
MI AMI 2018: dove, chi e quando
Se un appassionato di musica di Milano o provincia sostiene di non conoscere il MI AMI Festival significa solo una cosa: sta mentendo. Da ben quattordici anni, infatti, l’evento è diventato un vero e proprio punto di riferimento per i tanti amanti della musica made in Italy, di quelli in cui inizi a non guardare neanche più la line up perché già sai che ti divertirai: e così sarà anche per il MI AMI 2018. Insomma, una tappa obbligatoria per dare il via alla stagione dei festival estivi al nord Italia, la cui partecipazione è diventata tradizione per molti.
Il 25 e 26 maggio al Circolo Magnolia, come sempre, i nomi che si alterneranno sui 3 palchi messi a disposizione saranno tanti e vari, sia per stampo che per pubblico. Come da manuale la colonna vertebrale del Festival sarà composta dai tanti artisti di stampo indie (se così si può dire), citandone alcuni: Cosmo, Ex-Otago, Colapesce, Selton e Tre Allegri Ragazzi Morti. Non mancheranno, ovviamente, anche artisti rap, o strettamente collegati al genere, come Willie Peyote, Frah Quintale, Sick Luke & Marina, Coma_Cose, DJ Gruff, Mosè Cov, Tauro Boys e Masamasa. Infine, ci sarà anche l’esibizione della popstar Francesca Michielin, oltre alla storica reunion dei Prozac+.Per l’occasione, a meno di una settimana dalla nuova edizione, abbiamo deciso di fare qualche domanda ai due direttori del MI AMI Festival Carlo Pastore e Stefano Bottura (soprannominato Fiz), con i quali abbiamo ripercorso la storia della manifestazione e approfondito l’edizione 2018.
INTRODUZIONE
Volendo fare un’introduzione, avete voglia di raccontarci quest’esperienza – ormai vero e proprio culto per i milanesi – giunta, quest’anno, alla 14° edizione? Com’è iniziata, come sta andando e dove, sperate, andrà?
FIZ: 2004. Tornavo dalla Francia, c’erano la spinta a fare e rischiare, l’incoscienza totale della giovinezza che finiva, un certo stallo generale eppure tanta energia latente. La voglia e la necessità di vedere se quello che avevamo fatto fin là online con Rockit era vero, reale, o solo una pippa nella nostra testa. Be’, più reale del vero si dice in questi casi. L’intuizione è stata dire “proviamoci” e convincere tutti (o almeno, patteggiare per il laissez faire). Voilà la prima edizione del MI AMI, 2005, un’era geologica fa quasi.
Il festival è una costola offline di Rockit.it. Qual è l’apporto del sito all’evento? in cosa si può riconoscere la sua mano?
FIZ: Rockit in questo è stato fondamentale, ovviamente e soprattutto all’inizio e per le prime edizioni, ha dato un senso di comunità e spinto tantissimo. Poi il MI AMI ha saputo trovare una propria identità e forza e ha saputo trascinare anche Rockit in territori e ambiti inesplorati. Questa relazione (perchè MI AMI / Rockit è una storia d’amore) è così bella che, dal mio punto di vista, mi auguro trovi sempre la forza la voglia e il desiderio al proprio interno di continuare e rinnovarsi e figliare. Sul futuro mi auguro che il MI AMI resti sempre quel luogo di curiosità e ricerca e bellezza che è sempre stato. Indipendentemente dalle formule che saprà trovare per restare sempre il festival di riferimento che è.
LA MUSICA AL MI AMI
Il MI AMI è, nella concezione comune, il festival della musica indipendente a Milano: negli ultimi anni, però, si sono esibiti nomi decisamente mainstream, come Carmen Consoli o Francesca Michielin, piuttosto che nomi Indie ormai solo per definizione di genere. Qual è stato il criterio di selezione artistica, da parte vostra, nel corso degli anni?
CP: MI AMI è nato nel 2005 come acronimo di Musica Indipendente a Milano, ma già dopo due anni decidemmo di cambiare quella seconda “I” di “Indipendente” in “Importante”, per spiegare meglio al pubblico cosa cercavamo di fare per la musica italiana e per la città di Milano. Cambiammo perché ci accorgemmo che quell’aggettivo (con il peso culturale che si portava dietro, e che volevamo rispettare) delimitava il nostro perimetro d’azione in maniera ideologica e non qualitativa. Volevamo e dovevamo essere liberi di chiamare gli artisti che ritenevamo importante esserci, per la qualità dei loro dischi e della loro musica, al netto della loro casa discografica o del loro essere DIY. E così abbiamo fatto. Francesca e Carmen sono due artiste molto diverse fra loro eppure importanti, per diversi motivi, e dal mio punto di vista di art director, booker e music programmer sono due delle più belle e intense trattative che mai fatte.
Parliamo ora dell’argomento che più interessa a chi ci legge: il Rap. Quando ha iniziato a entrare nelle line up? C’è sempre stato?
CP: MI AMI 2008, Palco Pertini. In sequenza fra tardo pomeriggio e prima serata Uochi Toki e un mefistofelico TruceKlan, con Metal Carter che dieci minuti prima della performance si accorge di aver dimenticato il cd con le basi e dunque scarta un disco ufficiale e performa doppiando se stesso. Indimenticabile. Da allora ogni anno abbiamo sempre avuto act rap, anche in headline slot (Dargen D’Amico, Noyz Narcos). Nel 2016 si fece uno show a tre Izi, Rkomi e Tedua che rimane ancora storico, con Sfera che sale sul palco come guest. Per non parlare di Coez, Mecna e Loop Loona con Night Skinny che suonarono tutti per la prima volta al MI AMI nel 2013, cinque anni fa. No boundaries, just goodies!
MI AMI 2018
Come è avvenuta la scelta dei nomi di quest’anno?
CP: Ho cercato di costruire la miglior line up possibile, facendo fronte ad un alzamento evidente dei costi, che è legato poi ai numeri che sta facendo la nuova musica italiana in questi tempi. Voglio che il MI AMI sia rilevante come lo è sempre stato, che interpreti il presente e che non si afflosci sulle sue passate glorie. La volontà è di avere sui tre palchi esperienze interessanti e sorprendenti, di mischiare il meno noto al più noto e dunque di permettere a chi viene al MI AMI di diventare una gioiosissima pallina da flipper. Ogni singolo palco ha una sua storia e una sua cultura, così come le singole giornate. Ho voluto considerare ogni singolo slot come definitivo, non ci sono riempitivi, non potevo sbagliare niente.
Una considerazione importante è che, in questa edizione, manchi il sottogenere del Rap più in voga negli ultimi anni: la Trap. Nonostante l’anno scorso si fosse vista la partecipazione della RRR Mob, nel MI AMI 2018 non c’è nessun esponente di spicco del genere (salvo Sick Luke che, però, porta un progetto cantato). Come mai questa scelta?
CP: Così come togliemmo l’aggettivo indipendente proprio per non aver vincoli, neanche mentali di alcun tipo, così non penso alla line up come un grafico a torta in cui rappresentare quote di mercato. Mi faccio trascinare dall’energia. La Trap è un fenomeno incredibile, anche e soprattutto in Italia, ma non è questo l’anno in cui sono uscite le migliori cose. Sono felice di aver Sick Luke, un ragazzo che ha definito un suono generazionale e creato un mondo, in dj set in compagnia di Marina. Ero all’apice della felicità quando nel 2016 comparì Sfera Ebbasta sul palco a performare una epica Ciny con Mace. Sono ancora in credito con Achille Lauro, annunciato due volte ma entrambe le volte saltato per vari motivi. Mi spiace quest’anno non avere con noi Quentin40. Ma sono molto felice per Mosè Cov, il suo al MI AMI sarà il debutto assoluto e io penso che il ragazzo dei tetti di Maciachini abbia davvero tantissime cose da dire, e stile da vendere.
Esattamente come nell’edizione 2016, quest’anno si è passati dalle tre serate storiche a due. È una scelta artistica o un’esigenza organizzativa?
CP: Siamo un po’ swinging da questo punto di vista. Nel 2016 siamo passati a due giornate, l’anno scorso tornati a tre, ora ritornati a due, come nella primissima edizione del 2005. MI AMI è un festival che si occupa di sola musica italiana: è un buon periodo per noi, ma non siamo certo il Regno Unito e gli Stati Uniti, a livello di produzione e numeri. Per mantenere alta l’asticella, al momento due giornate sono perfette, perché siamo costretti a scegliere solo il meglio ed evitare la dispersione. Detto ciò, per me tre è il numero perfetto…
Il MI AMI (in particolare il palco della “collinetta”) è stato però anche palco di tanti artisti sconosciuti, o semi-conosciuti, ai tempi della loro esibizione, ma che sono letteralmente esplosi poco dopo; basti pensare, ad esempio, alla partecipazione di Coez e Carl Brave & Franco 126 dello scorso anno, piuttosto che Calcutta, Ghemon e TheGiornalisti nelle edizioni passate. Possiamo considerare la “collinetta” come un vero e proprio talismano? E volendo fare una profezia, a quali artisti porterà fortuna il MI AMI 2018, secondo voi?
CP: Spieghiamolo così:
2009> Dente
2010> Le Luci della Centrale Elettrica
2010> Brunori
2011> I Cani
2014 > Ghemon
2015 > TheGiornalisti
2016 > Calcutta
2017 > Coez
2018 > Frah Quintale
Frah, non per metterti pressione ma….
NON SOLO MI AMI
Negli anni avete provato diversi esperimenti, come ad esempio il “MI PENSI” (dedicato alla poesia). Come mai si è deciso di non portare avanti il progetto?
FIZ: Perchè dopo anni in cui ci siamo spesi con generosità, abbiamo preferito concentrare le energie e massimizzare il risultato finale. Cioè fare un MI AMI il più bello e ricco possibile (in cui comunque la poesia trovano il proprio posto, vedi la Poetryslamming in Collinetta del venerdì e Il dopofestival di Millefoglie il sabato)
Da sempre il focus del festival è la musica: esiste, però, anche il MI FAI, area dedicata alla fusione tra musica e arte visiva. C’è mai stato il pensiero di creare un evento separato dal MI AMI dedicato a questo?
FIZ: Sì, certo. Ma come per il MI PENSI di cui sopra, il punto è che per fare le cose per bene ci vogliono molte energie. Non solo a livello monetario, ma proprio a livello fisico e mentale. E quindi al momento preferiamo concentrarci. Ma chissà, mai dire mai.
A febbraio avete provato un nuovo esperimento: il MI AMI ORA, versione invernale e ridotta di quella estiva (di cui abbiamo messo 2 biglietti in palio: scopri le competition attive attualmente cliccando qui). Com’è andata? Verrà riproposto nel 2019?
CP: Sono state due serate laboratorio, a febbraio, in cui abbiamo preso il format MI AMI ANCORA (spin off invernale del festival) e l’abbiamo diviso in due eventi comunicati con una grafica coordinata, molto radicale, senza immagini ma solo testo. Il livello musicale è stato altissimo, ho visto grandi show. Per sua natura, il MI AMI ANCORA accade ogni due anni, perciò se ne riparlerà per il 2020.
IL MEGLIO VIENE SEMPRE ALLA FINE
Da anni partecipo, come spettatore o come organizzatore, a diversi festival e ci sono due cose che so per certo sull’argomento: quanto sia impegnativo organizzarne uno e quanto, questo, ti catapulti in un mondo a sé stante, nel quale succede, davvero, di tutto. Immagino, quindi, che in quattordici anni di cose ne siano accadute parecchie. Quali sono gli aneddoti più strani e/o divertenti che potete raccontarci?
CP: Ho visto gente andarsene via facendo rotolare fusti di birra e decine di coppie fare l’amore in Collinetta. Per non dire di cosa ci ha fatto passare Pop X lo scorso anno. La magia del MI AMI spesso coincide con follia, e non ne farei a meno mai.