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Intervista

Le “Notti Brave” di Carl Brave, tra una Fotografia e un pacchetto di Camel Blu

CarlBrave Press1 apr18 Treves preview

In occasione dell’uscita di “Notti Brave“, letto così come si scrive e non “Notti Breiv“, abbiamo avuto il piacere di fare una chiacchierata con Carl Brave, durante la quale abbiamo parlato della nascita del disco, del forte attaccamento alla sua città natale Roma, delle sue influenze in ambito di produzione e del suo personale pezzo del momento.
Di seguito per voi l’invervista per lacasadelrap.com.

Nonostante questo non sia il tuo primo lavoro da solista, è il primo in uscita dopo “Polaroid” con Franco126, che vi ha garantito una notevole visibilità. Ritieni sia stato fondamentale come progetto per la nascita di “Notti Brave“?

Tanto, è stato uno step fondamentale. Con “Polaroid” sono riuscito a trovare la mia quadra, il mio stile, soprattutto a livello di strumentali. Per quanto riguarda i testi, diciamo che il tipo di scrittura lo stavo già maturando prima del disco, ma è stato veramente fondamentale per me come progetto.
Una gavetta che ho dovuto, e che avevo bisogno di fare (ride, ndr).

Sia in “Polaroid” che in “Notti Brave” si respira un senso di familiarità, un’aria di romanità che permea entrambi i lavori. Quanto è centrale per la poetica di Carl Brave la città di Roma? Credi che il dialetto romano al giorno d’oggi sia un limite, oppure pensi dia un qualcosa in più alla tua scrittura?

Roma, per l’evoluzione della mia scrittura è servita tantissimo. I testi prima di tutto li ho “respirati nell’aria” della città prima di metterli per iscritto. Per quanto riguarda il dialetto, io stesso non mi esprimo in romano. Parlo a slogan, un romanaccio semplificato se così si può dire. Uso un gergo che mi è rimasto da quando ero pischello, e che mi ha aiutato a trovare una serie di parole chiave utili per dare un’identità propria ai testi.

Nel 2016 era stata annunciata l’uscita di “Fase Rem“, il tuo presunto primo disco da solista anticipato da “23 Settembre” e da “Pianto Noisy”, presente anche nella tracklist di “Notti Brave”. Quanto del vecchio Carl è rimasto in quello attuale?

È rimasta sicuramente invariata la spontaneità dei testi, mentre invece le basi sono sicuramente cambiate. In “Notti Brave” sono riuscito a trovare un mood più allegro, più spensierato. Adesso infatti c’è più amore, più vita quotidiana. “Fase Rem” invece era stato realizzato in un periodo abbastanza complicato per me, e quindi cantavo di roba scura e di sofferenza. Cercavo di realizzare il mio sogno in tutti i modi, e nel mentre vivevo situazioni di disagio e ansia. Per fortuna adesso, grazie anche a “Polaroid” e a come stanno andando le cose, non vivo quasi più quelle sensazioni. Mi sono diciamo tranquillizzato. Quello che è cambiato di più è stato sicuramente lo stato d’animo, ma ho voluto tenere “Pianto Noisy” in “Notti Brave” per ricordare chi sono. Per ricordare da dove sono partito, e anche perché è una delle mie canzoni preferite. È per questo che è rimasta durante il viaggio.

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Massiccia è la presenza di featuring, che spaziano tra i soliti noti della Crew 126 come Franco e Pretty Solero, a collaboratori di più recente conoscenza come Fabri Fibra, Gemitaiz e Francesca Michielin. Da cosa è dettata una così marcata presenza di collaborazioni?

Le collaborazioni sono nate, diciamo, sia per incontri diretti con i vari artisti che come ricerca per un pezzo in particolare. Con Emis Killa, ad esempio, ci siamo beccati in questo periodo e abbiamo stretto amicizia. Ho voluto collaborare con lui essendo un artista che sento praticamente da sempre e che stimo molto. Con altri invece sono partito dalle strumentali, e ho pensato a quale artista sarebbe potuto starci bene sopra. Su “Fotografia” ad esempio serviva una voce femminile, una voce molto “dolce” e la scelta è ricaduta su Francesca Michielin, perché lei rappresenta un tipo di pop che parla ad immagini. Un pop con una tendenza più indie, un po’ più sporco di quello mainstream. Con Fabri Fibra invece beh, lo volevo in generale come featuring. Avrei voluto fare direttamente ogni pezzo con lui (ride, ndr). Frah l’ho scelto invece perché mi serviva un mood un po’ più allegro per “Chapeau”, mentre con Giorgio Poi, invece, essendo un grande musicista ho deciso di osare un po’ di più, fare qualcosa di diverso. Per questo gli ho chiesto di cantare il ritornello in “Camel Blu”.

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Dando uno sguardo rapido alla tracklist, inoltre, hai deciso di pescare collaborazioni sia dal mondo rap, sia da quello indie/pop. Quale è quindi la tua formula magica?

La formula magica di Carl Brave è appunto quella che dici tu. Unire vari ambiti, sia tramite le produzioni, sia tramite la scelta delle collaborazioni. Le basi sono, nella maggior parte dei casi, create di getto: sono sì pensate, ma allo stesso tempo lascio che mi guidi maggiormente l’istinto, così facendo riesco ad unire più generi. Ad esempio in “Parco Gondar” ho inserito una cassa di stampo reggaeton. È una sfida la mia, unire artisti di genere diversi cercando di farli convivere nel mio mondo. Un mondo che definirei abbastanza vario, né zucchero né sale.

La cosa che subito salta all’orecchio è che tutti gli artisti scelti per collaborare al disco hanno portato qualcosa di loro, una personale impronta all’interno del progetto, adattandosi perfettamente al mood dell’album. Con quale degli artisti si è creato il maggior feeling?

Innanzitutto mi son trovato bene con Coez. Silvano è uno che ha creduto da sempre in me. Con lui insieme a Franco avevamo già fatto “Barceloneta”. È uno con cui si lavora molto bene, sa ascoltare, ha una grande linea melodica, ma soprattutto ha grandi idee. Uno invece che mi ha stupito, anche se me l’aspettavo onestamente, è Frah Quintale. È infatti grazie a lui se il pezzo è cambiato totalmente. È riuscito ad “aprirlo” grazie ai suoi coretti e al ritornello cantato, è riuscito a dargli un altro mood. Per merito suo “Chapeau” è praticamente esplosa.

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Quale è a tuo avviso il pezzo iconico del disco? Quello attraverso il quale vorresti consigliare l’album ad un ipotetico nuovo ascoltatore di Carl Brave.

Questa è una domanda difficile (ride, ndr). Il disco è strutturato a emozioni, a mood, onestamente non riuscirei a consigliare un pezzo in particolare. Carl Brave è sia quello di “Accuccia“, sia quello di “Pianto Noisy“. Ti direi prenditi i tuoi 40 minuti, e ascoltati il disco.

In “Chapeau rappi “e quando famo un viaggio mezzo serio, non c’è mai nessuno con il cavo aux”. Se avessi tu in mano il cavo aux, collegato allo smartphone, che pezzo metteresti in riproduzione istintivamente?

Adesso come adesso ti direi “This is America” di Childish Gambino.

Non sei solamente un rapper, ma anche un abile producer. Quali ritieni siano le tue maggiori influenze in tale ambito? E quali sono i produttori che attualmente apprezzi maggiormente per creatività e originalità?

I produttori che apprezzo maggiormente provengono quasi totalmente dall’ambito dell’elettronica. Ascolto un po’ di tutto, non ho dei veri e propri preferiti. Su due piedi mi vengono in mente Jon Hopkins, Nicolas Jaar, Skrillex. Skrillex tra questi è il mio preferito. Tutta roba che non c’entra con me e con il mio tipo di produzione, ma dalla quale ho tratto molta ispirazione.

Come è stato passare dalla propria “Safe Zone”, ossia Roma e in particolare Trastevere, al dover allargare i propri orizzonti e confrontarsi con una scena più ampia? Come hai vissuto questi mesi di crescente popolarità post “Polaroid”?

L’ho vissuto bene, ero preparato. Sono uno che punta molto all’obiettivo, mi ci sono chiuso a fare questo disco e c’ho creduto tanto.
Mi reputo un lavoratore, come mentalità vengo dal mondo del basket.
Da lì ho imparato a spingere sull’acceleratore, a inseguire l’obiettivo e allenarmi tutti i giorni duramente. Diciamo che è una vita che mi preparo per questo sogno, e appena possibile ci sono entrato a gamba tesa.

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