
Coez Figlio di nessuno
Rewind è una rap-retrospettiva, che intende dare lustro ad alcuni dei prodotti più sottovalutati del panorama rap sia internazionale che nostrano. Per l’introduzione alla prima puntata della rubrica lasciamo la parola a Coez stesso, con un suo post Facebook del 2013.
Figlio di Nessuno è un album sporco, cupo, arrabbiato, frutto di tutta quanta l’esasperazione di un Coez, allora 26enne, che «c’aveva un demone nel cranio», che non vedeva l’ora di uscire allo scoperto. All’interno di questo album, il rapper romano esprime a più riprese tutta la sua frustrazione e la sua irrequietezza, nata principalmente dal fatto di esser cresciuto senza un padre, tematica cardine dell’intero disco.
Coez è infatti un “Figlio di Nessuno”, il figlio di una città, Roma, che lo ha masticato per poi risputarlo senza esitazioni. Un ragazzo che aveva come unica arma di riscatto la sua musica, e che si sarebbe preso il successo che gli spettava anche a costo di scuoiare il rapper del momento (“Nella casa“) o, più semplicemente, facendo un casino con il microfono in mano.
Con un flow affilato e delle punchline taglienti, il rapper romano affronta e mette a nudo tutte le sue paure e le sue più profonde paranoie, sparando a zero su qualsivoglia target gli si pari di fronte; ne ha per il padre, che a quanto ne sa «mo’ sta in Francia», ne ha per la sua ex che al sol pensiero lo fa vomitare (“E’ colpa tua“), si scaglia contro l’industria musicale e con le major, ed esprime tutto il suo disappunto verso la società odierna e la crescente disillusione di una generazione di ragazzi ormai allo sbando. Un disco che esprime una profonda rabbia generazionale, e che fa da specchio a una sempre più crescente fetta di ragazzi che abitano per le vie della città eterna.
Un prodotto mai banale e che non ha subito assolutamente il peso degli anni risultando, ancora oggi, fresco di uscita. “Nella casa”, “Mi Sono Perso”, e “Sono Stanco” sono solo alcuni dei pezzi che non farebbero fatica, per approccio e tematiche trattate, ad esser collocati nel panorama musicale odierno.Per tutta la durata del disco si assiste a un Coez in un vero e proprio stato catartico, che cavalcando le basi con il suo flow magnetico riesce a trasportarci all’interno delle proprie vicende personali creando un filo diretto con l’ascoltatore.
È proprio questo infatti uno dei pregi di “Figlio di Nessuno”, quello di riuscire, tramite la sua brutale onestà e schiettezza, ad arrivare a qualsivoglia tipo di pubblico e creare da subito un rapporto “empatico” tra l’ascoltatore e artista, un feeling che si crea istantaneamente sin dalla prima rima. Altro punto sicuramente a favore dell’album è il tappeto sonoro che fa da corredo a tutta la rabbia di Coez, questo risulta essere estremamente curato e in perfetta simbiosi con le liriche che si amalgamano perfettamente al mood cupo e claustrofobico del disco.
Unico neo di “Figlio di Nessuno” è, però, l’eccessiva ridondanza delle tematiche affrontate che tendono in alcuni punti del disco, soprattutto verso la sua conclusione, ad appesantire eccessivamente un album già di per sé impegnativo da metabolizzare.
Un prodotto che consiglio di ascoltare almeno una volta, non solo per la qualità intrinseca al suo interno, ma anche solamente per capire come se la passasse il Re Mida attuale dell’indie rap italiano, prima della fama e dei dischi d’oro accumulati negli ultimi anni.