“20” è l’album d’esordio di Capo Plaza (guarda Cover&Tracklist), uno dei rapper che nell’ultimo anno ha colonizzato maggiormente le classifiche italiane piazzandosi stabilmente in cima alla viral chart di Spotify, generando rapidamente milioni di views su YouTube ad ogni singolo rilasciato.
Era quindi scontato che attorno all’uscita della sua prima fatica discografica ci fosse un discreto quantitativo di hype ed una conseguente crescente curiosità nei confronti di un prodotto che è stato tenuto avvolto nel mistero fino all’ultimo.
Durante la totalità delle 14 tracce che compongono il disco, il rapper, a più riprese, menziona la fame e la voglia di rivalsa di chi proviene dal ”blocco“ di Salerno e cerca di farsi strada nell’industria musicale attraverso la propria voglia di emergere all’interno della scena Trap attuale. Peccato, però, che i buoni propositi non siano suffragati dai fatti.
La prima fatica discografica di Plaza risulta infatti terribilmente piatta e monotona, il che rende l’ascolto dell’intero album eccessivamente complicato. Il tappeto sonoro, curato per la totalità delle tracce dal producer AVA, risulta talmente omogeneo e piatto da divenire per larga parte ripetitivo e ridondante, così da non aiutare di certo lo scorrere delle tracce. Uno dei difetti principali di “20” è proprio questo: quello di non essere abbastanza catchy da far rimanere alta la soglia dell’attenzione dell’ascoltatore per tutta la durata del disco.
Se da un lato il genere, la Trap, non richieda generalmente chissà che sforzo all’interno delle lyrics o quale disamina del mondo odierno in chiave filosofica, sentirsi ripetere in fila gli stessi concetti per oltre 40 minuti di listening è estremamente pesante e tedioso. Andando ad analizzare a fondo infatti il lavoro di Plaza, salta subito all’orecchio come gran parte dell’effetto deja vù sarebbe stato evitabile eliminando alcuni dei pezzi filler presenti al suo interno. “Interlude (ora è la mia ora)”,“Giù da Me” , “J$ JP” se condensati tutti e tre all’interno di un unica canzone avrebbero alleggerito, non di poco, l’ascolto.
Il rammarico più grande di “20” è che il ragazzo al microfono ci saprebbe anche fare essendo capace di intrattenere e divertire, anche se senza particolari virtuosismi. Ma quello che non aiuta di certo è la onnipresenza di fiumi di autotune che appiattiscono totalmente il flow del “Giovane Fuoriclasse” rendendolo così omogeneo da non riuscire più a distinguere le tracce l’una dall’altra.
Un esempio lampante dell’indistinguibilità di alcuni brani è la sequenza “Nike Boy” / “Come Me”, due canzoni che piuttosto che sembrare due entità distinte e separate suonano come una unica macro traccia condividendo sia tematiche che sonorità. Tutto ciò rende molto difficile il distinguo delle varie canzoni all’ascoltatore senza avere sotto mano la tracklist.
Ovviamente non è un album da cestinare totalmente: al suo interno, infatti, è facile individuare le hit che di sicuro proietteranno Capo Plaza nelle classifiche di trending per almeno un paio di mesi: “Ne E’ Valsa La Pena” con il mentore Ghali e “Tesla” con i colleghi Sfera Ebbasta e Drefgold sono infatti i massimi esempi di “Banger” nel vero e proprio senso della parola.
Viste le premesse “20” non è riuscito a mantenere nessuno degli obiettivi prefissatisi all’inizio dell’ascolto: parliamo infatti di un prodotto imperfetto, per larga parte ripetitivo, che non aiuterà di certo a cementare il nome di Capo Plaza nell’élite del panorama rap nostrano.