
A settembre 2017 è stato pubblicato il quinto album ufficiale di Ensi dal titolo V , uno degli album più completi, sotto ogni punto di vista, del 2017.
Il 7 Ottobre è partito il live tour V , che ha visto Ensi calcare i palchi di tutta Italia assieme al DJ 2P. In occasione dell’ultima tappa svoltasi a Cagliari il 3 febbraio 2018, lo abbiamo incontrato e abbiamo parlato con lui dell’album e dell’arte del freestyle.
Siamo alla fine del V tour, come potresti deffinire quest’esperienza? Quali sono state le più grandi soddisfazioni che hanno accompagnato questo percorso?
Posso trovare un aggettivo solo, per me è stato un anno (nemmeno un anno visto che il disco è uscito a settembre e siamo a febbraio) intenso. Non è facile dopo tanti anni nel gioco riconfermarsi, continuare comunque a fare rumore, rimanere al top dopo aver comunque resistito a due cambi generazionali. Il primo cambio generazionale l’ho fatto più da protagonista perché dopo il 2012 con Spit e il disco che lo seguì, ci fu un hype incredibile che è poi quello che mi ha permesso di continuare a lavorare avendo sempre questa visibilità, un po’ unica e atipica nel gioco. Dall’altra però era importante in un momento storico come questo, in cui contano le certificazioni, i numeri e la visibilità anche sui social, ritornare forte con un disco dopo, comunque sia, tre anni di stop.
Questo disco in generale per me è stato la consacrazione sotto ogni punto di vista; poi credo che V si sia distinto perché uscito in un momento storico dove questa musica lamentava la mancanza di questo genere di lavori.
Ho percepito e ho capito da parte del pubblico che c’era probabilmente bisogno di questa roba qua. È stato il tour più fortunato che abbiamo fatto, ancora più del 2012.
Ho visto la gente venire a cantare le canzoni del disco perché gli era affezionata. Dal punto di vista discografico invece è stato un disco che ha fatto e fa parlare molto di sé contrariamente a quanto spesso accade nella musica, dove tutto è rapido e istantaneo.
Posso dirti che noi lavoreremo ancora su questo album, facendo uscire ancora dei singoli del disco, prima ancora di far uscire del materiale inedito. Se devo tirare le somme è stata una delle annate migliori da quando faccio questa roba.
Parlaci un po’ del pezzo “Tutto il mondo è quartiere”. Da cosa è nata l’esigenza di fare questo e brano e di farne un remix?
Il pezzo Tutto mondo è quartiere di per sé era già un emblema della multiculturalità, del meltin’pot, delle culture e delle razze che si mischiano. Il pezzo parla di questo fatto che il mondo non è di nessuno; non esistono barriere o confini. Poi, se vogliamo vederlo dal punto di vista musicale, rappresentare le proprie radici, le proprie origini. Per rendere il tutto più hiphop ho pensato di farne un remix chiamando tutti miei amici, cercando di non fare il compito in classe, portando non solo i nomi che si poteva aspettare il pubblico ma persone che avevano qualcosa da dire e che erano perfetti per questa traccia, quindi meticci, ragazzi di origine straniera nati e cresciuti in Italia, che rappano in italiano.
C’è per esempio Mr. Greg che è uno sconosciuto agli occhi di tutti, arriva dalla scena rap sud americana a Milano e che rappa solo in spagnolo. È stato figo racchiudere queste diverse personalità e fare in modo che ognuno di loro potesse dire la sua su questo argomento; credo che tutti abbiano fatto un ottimo lavoro.
Quanto è importante per un rapper oggi saper fare freestyle? Il freestyle risulta fondamentale per poter essere un buon rapper?
Non è più fondamentale oggi; una volta il rapper faceva anche freestyle, era quasi dogmatico perché questa cosa di improvvisare aveva una valenza diversa, soprattutto per chi come me in quegli anni ha potuto affermarsi: me, Clementino, Kiave, Jack the Smocker.
Noi arrivavamo da grandi freestyler come Danno, Tormento e Dargen, quando questa musica non aveva un ampio respiro come oggi. Oggi la scena del freestyle esiste, ed è fortissima, è fenomenale, però i ragazzi che si approcciano al freestyle, la maggior parte almeno, si dedicano solo a quello, il rap è talmente di dominio pubblico, fa così tanto parte del tessuto sociale che questa cosa qua non è più la carta per emergere.
Il freestyle è quasi vista come una cosa a parte, i ragazzi non vogliono fare le canzoni, vogliono essere i più bravi a fare freestyle. Facendo un paragone calcistico è come se il rap italiano fosse la Serie A, e il freestyle invece la gara di palleggi. E a fare i paleggi devono essere i più forti. Principalmente vogliono fare questo, poi fra di loro ci sarà qualcuno che vuole fare delle canzoni o magari le fa già, però vedo che quelli veramente bravi si concentrano solo su questo portandolo alla massima esposizione.
Per quanto mi riguarda un bravo rapper deve saper fare freestyle ma non è una componente primaria, pensa a una delle penne più brillanti, a uno dei rapper più importanti e influenti della storia del rap italiano come Kaos che non ha mai fatto freestyle, o Guè, rapper con la R maiuscola.
Non è fondamentale saper fare freestyle, io ho cavalcato bene un periodo importante dove questa cosa mi ha dato la possibilità di diventare celebre e soprattutto mi piace farlo perchè mi diverte ma ricopre un ruolo marginale all’interno della mia vita.
Io mi sono sempre ritenuto più bravo a scrivere che a fare freestyle, ma quando vinci così tanto da vincere tutto, è normale che la gente ti metta quell’etichetta. Un etichetta che io con i dischi ho sempre cercato di levarmi. Il mio freestyle è stato più grosso della mia musica sino a Rock Steady; per Era tutto un sogno che è uscito in concomitanza di Spit, io ero Ensi che fa freestyle e il disco era il mio biglietto da visita. Oggi è il contrario, Ensi ti canta il disco e poi se ha voglia ti regala una chicca di freestyle.
Qual è stata la caratteristica che ti ha reso il re del freestyle italiano?
Io so, senza togliere nulla agli altri, leggere meglio la situazione. Il freestyle è quello. Ho vinto delle battle che secondo me non dovevo vincere, come quella contro Kiave al 2TheBeat, ho sempre detto che lui è stato più bravo, però io ho letto meglio la situazione e ho girato quelle due rime che dovevo girare proprio in quel momento. So leggere bene il pubblico, so leggere bene il palco, so leggere bene le strumentali e riesco ad essere creativo e ad avere anche le punchline.
Il mio freestyle nasce principalmente da un freestyle molto torinese, che era quello di raccontare la situazione e far divertire la gente, le punchline arrivarono dopo. La mia matrice di freestyler è quella da intrattenitore, poi mettendoci le punchline ho ribaltato il gioco dettando legge, ma questo è stato puramente casuale. Secondo me oggi un freestyler deve avere, ma possiamo estendere al rapper in generale, tanta creatività e stile.
Cercare di essere diversi dall’avversario perché si ha qualcosa che contraddistingue, saper andare sul tempo, saper costruire le rime in freestyle (che non sia quella versione canonica di costruire tre rime a caso e la quarta una punchline).
Fondamentalmente per essere un bravo freestyler devi saper leggere la situazione, essere creativo e se fai le battle non devi lasciare alla gente la possibilità di pensare che il tuo avversario sia stato bravo quanto te. Ho visto tante battle dove il livello è simile, e poi vince uno perché ha fatto una rima un po’ più bella, però torni a casa, ti riascolti la battle e ti accorgi che avrebbe dovuto vincere l’altro.
Non devi lasciare possibilità a nessuno.
Hai affermato in passato di non essere un grande lettore. Come superi questa mancanza?
Direi che i risultati parlano da sé, ho vinto tutto e non ho mai letto due libri di fila. Non sono un amante della lettura perché non sono una persona molto paziente nella vita. Non mi piacciono le cose per cui ci vuole troppa pazienza.
So che mi perdo tante figate non leggendo, e so che spesso mi trovo con colleghi che leggono tanto e capisco che magari parte della loro creatività arriva anche da questa fonte di ispirazione che è leggere. Per me arriva da altre parti, non credo che non leggere libri mi abbia limitato nella mia carriera di rapper. La mia fonte principale è la filmografia, la musica, la vita in generale. La poesia non è che ce l’hai perché leggi le altre poesie, ce l’hai perché ce l’hai. Credo che tutti film che ho visto, i viaggi che ho fatto, tutte le esperienze della mia vita siano una fonte inesauribile di creatività e di ispirazione.
Affermi: “rispetto di tutti paura di nessuno”. Ma hai mai avuto paura di qualche tuo avversario sul paco?
Paura mai, se no non avrei mai detto «Rispetto di tutti, paura di nessuno».
Ricordo al 2theBeat quando vinsi il pari o dispari con Tormento, decisi di iniziare io mettendomi in difficoltà perché lui aveva tempo per pensarci. Però stavo sfidando Tormento, uno dei miei maestri, e io volevo vincere ma non volevo che la gente dicesse “Ha vinto perché…”. No, vinco il pari o dispari e parto io. Se vinco è perché sono il più bravo, se no vado a casa.
Paura mai, rispetto sempre, anche del più scarso che ho avuto di fronte. Ti derido, ti umilio mentre facciamo freestyle ma musicalmente parlando. Non c’è paura ma non c’è neanche abuso di potere, è competizione questa roba, è carnale, è come entrare nel ring e devo dimostrare di essere più forte di te.