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Approfondimento

Seeking the Music Business puntata #3

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Benvenuti al nuovo appuntamento con Seeking the Music Business, la rubrica by Sounday che punta alla divulgazione dei principi fondamentali di gestione di un progetto musicale sul web. Oggi vi proponiamo un articolo split, frutto di due importanti e distinte riflessioni: il tanto citato YouTube e la chiave di interpretazione di un contratto di distribuzione digitale.

Finalmente YouTube

YouTube è la celebre piattaforma di Google, il grande schermo dei digital addicted, MTV dell’era contemporanea ed è amatissimo dai super giovani. Partiamo dai numeri, così da comprenderne l’effettivo impatto sul mercato musicale (tutti i dati provengono dal report IPSOS settembre 2016): con più di 1 miliardo di utenti, YouTube è il servizio più utilizzato al mondo per la fruizione musicale, 82% dei suoi utenti utilizza il portale per cercare e ascoltare musica, questa percentuale raggiunge il 93% nella fascia 16-24 anni e il 91% per gli utenti italiani.

In questo grafico vengono riportate le percentuali di utilizzo con finalità musicale per paese:

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Diverse sono le ragioni che si celano dietro a questa tendenza: il 49% dei video streamer dichiara di utilizzare YouTube principalmente perché è gratuito, mentre solo il 27% dice di sfruttarlo come garanzia di qualità prima di procedere all’acquisto.

Saltando alle considerazioni ontologiche: viviamo in una contemporaneità fatta di immagini e YouTube è il perfetto contenitore di questa realtà, poiché unisce in un solo strumento caratteristiche sociali, musicali e d’immagine.

Leggi anche:  Rosalba, dai social alla musica con il suo album d'esordio "Angel"

Qualsiasi motivazione si prenda in considerazione, YouTube è senz’altro protagonista assoluto della music industry. Il lancio di un singolo è accompagnato da un video ufficiale, la diffusione di un album è resa possibile anche grazie alle innumerevoli pubblicazioni via YouTube.

Occorre precisare che oggi la musica su YouTube viene monitorata e rientra in un complesso discorso volto alla monetizzazione: quello che a prima vista appare (e a tutti gli effetti è) un portale UGC (User Generated Content quindi con pubblicazione libera da parte dell’utente), risponde anche a una logica di tracciamento delle visualizzazioni che determina un introito per gli aventi diritto.

Soffermiamoci al solo campo musicale: una volta caricato il proprio audio/video su YouTube è possibile rivendicare la proprietà del proprio brano e attivare un processo di generazione dei ricavi. Per farlo occorre appoggiarsi a un distributore digitale che, come tramite dell’artista, invierà il sound recording originale (è il termine utilizzato dallo stesso YouTube) al database del portale così da consentirne il riconoscimento e la conseguente generazione dei ricavi. Risulta importante comprendere che non sono solo i play a determinare l’ammontare delle royalties bensì i passaggi pubblicitari, le inserzioni che passano prima, dopo, durante, sotto, sopra e a fianco al proprio audio/video.

Questo meccanismo ha messo un freno alle policy di blocco che le etichette discografiche erano costrette a intraprendere per tutelare la fruizione delle loro produzioni: YouTube è diventato a tutti gli effetti un music store, un portale di streaming, al pari di Spotify e Deezer.

Sembra una storia a lieto fine, ma non lo è del tutto. C’è un dibattito che ancora scuote la music industry: l’equo compenso. Calcolatrice alla mano, la industry chiede a gran voce che YouTube riconosca alle etichette discografiche un corrispettivo maggiore di quello attuale, YouTube risponde con numeri imponenti. Chissà come si evolverà il quadro, per il momento, affidiamoci ai trend che si impongono sulle abitudini di gestione di un progetto musicale e utilizziamo YouTube, cercando di farlo al meglio.

Qualche trick:

–  pubblicare contenuti di qualità audio/video;
–  compilare con attenzione i metadata e le informazioni in fase di caricamento;
–  creare playlist, appoggiarsi a un distributore per tutelare il proprio brano e generare i ricavi;
–  utilizzare le schede per inserire informazioni e link sovrapposte al video.

Ma alla fine, come funziona un contratto di distribuzione digitale?

Domanda lecita e opportuna. Si entra in una tematica tosta, fatta di cavilli ed eccezioni, ma tendenzialmente esistono due macro tipologie di contratto di distribuzione digitale.

DYI: per tutti coloro che rientrano nella categoria indipendente, questa è la strada. Noi di Sounday non stiliamo un contratto ad hoc per ognuno dei nostri utenti, è sufficiente usufruire del servizio di distribuzione digitale e accettando i T&C del sito, si acconsente al trattamento da noi proposto: pagamento una tantum + 100% dei ricavi.

Leggi anche:  Seeking the Music Business puntata #4

LABEL & MANAGEMENT: per tutti coloro che dispongono di un ampio catalogo e che desiderano aderire a una distribuzione dalla cadenza costante, esistono invece contratti personalizzati basati su una suddivisione dei ricavi tra label e distributore. Le percentuali variano a seconda dell’entità del catalogo. Questo contratto può essere stipulato su uno o più territori, per uno o più music store e può comprendere una serie di attività correlate, ma sempre connesse alla distribuzione.

Quante informazioni… Si chiude così il primo ciclo di approfondimento sulla distribuzione digitale, ma non è finita: nei prossimi articoli stileremo un vero e proprio glossario del music business, passando al setaccio lo slang del settore.

Alla prossima!

Giorgia Mortara (Sounday Music)

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Superstite del forum, qui scrivo ancora con la passione di un utente. Con un focus sul panorama italiano, più che scrivere di rap lo ascolto e lascio spazio ai suoi protagonisti.
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