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Recensione

Carl Brave x Franco126 – “Polaroid”

carl brave e franco126 al telefono

In un 2017 dominato dalla trap, basti pensare all’onnipresenza di Sfera Ebbasta e Ghali in ogni radio italiana, quasi come un fulmine a ciel sereno Carl Brave x Franco126 pubblicano “Polaroid” un disco fresco e soprattutto attuale come pochi altri.
Inquadrarli in un immaginario di appartenenza è quasi impossibile sinceramente; non sono rap perché non hanno l’attitudine da rapper, non sono dei trapper perché Franco e Carlo al massimo si scolano il peroncino dal bangla mica la codeina, non sono degli artisti indie perché di indie hanno solamente i chitarrini nei beat. Potenzialmente potrebbero anche essere definiti pionieri di un genere che in Italia non esisteva ancora. Chiamatelo se volete “rap/indie/trap/lofi/lovegang126”. Chiarito subito l’equivoco del genere di collocazione, già dal nome del disco sono esplicitate le intenzioni degli autori del disco. “Polaroid” è un album fotografico con una soundtrack propria, e per citare Franco, in un’intervista rilasciata a Noisey: “il progetto Polaroid non è un vero e proprio disco, sono dieci canzoni che rappresentano altrettanti rullini della Polaroid”

Infatti proprio come un album fotografico narra attraverso le scene rappresentate sulle foto varie situazioni, “sfogliando” le varie polaroid si susseguono una miriade di argomenti. Carl e Franco ci parlano di delusioni d’amore, aperitivi con bira e noccioline, serate in cui tirasse pellaria, bevute dal nasone che “scorre sempre e non la smette”, code nel traffico con una tale naturalezza e nonchalance che sembra quasi di fare due chiacchiere tra amici più che ascoltare una serie di brani. Questo è infatti uno dei pregi più grandi di “Polaroid”: la capacità dei due di parlare direttamente all’ascoltatore, “l’abbattimento della quarta parete” come lo definirebbero alcuni. I due non fanno del liricismo e dei tecnicismi il loro cavallo di battaglia, ai quali preferiscono una narrazione e uno storytelling impeccabile. Salta subito all’occhio inoltre l’enorme abilità con cui riescono a trasportarti, con una facilità a tratti disarmante, nelle loro storie. Le Dieci polaroid che compongono il disco sono un viaggio intenso e affascinante nella Città Eterna al giorno d’oggi, coi suoi pregi e i suoi inenarrabili difetti. Inevitabilmente quindi ci si sente un po’ più romani dopo la fine dell’ascolto del disco, si finisce quasi con l’essere romani e romanisti e un po’ più nostalgici per l’addio “der pupone” al calcio. Certo il disco non è privo di pecche: come già accennato tecnicamente i testi non fanno strabuzzare gli occhi, c’è talvolta un abuso dell’autotune (cosa che può far storcere il naso ad alcuni puristi troppo snob all’inizio) e alla lunga potrebbero stancare le tematiche affrontate.

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Ma quale prodotto è esente da difetti? Se riuscirete a soprassedere a questi piccoli flaws, magari di primo acchitto vi troverete spaesati pensando che a voi Carl e Franco vi stanno pure antipatici (per non dire altro) ma, allo stesso modo, è sicuro però che già alla seconda traccia (“Sempre in due”) starete immediatamente pensando alla foto perfetta su Instagram/Facebook alla quale allegare come didascalia la frase “Te dimmi dove sei mi faccio tutta Roma a piedi”.

 
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