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Recensione

00.47 a.m. Oh, vita di Jovanotti, al primo ascolto

jovanotti manifesto

Lorenzo ti scaraventa in suoni americanissimi subito con il singolo d’apertura Oh Vita. Rap che ricorda Jovanotti del 1994, un po’ Attaccami la spina e fa piacere risentire quelle rime lì. Un singolo ascoltato e riascoltato e che non merita nemmeno più parole. Il ritorno che serviva, il tocco di Rick Rubin che si sente pesante come un macigno…ma giusto. Il giusto suono per un Jovanotti ormai cinquantenne che aveva bisogno di rimettersi in gioco. E allora ecco arrivare “Sbagliato”, la seconda traccia. Pare Celentano. Se chiudi gli occhi ti ritrovi a 50 anni fa, con delle sonorità che fanno riassaporare i suoni di anni fa. I suoni puliti, i suoni semplici, la melodia nelle orecchie, chiara, cristallina e il racconto di Lorenzo. Un’accoppiata che non stona.Immancabile, a spaccare la linea retta che sembra tracciata, arriva la canzone romantica. Chitarra acustica appena accennata, sembra cantata sul ciglio del letto verso la sua “Fra”. Chiaro di luna è una poesia canticchiata. Ascoltandola ti viene in mente proprio questa scena qui: Lorenzo davanti alla moglie e che le canta questa canzoncina d’amore che arriva al cuore come una spada. Voce, chitarra, poi arriva un “fischiettato” lontano che amplifica l’effetto serenata.

Pazzesco. Un Jovanotti sempre più scarno nei suoni. C’è solo la voce al centro. Tutto il contrario del lavoro fatto da Canova negli ultimi dieci anni tra suoni elettronici e caciara varia. Ma per fortuna i pezzi di Jovanotti hanno sempre retto, perché alla base c’è un’energia e un messaggio. Rick Rubin, qui, te li fa arrivare dritti dritti al cuore. Via tutto. Il centro è Jovanotti, non il produttore.E allora ecco qua che arriva “In Italia”. Inizialmente si potrebbe pensare: ecco qua, questa è la canzone/casino di Jovanotti da fare ai concerti. E invece ti accorgi che sotto c’è solo chitarra, basso, batteria e poco altro qui e là. In prima linea sempre la voce. È Jovanotti eh, quello lì che sul palco salterà come un forsennato ma senza troppe pippe sonore sotto. Il pezzo va, funziona e quasi ti viene da chiederti: ma perché non ha fatto sempre dischi così?

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Le canzoni viaggia sulla stessa rotta, elettronica e tanta roba da ballare live. Ma il bello è questo: qui si balla a metà, nemmeno. E poi arriva il suono americano vero. “Viva la libertà”. Sembra un pezzo di Kid Rock (quello recente), uno di quei pezzi che metterebbero nei grandi film girati a New Orleans o magari più giù verso il Messico. Jovanotti nasce da una cultura nera e americana, eppure ogni pezzo sembra essere un classico pezzo italiano, nonostante le sonorità d’oltreoceano. Un disco pazzesco e siamo solo al sesto brano.“Navigare” non lo capisci. Non capisci che suoni abbia, che ricerca ci sia. Ma non è negativo. È nuovo. Sembra chill out, sembra rap, sembra elettronica. Sembra registrata con un Atari, sembra il miglior pezzo di sempre. Ti spiazza e il “castello di parole” di cui parla Lorenzo lo senti proprio addosso.

Riparte la chitarra leggera, Jovanotti sta cantando dal muretto di casa sua. Avendola vista, immagino sia lì a cantarsela. “Ragazzini per strada” è una favola, una confessione. Si sente tutta la voce di Lorenzo che sforza, magari stona un po’ ma è vera, lo senti davanti a te. Potrebbe essere qui accanto a me mentre scrivo per come la sussurra e per come la chitarra è accennata. Si aggiunge un pianoforte che sottolinea solo gli appoggi degli accordi, poi un violino. Tutto molto semplice, tutto molto chiaro. Tutto molto intimo.

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Quello che intendevi musicalmente ricorda No Diggity e Jovanotti decide di non cantare più ma di raccontare. Tante storie, tante emozioni. Un lungo reportage di vite vissute. Un brano che affonda le radici nel blues, quello vero, quello che i neri usavano per raccontare la vita segnata da lotte e sacrifici. Qui Rubin è chiaramente presente.Che fai? Continui a scendere con la ritmica? Non sia mai. Jova mette in piedi SBAM… che già dal titolo non può certo essere un sassolino leggero. Rap, ritmo dancehall, house, tanti suoni (13 tracce dice Lorenzo, il massimo in questo disco). Questa sarà l’apripista ai concerti, non c’è dubbio. Già me lo vedo correre su e giù sulle note di questa canzone che sarà un pugno in faccia per tutti.

Fermi tutti. Cos’è? Brian McKnight? Un pianoforte jazz che rompe nuovamente gli schemi. La voce stranamente “autotunnata”. Il basso ti riempie le orecchie. Lo segui, non sai se seguire la linea ritmica o le parole. Amoremio parla ovviamente della sua cara mogliettina ma con un’eleganza unica e lontana dal Jovanotti di A te. Anche questa canzone spiazza e non te l’aspetti dal DJ di Cortona.

“Paura di niente”, già rilasciata da un mesetto, si fa ascoltare come “Chiaro di Luna” e “Ragazzini per strada”. Chitarra e voce. Un brano che è già un classico.Si volge al termine: i suoni si stanno lentamente spegnendo. Jova torna a parlare, a raccontare. Non canta nemmeno qui, in Affermativo. Anche qui il riferimento a Lorenzo 1994 è inevitabile, quasi a toccare le corde di “Mario”. Anche qui intimità ma anche tante parole crude, dirette. E bisogna ricredersi. L’album non si sta spegnendo: arriva FAME. Si alzano i bpm, i suoni sono sempre essential. Cassa, basso, suoni elettronici. La voce. Sempre la voce. Sta lì e la segui e sembra che sia una filastrocca che deve accompagnarti all’ultimo saltello in pista. Forse Lorenzo ha detto Rubin: «facciamo un pezzo alla Beastie Boys» e allora esce fuori un brano che dura un sacco e cerco di capire perché 4 minuti e 28 secondi i musicisti suonano. Sembra una jam e forse è così. Approfitto per leggere qualche intervista…

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Si, è una jam lasciata perché a Jova e Rubin piaceva. Un ottimo modo di andare a chiusura. Quasi mi dispiace che finisca.

Ma questo è Oh Vita. Il nuovo album di Jovanotti. Una pizza in faccia. Mai e poi mai mi sarei aspettato un album così e se è vero che Rubin ha detto: “io non posso darti nulla, solo togliere” allora è verissimo. Lorenzo, spogliato di tutta l’architettura di suoni, arrangiamenti, esplosioni, si rivela quello per cui forse 30 anni fa l’abbiamo amato: è un cantastorie. E allora giusto togliere, andare all’essenza, andare al succo delle sue canzoni. Ogni arrangiamento sembra chiedersi: “ah Lorè, che ce voi dì?” e lui te lo dice. Le parole in primo piano, la voce in primo piano, Lorenzo in primo piano. E se questa è la strada intrapresa (e imparata), allora ben venga.
Questo qua è un bel Jovanotti.

a cura di Lorenzo Moriconi

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