
Bentornati ad Highlights, lo spazio de lacasadelrap.com in cui i nostri ospiti ci racconteranno i cinque momenti della loro vita che hanno influenzato in modo particolare il loro essere artista. Dopo aver chiacchierato con Mistaman e Kiave, abbiamo scambiato due parole con Turi.
Salvatore Scattarreggia, in arte Turi, classe 1976, è un rapper e produttore calabrese. Durante la sua carriera musicale ha calcato qualsiasi palco, collaborando con numerosi artisti della scena hip hop, e non solo. Presente nel panorama musicale da più di vennt’anni e dopo aver pubblicato diversi album ufficiali, EP, mixtape e demo, siamo certi che non abbia bisogno di molte presentazioni. Che dire, lasciamo a lui la parola e vi auguriamo una buona lettura!1. Public Enemy
Settembre 1991, Roma, Galoppatoio di Villa Borghese. Avevo 15 anni e quello è stato il primo concerto che ho visto in vita mia. Abitavo a Viterbo da un annetto, mi ero trasferito dalla Calabria ed ascoltavo già rap da un paio d’anni. I Public Enemy erano il mio gruppo preferito in assoluto. Ero solo, non avevo crew. Toccata e fuga. Ho preso un treno da Viterbo e sono tornato a casa completamente sconvolto e felice. Sapevo che da quel giorno in poi il rap avrebbe fatto parte della mia vita.
Il giorno successivo al concerto ero così gasato che mi sono autocostruito un medaglione di cartone con il loro famoso logo e lo indossavo fiero con un’orrenda collana! Andavo in giro per Viterbo con sta cosa discutibile appesa al collo. Ricordo che a scuola un professore con ironia mi chiese “ma lei è un sommelier per caso?” Col senno di poi, ero alquanto ridicolo.
Insomma, a 15 anni conoscevo già diversi loro pezzi a memoria convinto che fossi l’unico in Italia. Poi ho scoperto a distanza di tempo che un sacco di miei colleghi facevano lo stesso. Mi ricordo un episodio con David dei Cor Veleno, durante un sound check prima di un concerto, quando partimmo all’unisono a cantare un pezzo dei Public Enemy come se fosse una cosa normale insomma.2. Rapadopa
Era il 1993, l’anno in cui avevo acquistato con un amico la mia prima coppia di giradischi, e il primo vinile italiano che mi passò fra le mani fu appunto la Rapadopa di DJ Gruff. Sinceramente non ero un grande fan del rap italiano. Il cosiddetto fenomeno posse (tranne rari casi) mi annoiava a morte. Avendo già una discreta collezione di cassettine di rap americano (es. Gang Starr, De La Soul, A Tribe Called Quest), il mio gusto musicale aveva già delle ottime fondamenta con un’identità, ben precisa e delineata. Vale a dire: lo stile prima di tutto. Il rap a base di slogan e privo di grooves non mi interessa. E per me la Rapadopa fu scioccante proprio per questo motivo.
Era un disco dal sound “chiuso”, poco ospitale, spocchioso, ignorante, ma pregno di stile. Gruff e compagnia erano già avanti anni luce. Grazie alla Rapadopa poi, ho conosciuto gente tipo Kaossone, Deda e Neffa, giusto per citarne alcuni. Tra l’altro, grazie a quel disco ho iniziato ad inscimmiarmi seriamente per lo scratch.3. Squarta
Squarta fu la prima persona con cui ho condiviso seriamente la passione per l’hip hop. L’ho conosciuto a Disfunzioni Musicali, famoso negozio di dischi a San Lorenzo. Aneddoto curioso: la prima volta che son andato a casa sua per ascoltare un po’ di beats, ho scoperto casualmente che il padre era originario del mio stesso paese natìo in Calabria. Della serie “era destino”. Insomma, abbiamo iniziato a beccarci sempre più spesso diventando amici. Avevamo gli stessi gusti musicali e questa sintonia ha dato vita ad un demo di quattro pezzi. Ci chiamavamo “Malaffare”. Io e un altro ragazzo eravamo i rapper e lui il beatmaker. Credo fosse il ’94, e il mio nome d’arte era Macigno! Il nome Turi è venuto fuori anche grazie a quel demo, dato che avevo iniziato a rappare mischiando dialetto calabrese con l’italiano. Squarta fece ascoltare il nostro demo ad Ice One che ai quei tempi lavorava a Disfunzioni Musicali, il quale commentò con: “Non male, ma le cadenze e le metriche di Turi ricordano troppo lo stile di Gruff”.
Per la cronaca, il nome Squarta è farina del mio sacco.4. I live
I concerti, per gente come me, cresciuta musicalmente nell’era pre-internet sono tutto. Non concepisco l’idea di far musica senza poi non proporla dal vivo. Per essere appagato ho bisogno di stare su un palco, in mezzo la gente e nutrirmi del loro calore, delle loro reazioni. Il rapporto umano è fondamentale. Sarà che sono antico, ma nella mia personale bilancia dei valori la reazione di un fan dal vivo pesa mille volte di più di duecentomila like o di milioni di visualizzazioni.
Per non parlare poi del live come strumento di giudizio. Vedi, io vengo da un epoca in cui solo se spaccavi sul palco eri intoccabile. Non c’era trucco. Sì, bella la copertina, bello il video, belle rime. Ma dal vivo? Beh, se poi dal vivo non riuscivi a tenere il microfono in mano, ti beccavi valanghe di fischi.
Roma poi, da questo punto di vista credo fosse una delle piazze più spietate. Ti faccio un esempio: Group Home, crew storica americana degli anni ’90, prodotta niente meno che da DJ Premier. Super rispettati insomma. Vennero a Roma in concerto. Fecero un pessimo show: scena finale? Bordate di fischi.5. Gli Originali
Gli Originali era un musical hip hop che stava sotto la direzione musicale e l’orchestra del compositore italiano Franco Micalizzi. Essendo un collezionista di vinile conoscevo molto bene Franco Micalizzi e la sue colonne sonore. Immagina quindi la mia gioia quando mi è stato chiesto di partecipare all’evento. Pensa che poi con Franco siamo diventati buoni amici, tant’è che ho anche partecipato come ospite in uno dei suoi dischi.
Tornando a Gli Originali, credo sia stato uno degli episodi più appaganti della mia carriera, la chiusura di un primo cerchio. Sì, perché fino ad allora in Italia vi è sempre stato una sorta di “razzismo musicale” nei confronti del rapper. Fare rap era una cazzata, non era vera musica, ecc. Bè quell’evento ha ribaltato la situazione, cancellando pregiudizi e pre concetti. L’hip hop in generale ha guadagnato parecchia credibilità grazie a Gli Originali.