
Ernia Come Uccidere Un Usignolo 67
Venerdì scorso, 3 novembre, è stato pubblicato il nuovo disco di Ernia “Come uccidere un usignolo/67” (qui la nostra news), versione riaggiornata dell’ep “Come uccidere un usignolo”, uscito a giugno di quest’anno, con l’aggiunta di ulteriori 8 tracce. Per l’occasione siamo siamo invitati in Universal per fare una chiacchierata con l’artista e farci un’idea più chiara di chi è Ernia e di cosa sia questo suo nuovo lavoro. Il quadro che ne è uscito è quello di un artista, e di una persona, molto particolare, confermando un po’ le impressioni che già ci eravamo fatto ascoltando i suoi lavori.Una cosa che mi ha sempre molto colpito dall’ascolto dei dischi di Ernia, e che è venuta fuori in maniera netta nella chiacchierata che ci siamo fatti qualche giorno fa, è la sua doppia anima, il suo essere un artista perennemente in bilico tra due nature che difficilmente riescono a coesistere. Mi spiego meglio.
Andando ad analizzare la sua storia e le sue canzoni, si può notare come non abbia mai fatto segreto delle orgini borghesi ma, allo stesso tempo, del suo legame con tutto l’immaginario street, confermato anche dagli artisti con i quali è artisticamente, ed umanamente, cresciuto (in buona sostanza, quasi tutto il roaster Thaurus, di cui lui stesso fa parte). Prendendo ad esempio la sua canzone “Neve”, estratta dal suo primo ep solista “No Hook“, afferma:
E in famiglia io sto bene, potevo non far lo schiavo
Ma me ne sbatto degli utili
Dai 5 stelle a dormire in stazione insieme agli umili
Stesi nei posti umidi
Coi soldi dei miei avrei potuto comprar degli abiti
Ma non impari dalla pioggia se non ti ci infradici
Quindi, da un lato l’aver sempre vissuto a contatto con un certo tipo di mondo e musica e, dall’altro, un ragazzo con una buona istruzione alle spalle – prima liceo e poi università – figlio di un’insegnante di latino, laureata in Lettere moderne, e che da lei ha ereditato una forte passione per la lettura, soprattutto per i saggi storici e di cultura norrena – insomma, vichinghi, Thor, Odino, il rapporto tra barbari e romani e quant’altro.
Un dualismo che, anche nel suo album, appare subito evidente già dal primo ascolto.
Da una parte c’è l’anima che lui chiama “arrogante“, tipica dei singoli di artisti come Guè Pequeno, da cui Matteo (nome di battesimo di Ernia – ndr) ammette di prendere ispirazione – anche, e soprattutto, perché conscio che anche lui è solito alternare questo genere di pezzi con altri ben più introspettivi – e che esce fuori in brani come “Disgusting“, in collaborazione proprio con il Guercio, e “Pas Da Fet” (come anche “Madonna“, una delle canzoni già contenute nel suo vecchio lavoro, in collaborazione con Rkomi). Questo era il lato che più di tutti è fuoriuscito nei suoi precedenti dischi con la formazione Troupe D’Elite: canzoni leggere caratterizzate egotrip e via dicendo.Dall’altra parte l’anima prepotentemente conscious ed amante dello storytelling, di cui ne è esempio il trio finale “Spleen”, “La ballata di Mario Rossi” e “Noia” (la mia preferita dell’album – ndr), che prendere invece ispirazione da Baudelaire e dalla sua opera “I fiori del male“. Riportando le sue parole:
Quando ho letto Baudelaire ho pensato che rispecchiasse un mio sentimento, quello della ricerca dell’ideale e della felicità, che poi magari non avviene. Rincorrere il prossimo obbiettivo e quando lo raggiungi ti accorgi che non è quella la felicità e rincorri quello dopo ma ti accorgi che il tempo sta passando e subentra l’angoscia.
Una profondità che ci ha dichiarato essere sempre stata parte di lui, fin dai primi pezzi che ha scritto, e che aveva accantonato con i Troupe D’Elite perché proprio con quel progetto voleva fare qualcosa di diverso e che ora, per lo stesso motivo (considerando che la leggerezza pare essere diventata la norma), ha ritirato fuori.Concludendo, questa sua ambivalenza è una cosa che a noi piace molto. La domanda è: sarà un’arma o un bastone tra le proprie ruote? questa è la sua idea:
A differenza di altri miei colleghi, il mio pubblico non è costituito principalmente da persone giovani ma prende un po’ tutte le fasce d’età proprio per il fatto di alternare mi capisce sia un ragazzo di 25 anni che uno di 14. “Pas Da Fet” lo ascolta uno di 14, così come “Disgusting“, la ragazzina di 15/16 ascolta “Lei no“, quella un po’ più grande di 20 ascolta “Tradimento“; il ragazzo sui 20/25 ascolta “La ballata di Mario Rossi” o ascolta “Noia”. Questo fatto di alternare e sia la mia disgrazia che la mia fortuna: disgrazia perché non si sa che cosa uscirà, mentre ora tutti vogliono fidelizzare il proprio ascoltatore ad un determinato suono – quindi fanno un pezzo e poi ne fanno un’altro uguale, così come il successivo e via dicendo – e quindi l’ascoltatore sa già che cosa sta per ascoltare perché già lo conosce e gli piace quindi continuerà ad ascoltarlo. Io perdo su questo, perché all’ascoltatore magari è piaciuto il mio ultimo pezzo poi apre il pacco ed l disco non gli piace perché invece voleva la cosa vecchia. La mia fortuna è, invece, che chi entra nel “viaggio” dice “ok, c’è dell’altro”, “c’è alternanza tra i pezzi”, cambia quello di cui parlo ed è una cosa positiva anche se è difficile all’inizio riuscire a mettere radici perché non fidelizza subito.
La nostra è che sia un’arma, anche molto potente. Speriamo che lo capisca quanta più gente possibile.