delle sue conquiste più recenti. Il nostro dialogo di una notte non può che ruotare attorno all’immagine della strada, all’essenza della strada, al significato di quello spiazzo davanti alla fermata U1 di Warschauer Straße, dove i nuovi arrivati, ora, tengono alto il suo nome, rendono gloria al cielo autunnale della capitale, pronunciano parole che dipingono destini. Da sempre il rapper genera la sua realtà e dipinge le sfumature del suo potere. Così, beat dopo beat, vengono innalzate le nuove gerarchie, su quei territori urbani dai contorni tanto dinamici quanto invisibili.

Mi chiama quando arriva davanti all’SO36 per il soundcheck, e io ci metto poco più di dieci minuti per raggiungerlo. Questa è storia, penso davanti all’entrata ancora sbarrata, circondato dai membri della sua squadra, la FEW crew. Alle nove e trenta ci ritroviamo dentro, dopo aver percorso una specie di sottopassaggio templare. Il proprietario viene a porgere i suoi omaggi e a confermare che il live vero e proprio, la fase in cui lo si vedrà sul palco, non potrà cominciare prima delle due del mattino: meglio aspettare che il posto si riempi completamente. “Palco?”, risponde INFIDELIX, considerando la distanza tra la piattaforma alle spalle dei piatti del DJ, ancora immobili, e l’area destinata al pubblico, ancora assente. “Niente palco. È qui che voglio farlo”, ed indica un piano rettangolare, sopraelevato di neanche mezzo metro, che occupa il centro esatto del club. “Voglio che il pubblico mi cinga stretto.

Risponde ai saluti dei DJ che arrivano, alcuni dei suoi ragazzi vogliono seguirci. Riusciamo infine ad appartarci per alcune domande, mentre il primo DJ si scalda le mani dando voce ai Mobb Depp. Il video è sulla bocca di tutti: ma INFIDELIX ha i piedi per terra e la testa sulle spalle, e si prepara a raccogliere ciò che ha seminato.

Sono contento di esser passato al livello superiore”, mi racconta, “ora so che la gente mi osserva. E quando c’è interesse, c’è anche la tentazione di addossarsi i sogni degli altri. Non mi piace essere definito Old School. Questo si vedrà nel mio prossimo album. Old School significa essere reale, per quel che ne so io: ed essere reale significa restare fedeli a se stessi, non alle aspettative altrui. Giusto?

Sei nato a Houston, Texas, e hai trascorso la tua giovinezza a Denton, un piccolo comune di 80000 abitanti appartenente all’area metropolitana di Dallas. Poi INFIDELIX – perché questo nome?
Guarda… Posso dirti che essere reali al 100% è la cosa più difficile per tutti. Nessuno, davvero nessuno lo è. Forse il nome è un promemoria – il vero promemoria: quello che non va dimenticato mai; lo stimolo per rimanere fedeli a ciò che si fa e al proprio progetto di sé.

Il tuo primo concerto risale a qualche anno fa, eri ancora in Texas e hai condiviso lo show con i D12. Come sei arrivato su quel palco?
Grazie a un mio amico, che avevo aiutato ad organizzare il live stesso. Lui aveva bisogno di una persona affidabile per i biglietti, il bar e così via. E io avevo i miei testi. Così mi è successo di mostrare ciò che potevo e volevo fare. Dopo quella notte spartiacque, ho capito che questo è quello che avrei fatto per tutto il resto della mia vita. È elettrizzante, mi dicevo, è troppo forte. Certo, prima di quella serata avevo fatto un po’ di rap, qui e là, ma non un concerto vero e proprio: e non ho mai avuto la minima intenzione di rimanere bloccato, come molti rapper a Denton e in Texas, alle esibizioni sempre uguali nei club di sempre, senza la possibilità di espandere le proprie esperienze e la propria vita, le proprie sfide. Restare lì sarebbe stata, credo, la maniera più sicura per non progredire e rimanere impantanato.

Così hai venduto tutto ciò che avevi all’inizio del 2014, hai lasciato il tuo impiego da cameriere in un ristorante messicano e sei partito per l’Europa.
Esatto. Sono arrivato in Spagna, dove ho provato a vendere la mia musica in strada. CD, video, qualsiasi cosa. La gente non la prendeva bene – facevano finta di non parlare inglese, si allontanavano. Non avevo credibilità e me ne rendevo conto. Passai dei momenti duri. Allora finii col ritirarmi negli skatepark a fumare hashish e a scrivere. Nessuno, lì, mi parlò per almeno una settimana. Quando cominciai a farlo in strada, voglio dire il rap, conobbi Flameh e Firy DJ. Qualche giorno dopo, almeno un’intera crew di registi e writers da Tenerife voleva fare la mia conoscenza. E mettemmo insieme W.U.D.

Hai detto che se non si è stati sulla strada a metterci la faccia, non ci si può rivendicare come appartenenti alla cultura Hip Hop.
E lo ripeto qui, JB. E fammi sottolineare un altro aspetto fondamentale. Per me non è stata una decisione cosciente sin dall’inizio. Insomma, si trattava di sopravvivere, di non tornare a casa con la coda tra le gambe e un biglietto aereo pagato dai miei genitori. Ed è in quei frangenti che uno tira fuori il meglio, quando anche l’oppressione è massima: lì si apre lo spiraglio della vera libertà.

A Berlino sei arrivato dopo i tuoi giri in Irlanda, Scozia ed Olanda. E durante una delle tue esibizioni, è stato ripreso il viso che ti ha reso celebre.
In Olanda stavo di nuovo per mollare, non avevo più soldi e il mio umore era a terra. Ma dopo un’esibizione in strada conobbi dei musicisti che vollero ospitarmi, cominciai a lavorare con loro e riguadagnai fiducia. In Scozia fu DJ Toni Smoke a salvarmi. Ero a Glasgow, il tempo era pessimo, ma Toni mi offrì di trascorrere una settimana a casa sua. Così scrivemmo e terminammo Obstacles, uno dei miei lavori più maturi. Come vedi, non si tratta della storia di una sola persona, qui; si tratta di Hip Hop puro, ci sono diverse forze che hanno contribuito a tutto questo – diverse persone.

E poi, naturalmente, Berlino.
Si, è qui che sono diventato più grande. Su Warschauer Straße ho conosciuto persone dalla storia drammatica – tossicodipendenti, ex militari – la mia quotidianità è costellata di disperazione e speranza, di fiducia e salvezza, ma anche di morte. In tutti i casi, di lotta. Vedo ciò che succede alla gente quando canto, vedo le loro reazioni, i commenti che ricevo, le interpretazioni personali dei miei testi – tutto ciò è fantastico. E sopratutto vedo i più giovani che ora si lanciano in strada. (Indica il suo compagno di crew Pablo Kush, che ascolta attento, appena arrivato da Dublino) Lui si sta facendo le ossa e promette molto bene. Il mio MC spalla stasera, Visyr, è già una certezza. E poi c’e Papke, che è ormai un vero MC – il suo ultimo lavoro, Pöhlstoff – merita molta attenzione. E al video di ATZEN, PUNKS & PISSA, che è appena uscito, ci hanno lavorato tutti i ragazzi della crew (indica con un movimento del braccio il cerchio dei membri della FEW, che ballano e rappano in cypher, poco lontano).

Così quello che hai ricevuto in passato, lo stai restituendo. Possiamo esprimerci in questo modo? Sappiamo che aiuti un gruppo di teenager a scrivere i testi, a vendere i CD dei più grandi, sei molto attento ai tuoi ragazzi e ai membri della tua squadra.
Certamente. Un vero MC è il leader di una comunità, riveste un ruolo positivo, è un modello: questo è quello che è davvero Hip Hop. Il resto – la droga, le donne, i soldi – questi sono tutti dettagli secondari, anzi sono tutte stronzate. Molti MC, oggi, affogano nel loro stesso ego, sono nient’altro che fantasmi. Evitano il contatto con la gente, sono irraggiungibili, hanno poco tempo perché si pongono problemi di strategia. Ad alcuni di loro persino piace far così, almeno all’inizio. Ma io spero di non arrivare mai a un punto tale da non avere tempo per la gente del quartiere, o per i ragazzi della crew.

Anche se sei famoso in tutto il mondo, allora, tornerai di certo ad esibirti in strada.
Senza alcun dubbio. Guardati un po’ intorno – qui nei club si sta bene, fai un performance tra la gente, sono 5 ore di Hip Hop, un po’ di bevute, qualche fumata. Ma sulla strada, per ascoltare la mia musica ognuno degli spettatori deve prendere una decisione che altererà la sua giornata, forse la sua settimana; forse la sua vita. Nella strada non ci sono scuse, JB. È tutto vero.

Come hai fatto a trovarti al momento giusto nel posto giusto in occasione dello show segreto dei Dub FX e Talib Kweli a Mauerpark, qui a Berlino, nel novembre de 2014?
Anche qui è stata un’occasione piovuta dal cielo, per la quale, però, ero già pronto. Un mio amico mi chiama e mi dice che ci sarà uno show segreto a Mauerpark. E al mio arrivo i Dub Fx chiedono se c’è qualcuno che sappia rappare. Be’, certo, risposi io, certo che so rappare, cazzo. Fammi dire una cosa, JB: nella vita le cose non accadono e basta: bisogna lavorare per farsi trovare pronti. E le opportunità si presenteranno sempre a chi è pronto. Per ogni opportunità che mi si è presentata e che ho raccolto, io c’ero ed ero pronto – capisci?

La tua musica. Hanno molta forza i tuoi testi, i quali non lasciano nulla al caso e hanno una carica lirica decisiva. Quali sono le tue maggiori influenze nella scrittura?
Le mie influenze maggiori – lo dico senza esitazioni – non vengono dal rap. Diciamo che ho acquisito il patrimonio di conoscenze e culturale del rap attraverso altri canali. Come lo stesso Hip Hop si è sviluppato a partire da influenze che ne precedono l’evoluzione. Sono sempre stato interessato all’universo e alle sue dinamiche, alla spiritualità. Gli astronauti, ad esempio, sono una mia influenza: gente che ha cambiato il mondo, cazzo, capisci? Una volta sulla strada, poi, è lì che ho appreso la cultura Hip Hop, e dai ragazzi che si fermavano ad ascoltarmi. Loro erano veri fan e seguaci della cultura stessa, e ovviamente del rap, ed è da loro che ho imparato; sono loro che mi hanno dato lezioni di Hip Hop.

Anthem of the Lost e Gold sono a mio parere tra i tuoi pezzi migliori, e rappresentativi di tutto il tuo lavoro finora. E il fatto che è proprio Anthem of the Lost il pezzo che fai nel famoso video, ormai virale, non mi sembra una coincidenza. Si tratta della storia di un fallimento: ma nonostante il narratore abbia toccato il fondo si intravede una speranza. Giusto?
Il pezzo… vedi… (INFIDELIX fa una pausa di riflessione) JB, è il beat che sceglie ciò di cui mi occuperò nel testo. La musica detta e io scrivo. Anthem of the Lost è la storia di una rovina. L’ho scritto in Irlanda, dove sembra che i maschi adulti si suicidino più frequentemente rispetto ad altri paesi. E quest’uomo, Connor – nome tipicamente irlandese, ovvio – grida al mondo: che cosa faccio, ora? Dove vado? Dov’è il mio rifugio? Chi mi presta una pistola? Mi scrivono in molti riguardo a questo pezzo, mi arrivano ogni giorno commenti, osservazioni, interpretazioni. E questi contatti, a cui presto molta attenzione, mi cambiano a loro volta, te lo immagini? È bellissimo avere questo tipo di interazione con chi ascolta la tua musica. Quanto alla speranza, posso dirti ciò che credo – che la realtà è una continua creazione del soggetto – e ognuno si sta creando la propria vita attraverso i propri pensieri: detto molto semplicemente, man: bisogna crederci.

Mi sembra che questo muoversi lungo la linea sottile che separa la salvezza dal baratro sia uno dei caratteri fondamentali del tuo lavoro – almeno finora e per quanto concerne i tuoi testi. Che cosa puoi anticiparci riguardo ai tuoi prossimi lavori?
Il mio prossimo album si chiama Busk Life ed uscirà il 15 gennaio. Ci saranno 13 pezzi, metà dei quali saranno pane per i cervelli che vogliono riflessioni, e l’altra metà avranno testi in cui parlo di soldi e del mio cazzo. (Ride) Naturalmente, JB, in maniera interessante. (Ride di nuovo) Te lo dicevo all’inizio, la gente non potrà darmi un’etichetta o infilarmi nella gabbia dell’Old School – le etichette sono roba molto comoda per molta gente. Berlino mi ha dato tanto, ma è stata anche molto dura: ho dovuto spesso ricorrere alla violenza per soldi che mi venivano rubati mentre mi esibivo. E tornado a casa, quando mi mettevo a scrivere, non sempre riuscivo a tirar fuori qualcosa di edificante: la vita stessa è venuta fuori; e questo, immagino, si vedrà bene in quest’album, gli ascoltatori lo sapranno presto. Quanto alla produzione, ho esaminato migliaia di beat prima di arrivare a quelli che ho scelto. Ed ora che il mio video è così popolare, molti producer si fanno finalmente sentire per condividere i frutti del loro talento. A chi legge passo questo suggerimento, bisogna sforzarsi di dare, di dare tutto prima di ricevere. I fan per me sono importanti, ma ancora più importanti sono gli amici, i ragazzi della FEW. Loro ci sono stati sin dall’inizio e hanno creduto in me; mi hanno dato e hanno dato insieme a me; e dunque riceveranno insieme a me.

Ti faccio un’ultima domanda. Hai lanciato una petizione sulla tua pagina Facebook (www.facebook.com/Infidelix) per la protezione dei musicisti di strada. Hai ottenuto qualche buon risultato?
Questa è una buona domanda che riguarda tutti noi da vicino. Credo che il prossimo passo per la cultura Hip Hop e dunque anche per il rap sia far valere la propria voce in quest’ambito. Ci sono paesi in cui la musica da strada è illegale. In Italia è illegale, in Germania lo è di sicuro, agli artisti da strada vengono chiesti permessi speciali, le esibizioni vengono limitate in ogni modo. I ragazzi della mia crew hanno fatto progressi enormi negli ultimi tempi- penso di nuovo a Visyr e a Papke – come credete sarebbe successo senza il tempo passato in strada ad esibirsi? Perseguire la propria arte, cioè il meglio del proprio sé, in strada e tra la gente – come fa una roba del genere ad essere illegale? E per quale motivo, poi? Con tutto il rispetto per la polizia di Berlino, che lavora bene, ma in un’occasione ben 7 poliziotti sono venuti ad interrompere una nostra esibizione a Warschauer – alle cinque del pomeriggio – mentre a pochi passi da noi si continuavano a vendere droghe come sempre. Allora rispondo io con una domanda per chi si occupa di politiche comunali, per la quale pretendiamo una risposta: i nostri ragazzi dovrebbero forse, invece, iniziare a spacciare? La gente deve capire che la musica da strada apporta contributi positivi – costruttivi – ad una società. Molti ragazzi non passano alla cocaina e all’eroina proprio grazie al rap. E Berlino, così come molte altre città in cui la cultura Hip Hop è forte, è fatta di questo tipo di musica: vive di questa musica. E non mi riferisco solo a ciò di cui fanno esperienza i turisti; parlo della quotidianità vissuta dalla gente che si è stabilita qui. Ci sono bambini, quando mi esibisco, che mi vengono a ballare accanto. Come fa questo ad essere illegale, cazzo? Che i musicisti di strada e la cultura Hip Hop vengano supportati anche a livello legislativo, e ovunque: ecco quello che volevo affermare con chiarezza.

È il momento di tornare nella sala principale, che comincia a riempirsi di pubblico. La musica cresce in volume e profondità. Ci si prepara al clou, i membri della FEW restano compatti, si distinguono come il gruppo più forte. Si nota, al volo, una coesione che va oltre la semplice compagnia. Di tanto in tanto qualcuno degli ospiti si avvicina ad INFIDELIX per salutarlo. Si gira un attimo a dire “Non lo farei nemmeno, se non potessi contare su tutta questa stima, è davvero ciò che fa la differenza.” I ragazzi della FEW si godono la serata e si sentono importanti: il successo di INFIDELIX è anche il loro successo. Mi parlano dei loro progetti e di come cresceranno. VICOE ha già in mente un nuovo piano d’azione per nebulizzare con la sua tag i treni di Berlino; Robin, freestyler consumato, è oggi a capo del servizio di protezione degli MC della FEW.
Poco dopo le 2, INFIDELIX appare dietro DJ Danetic, microfono in mano; saluta il pubblico e annuncia la sua discesa. Quando pochi secondi dopo lo rivedo, è già sulla piattaforma al centro dell’arena, coadiuvato da Visyr. Attorno al quadrato, i membri della FEW fanno ondeggiare la testa mentre sorvegliano la folla e fanno rispettare la distanza di sicurezza. L’esibizione è feroce, INFIDELIX sputa esametri attraverso il fumo che lo avvolge. Uno o due temerari cercano di salire e metterglisi accanto, ma Robin ristabilisce l’ordine con un paio di movimenti drastici. INFIDELIX macina quattro, cinque, sei, sette pezzi. E dopo l’ultima traccia, saluta l’ovazione e scende soddisfatto per abbracciare la sua gente. Lo ritrovo al bar mentre parla dello show con MC Vysir – è già carico per gli appuntamenti e il lavoro del giorno seguente. È proprio vero, pensiamo tutti, l’Hip Hop non è un campo di battaglia tra individui schiavizzati dal proprio ego. È una forza unificante che agisce tra più coscienze.

Io torno in posizione”, mi dice dopo una fumata, ed è li che lo vedo prima di andare – dietro DJ Danetic, circondato dai suoi ragazzi, muovendo le mani davanti alla folla che continua a crescere, mentre passa Rumble, di U-God.

JB SUM (Twitter: @JB_Sum)
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