Ape è uno di quei nomi che alle orecchie di chi ascolta rap da più di 10 anni non suona affatto nuovo. Dopo svariati anni di inattività, nel 2017 ha pubblicato “Gemelli” in combo con Asher Kuno, e il 2 marzo 2018 ha pubblicato il suo nuovo album solista ufficiale: “The Leftovers“. Di seguito trovate l’intervista, ma prima schiacciate play sul player di Spotify. Buona lettura e buon ascolto!
Ciao Ape, bentornato ne lacasadelrap.com! Da un paio di settimane ormai hai pubblicato “The Leftovers”, il tuo quinto album solista che arriva ben 9 anni dopo “Surplus”. Quali sono stati i primi feedback che hai ricevuto per questo tuo ritorno sulla traccia?
I primi feedback sono stati molto positivi dal punto di visto della qualità, nel senso che il lavoro è stato apprezzato e sono andati molto bene anche i preordini della copia fisica. Se parliamo della quantità, a livello di visualizzazioni dei video, non ho avuto grandissimi numeri, ma era una cosa che avevo messo in conto dopo tanto tempo di inattività – escludendo l’uscita di “Gemelli” lo scorso anno con Asher Kuno, che comunque è stato un prodotto di nicchia. La cosa bella è che con l’uscita di “The Leftovers” tanti che hanno ordinato la copia fisica hanno riscoperto e acquistato anche “Gemelli”. Quindi, nel complesso, direi che ho avuto una partenza e un feedback positivi.
L’album si apre con il brano “Debutto”, che è stato anche il primo estratto. In un certo senso questo album per te è davvero un debutto, perché nell’ultimo decennio il rap italiano è cambiato quasi totalmente. C’è stato un ricambio generazionale che ha portato nuovi stili e nuovi sound. Ma anche il tuo rap si è evoluto e risulta al passo con i tempi. Come hai affrontato questa nuova sfida della tua carriera? Cosa ne pensi della scena rap odierna?
Effettivamente l’idea del pezzo era proprio quella: Tornare a fare un album solista ripartendo quasi da zero. Tutt’ora lo stato mentale è quello, mi sento come se stessi debuttando per la prima volta. C’è un sacco di gente che non mi conosce e, paradossalmente, una buona fetta di quelli che mi conoscono è legata a “Venticinque”, “Generazione di Sconvolti” e “Domani” – quindi i primi tre lavori che fatto, dal 2002 al 2005. Mi sono rimesso a fare musica perché avevo l’esigenza di comunicare ed avevo nuovamente cose da dire. Negli anni ho seguito sempre le evoluzioni del rap. In alcuni periodi con la coda dell’occhio, mentre in altri periodi guardandole più attentamente. Nel momento in cui mi sono messo a lavorare a “The Leftovers” – che a differenza di “Gemelli” è un album che ho gestito da solo – ho deciso che mi sarei messo in gioco facendo vedere, dalla prima traccia all’ultima, quella che è l’evoluzione di Ape come rapper. Quindi la prima traccia, “Debutto”, ricorda le atmosfere Golden Age arrivando a “Chiudi gli Occhi”, ultima traccia del disco, che ha sonorità più elettroniche e molto più attuali. L’idea era quella di offrire un percorso in cui si capisse che il mio rap si è evoluto ed è al passo con i tempi. “Evolvermi senza snaturarmi”. E onestamente credo di esserci riuscito bene e questo è uno dei motivi per cui sono soddisfatto di questo album.
“Borghesia Suburbana” è invece il secondo brano (e il primo video) estratto dall’album. Qui racconti la vita dei ragazzi di provincia, con un occhio clinico, ma spietato che quasi non lascia spazio ad un lieto fine. Ad una società che si basa sempre più sull’apparire e sui rapporti sociali basati per la maggiore sulla convenienza, tu metti in contrapposizione i sacrifici e la coerenza del rimanere sempre se stessi, leader di sé stessi. Secondo te è possibile risvegliare la coscienza collettiva delle nuovi generazioni e, se sì, in che modo?
Il pezzo descrive la situazione, per come la vedo io, in Brianza, ma più in generale nelle province italiane descrivendone i clichè. Il culto dell’apparenza, del voler sembrare a tutti i costi ciò che in realtà non si è. Credo che la musica possa dare ancora dei messaggi ai giovani. Attualmente ci sono tante canzoni che passano messaggi di merda dove si parla di droga, di Sprite e codeina o di tè texano. E purtroppo i giovani riescono ad assimilare più questi messaggi perché arrivano più forti, belli da vedere e affascinanti. In realtà c’è anche gente che è in grado di assimilare i messaggi positivi. Non ti nascondo – e questo mi da molte soddisfazioni – che ricevo molti messaggi di ascoltatori che mi dicono che hanno superato dei momenti difficili grazie ad una mia canzone. La prima funzione della musica è intrattenere, la seconda è lasciare un messaggio.
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L’altro video che hai pubblicato è “Leader”; un brano meno impegnato, più leggero, dei precedenti. Come mai la scelta è ricaduta proprio su questo brano?
Dopo Borghesia suburbana ci stava far uscire un pezzo più easy, un banger su una produzione fighissima del Papi. Il pezzo racconta il viaggio in Albania che ho fatto la scorsa estate con Tuno, le cose di cui parla sono tutte cose che ci sono successe realmente!
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Nell’album ci sono anche episodi di storytelling, come ad esempio la traccia “Demoni”. Da cosa prendi ispirazione quando scrivi uno storytelling? Il processo creativo di uno storytelling è diverso da come solitamente scrivi?
Diciamo che non c’è proprio una regola, quando parto con l’idea di scrivere un pezzo non ho subito chiaro come lo andrò a sviluppare, parto dall’idea e dal contenuto, strada facendo capisco se è meglio trasformarlo in una “storia” o semplicemente in un “reportage”. “Demoni” è un pezzo cui tengo molto, racconta tre stadi diversi di paranoie mentali, dagli attacchi di panico, alla depressione all’ossessione pura Le 3 strofe sono 3 storie a se, l’ispirazione me l’ha data il pezzo “My mind playing tricks on me” dei Geto Boys.
In “Attore Non Protagonista” poni dei paletti tra te, che scrivi come rimedio, e chi scrive canzoni per la massa. Ma ti scagli anche contro chi suona vecchio e non si apre alle nuove correnti stilistiche solo per partito preso. Tu, dunque, che ruolo ti dai all’interno del rapgame oggi?
Il mio ruolo all’interno del rapgame attuale è quello di un artista emergente con un enorme gap generazionale con il pubblico che teoricamente dovrebbe essere interessato al genere. Infatti oggi non ci sono più i fan del rap ma i fan degli artisti che fanno rap quindi ti trovi live dove se il main event è un artista affermato ti trovi a suonare di fronte a gente che non è li per il genere ma per l’artista. Ciò significa affrontrare un pubblico che non ti conosce o ti conosce poco. Devo ammettere però che 9 volte su 10 capita che la gente parta dal non conoscermi e finisca subito per essere coinvolta dall’energia del live e dei pezzi, questo è il valore aggiunto dell’esperienza!
Sempre in questo brano dici di essere stato il primo ad aver messo la Brianza sulla mappa. Ci sono artisti brianzini che stanno emergendo adesso e che ci consigli di seguire?
Ci sono tanti artisti che vengono dalla mia stessa zona: Dari e Sbend che da poco si sono rimessi a fare roba, Senz e i ragazzi di Olyo Bollente che adesso gravitano nell’orbita rap pirata e molti altri che nemmeno conosco di persona. Io sono stato il primo ad essere uscito e ad avere gettato le basi per i successivi e non ho mai voluto “allontanarmi ” troppo dalle mie radici camuffandomi come di Milano. A distanza di anni diciamo che rivendico la scelta ed il peso del ruolo che per qualcuno è chiaro e riconosciuto e a qualcun altro, che tende a dimenticarlo, va ricordato ogni volta possibile…
In “The Leftovers” non hai inserito nessun featuring, mentre troviamo un’ampia varietà di nomi tra i producer con cui hai lavorato. Come mai questa scelta di non condividere con nessuno il microfono?
Questa domanda me la fanno in molti, diciamo che all’inizio rispondevo che non c’è stata occasione adesso ti dico che incosciamente è stata una scelta consapevole che tra l’altro ritrovo nei miei 2 artisti contemporanei che seguo di più ossia Kendrik e J Cole. Ciò non vuol dire che nel prossimo disco non ci saranno feat a priori, ci saranno solo se li riterrò necessari!
I diversi beat rendono il disco eterogeneo, ma riescono a dare comunque un senso di continuità a tutto il disco. Come hai scelto con chi collaborare e quali sonorità usare?
Volevo una colonna sonora che rendesse giustizia alle sonorità che mi piacciono di più e quindi ho coinvolto i produttori che più si adattavano ai mie gusti: da DJ Fastcut per il suono goldenage a Eiemgei con le sue produzioni decisamente più contemporanee. Con Ill Papi è partito tutto da un live e da li ho cominciato il disco, con Tyrelli ci avevo già lavorato per Gemelli, Beat Provider era di famiglia già da Gemelli e lo stesso vale per Jack The Smoker che tra l’altro ha mixato tutto il disco. Con Apoc ci avevo già lavorato nel lontano 2011 quindi abbiamo solo dovuto riprendere il rapporto e con Bassi è stato un ritorno alle origini, non poteva mancare! Kanesh è stato invece una scommessa, i suoi suoni sembravano apparentemente molto distanti dal mio rap ma alla fine ho portato a casa anche questa…
L’intervista è giunta al termine, grazie per la chiacchierata! Vuoi aggiungere altro prima di salutarci? Ricorda ai nostri lettori dove acquistare “The Leftovers” e come rimanere sempre aggiornati sulla tua musica.
L’album lo trovate su Spotify ed in tutti gli store digitali. Ascoltatelo condividetelo spingetelo e criticatelo. Se vi interessa la copia fisica potete ordinarla su: www.kunetti.it/shop. Supportatemi ai live e rompete il cazzo ai promoter di zona per farmi arrivare da voi dal vivo con l mia “orchestra”
Grazie a voi de La Casa del Rap che come in passato mi avete supportato in ogni progetto di questa nuova fase!