È uscito da pochissimo e già sta riscuotendo il meritato successo, schizzando in cima alla “Top 50 Italia“ di Spotify e finendo sulla bocca di tutti: stiamo parlando di Tedua e del suo nuovo disco “Mowgli“, un lavoro che ci sentiamo di consigliare calorosamente e che riesce a fondere contenuti e tecnica con impareggiabile originalità. Qui potete consultare Cover&Tracklist.
Ma facciamo un passio indietro: chi è Tedua?
Tedua, all’anagrafe Mario Molinari, è un rapper classe ’94 cresciuto tra Cogoleto, comune della pariferia ovest di Genova, e Calvairate, quartiere della zona 4 di Milano. Questa doppia provienienza, oltre a rivelarsi spesso nei testi, lo porta ad essere parte attiva anche di due crew: la genovese Wild Bandana (con Izi, oltre a Vaz tè, Ill Rave, Izi, Sangue, fondata nel 2008) e la Zona4Gang (di cui fa parte anche Rkomi).
Artisticamente, si fa notare prima nell’ambito delle jam e delle gare di freestyle sotto lo pseudonimo Incubo, trosformatosi in Duate nei primi pezzi.
Nel 2015 si trasforma ufficialmente in Tedua e pubblica il mixtape “Aspettando Orange County“, prequel del successivo “Orange County mixtape“, uscito nel 2016. A gennaio 2017 pubblica, infine, il suo primo disco ufficiale per Universal “Orange County California“, che contiene brani del tape Orange County più sei nuovi inediti, chiudendo la triologia iniziata due anni prima. Il 2 marzo 2018 pubblica per Sony Music il suo nuovo disco “Mowgli“.
Un rapper controcorrente: originalità, contenuti e Hip Hop
Fin da subito una cosa che non si può negare è stata la sua capacità di far discutere: tra chi sosteneva non andasse a tempo, abusasse di autotune e sapesse fare solo skrrrt, chi ne criticava il personaggio e chi, semplicemente, lo odiava per la sua appartenenza al nuovo filone trap, tanto odiato dal vecchio zoccolo duro del Rap italiano.
Eppure, canzone dopo canzone, sta riuscendo a farsi strada e ad essere sempre più apprezzato anche dai fan di vecchia data, avvicinandosi sempre alla realizzazione della profezia fatta nell’intervista a Sto Magazine un anno e mezzo fa, intervista che già dalla sua pubblicazione aveva convinto molti che c’era qualcosa di più profondo dietro quel ragazzo che rappava “la mia pussy gira in casa in lingerie orientale” (citando il suo pezzo “Lingerie” con Sfera Ebbasta, tra i più noti del primo disco).
Questa rivalutazione sta avvenendo per diversi motivi. Innanzitutto perché si è iniziati ad andare oltre alle apparenze e a capire che c’è del barlume di genio nel suo modo di scrivere, ermetico e fatto di incastri e metriche pazze, e che quel suo flow così particolare è in realtà molto più studiato e difficile da riprodurre di quello che si pensava.
La seconda, ma non meno importante (anzi), è il suo forte legame con la cultura. Anche, e soprattutto, con quella Hip Hop. In un periodo in cui trapper prendono le distanze dal mondo Rap dichiarandosi come qualcosa di diverso (figurarsi parlare di coltura Hip Hop), lui si dichiara, in conferenza stampa, orgogliosamente Hip Hop. In un momento in cui Sfera Ebbasta dichiara di non conoscere i Sangue Misto, lui intitola la prima canzone di “Mowgli” proprio “Sangue Misto“, confessandoci che inizialmente doveva chiamarsi solo “Sangue” ma di come poi, amando da sempre le rime di Deda e Neffa, abbia deciso di omaggiarli. E non solo, riprende anche il ritornello di “Malpensandoti” di Dargen D’amico in “Acqua (Malpensandoti)” – da sempre uno dei suoi riferimenti -e scrivendo, nella traccia “Rital”, barre come:
Hey, alla tua età già mi avrebbero dato degli schiaffi
In faccia per come ti esprimi con tanta arroganza
Rispetta chi invece ne ha fatta di strada
Non rapper ricchi prima della fama
Una vera e propria lezione di stile e umiltà, in una scena in cui non è sicuramente quest’ultimo uno dei valori chiave.
Tutto questo senza contare lo splendido clima di jam venutosi a creare nel party subito successivo alla conferenza stampa, nel quale l’artista ha dato spazio ad amici per dei loro pezzi live e a tanto freestyle, con anche ospiti di eccellenza come Lazza e Cromo in mezzo al cerchio. L’effetto ottenuto, tra il Rap duro e crudo nelle casse e l’odore di marijuana a impregnare la stanza, è quello di un retrogusto da centro sociale ma portato in uno dei locali più pettinati della mondana Milano. Insomma, quel che si dice “combattere il sistema dall’interno”.
Mowgli: la svolta dargeniana con l’eco della strada
Concludiamo l’articolo dando un veloce sguardo al disco: “Mowgli” è un lavoro che assume sempre maggiori sfumature con il proseguire degli ascolti e che, anche noi, dobbiamo ancora metabolizzare completamente, essendo passati ancora pochi giorni dall’uscita.
Una cosa che colpisce occhi e orecchie – e che ci ha francamente stupito – è con quanta cura sia stato affrontato il tema che va a comporre il concept del disco. In quasi ogni traccia, anche quelle più astratte o legate al mondo “street”, c’è un riferimento alla storia di Mowgli (in cui l’artista spesso si impersonifica) o, più in generale, al mondo della giungla. La cosa è rispecchiata, a cascata, anche nei video e nelle grafiche (piccola curiosità: la copertina non è un fotomontaggio, ma una foto reale in un set costruito a Milano) permettendo una immersione totale nel viaggio del “figlio illegittimo della giungla urbana” (cit. dalla traccia “Jungle” del disco).
Come dicevamo nel titolo, anche l’evidenza del Dargen D’amico della prima era è evidente, molto più rispetto al suo precedente disco. A differenza di “Orange County”, nonostante la natura “street” in parte rimanga, i versi appaiono molto più intricati, fatti di incastri e metafore, richiedendo qualche ascolto per coglierne le tante sfumature. Una ricerca della raffinatezza che mantiene la giusta dose di egotrip, dualismo che Tedua stesso ammette in “Sangue Misto”:
Sui trampoli di un ego sproporzionato
Dovrò razionare il mio esser razionale
Se vorrò esser così artisticamente sofisticato
Non essendo questa una vera e propria recensione, chiudiamo l’analisi facendo un plauso all’ottimo lavoro fatto da Chris Nolan sulle produzioni. Senza dubbio lo stile di Tedua è così inconfrondibile da essere riconoscibile a prescindere dal tappeto sonoro – distanziandosi, ancora una volta, da quei lavori in cui sono i beat a fare il 90% del lavoro – ma il produttore è riuscito a confezionare dei suoi che calzano a pennello come un abito su misura, elevando esponenzialmente la qualità del prodotto finale.
Vi salutiamo lasciandovi con la breve, ma molto interessante, intervista fatta in diretta sui nostri canali Facebook e Instagram il giorno dell’uscita del disco.