
A cura di Cristina Breuza
Con Stand 4 What. Razza, rap e attivismo nell’America di Trump, il ricercatore di storia e cultura afroamericana Giuseppe Pipitone, conosciuto come anche come “u.net”, torna con un testo appassionante che fa muovere alla riflessione e all’approfondimento di temi e di problematiche impegnate, edito per AgenziaX. Dopo essersi concentrato su Bigger Than Hip Hop (2006) sugli sviluppi della scena hip hop americana, aver fatto poi un avvincente excursus in Renegades of funk (2008) sulle radici della cultura hip hop e aver quindi tratteggiato il passaggio dell’hip hop dall’underground al mainstream in Louder Than a Bomb (2012), l’autore mette in luce dinamiche, contrasti, presenze, rivendicazioni culturali e dibattici politici della black culture nell’America di Trump.Come in precedenza, una raccolta di saggi di voci diverse evidenziano i processi della società americana. Ad esempio: la profonda disillusione in Obama, accolto prima con ottimismo, speranza e spirito utopistico – tant’è, che nella notte del suo insediamento «il 69% dei neri interpellati della Cnn pensava, che “la visione di Martin Luther King fosse stata raggiunta”.» ( u.net, 2018, p. 34, cit. dell’autore) – e dopo con cupo disincanto. Sono analizzati, poi, il perdurare delle brutalità operate dalla polizia verso le minoranze e in particolare verso la popolazione afroamericana, la strumentalizzazione e la mal informazione perpetrata dai media televisivi versus le manifestazioni e le proteste dei movimenti, che si battono per porre l’accento sulla questione razziale e LGBTQ. L’analisi passa, quindi, a considerare le forme di ri-segregazione (U. net, 2018, p. 83). Per cui le città, centri di mescolamento quotidiano, sono anche il luogo di limitazioni di opportunità di interazione tra strati sociali diversi. Questo fenomeno, meglio noto come gentrification (u. net, 2018, pp. 82- 91), emerge in particolare a livello scolastico.Ne deriva che “città-mondo”, come Oakland ad esempio, molto eterogenee, dinamiche e creative a loro interno contengono, ricorda Marc Augé (2014, p.57), «ogni altro genere di divisione». La divisione più evidente è quella economica; la ricchezza, così come il potere politico sono concentrati nelle grandi metropoli, nelle mani di poche comunità, mentre «la povertà tutto intorno» (u.net, p. 83), su gruppi poveri e marginalizzati. Un fenomeno simile accade in Europa, ad esempio nelle banlieue parigine. Queste dinamiche discriminatorie e segregatici, scrivono Sean Reardon e Kendra Bischoff (2016), indeboliscono l’empatia sociale e portano ad una contrazione degli investimenti in programmi sociali a sostegno della classe media (u. net, p. 88).
Viste queste tensioni interne, il «mondo-città» (M. Augé, 2007, p. 13) diviene “il teatro” e lo sfondo abituale di disagi, di soprusi, di criminalizzazioni, e discriminazioni razziste nei confronti delle persone appartenenti alle minoranze. Ciò è ben incarnato ad esempio, nei video This Is America di Childish Gambino, o in Alright di Kendrick Lamar, oppure Warzone di T.I.. Infatti, nei quartieri, nei sobborghi e nelle aree periferiche, come ad esempio l’area metropolitana di St. Louis, oppure Baltimora, Cleveland e Detroit, certe categorie di persone sono criminalizzate e incarcerate più di altre. Ciò dipende da una serie di deprivazioni di sicurezze economiche e sociali che possono, come una “profezia che si auto-avvera”- portare a compiere degli illeciti. Gli illeciti, però, come dichiara Boots Riley, non sono dovuti a «cattive attitudini o carenze culturali» dei poveri e delle minoranze (u. net,2018, p. 159), ma ad una necessità di sopravvivenza, da una necessità di migliore le proprie chances, una necessità di esprimere il proprio potenziale personale. Il disagio per le proprie possibilità di vita limitate, infatti, può portare al disadattamento; quest’ultimo alla devianza. Tuttavia, essa non è esclusivamente di segno negativo, ossia orientata alla rottura delle norme/regole sociali e dei vicoli etici e quindi alla delinquenza. Vi è, come ricorda Common, un grande potenziale nelle carceri (u. net, 2018,p. 164). La devianza può essere in positivo e incarnare l’espressione della libertà della persona di andare oltre alle attese nei suoi confronti e alla condizione marginale in cui si trova allo scopo di modificarla, di migliorala (L. Milani, 2006). Così, si oppone ai processi di etichettamento, non solo, come sostiene anche la femminista Bell Hooks, dimostra come:
«la marginalità non rappresenta necessariamente un luogo di privazione… Può anche essere un ambito per la nascita di » un nuovo « spazio di resistenza» (u. net, p. 164).
Da condizioni marginali possono nascere forme di resilienza, nonché di resistenza. Il potenziale, di cui parlava Common, silenziato nelle carceri, quando ha la possibilità di esprimersi nella tensione artistica e nelle consapevolezze attivistiche di qualità, diventa una posizione critica di denuncia circa lo status quo. Pensiamo al film Black Panter , oppure al movimento BlackLivesMatter, oppure alla canzone di Kendrick Lamar “Alright”.
In modi diversi queste sono capaci di congiutivizzare la realtà, u. net a proposito suggerisce:
«Nel profondo di Wakanda giace la domanda esistenziale più importante: “Se non ci avessero ridotti in schiavitù che cosa sarebbe successo?”» (u. net, 2018 ,p. 11).
Si esprime, quindi, con tinte e toni differenti in diverse opere d’ingegno artistico, letterario e cinematografico un movimento di resistenza. In questo, espressioni artistico-culturali anticonformiste, creative, sperimentali e inedite, si saldano all’impegno politico e sociale. Esse diventano, così, miccia e benzina dei contrasti, ma anche del cambiamento che attraversa, nonostante le resistenze bigotte e limitanti, che caratterizzano la società americana.Resistenze che portano, più o meno consapevolmente e/ o in modo deliberato e violento, a considerare l’attivismo antifascista di sinistra, che cerca di opporsi al razzismo quotidiano (u. net, 2018, p. 177), come estremismo; e l’impegno culturale e artistico è ridotto ad una carnevalata bizzarra ed estrosa non comprensibile. A proposito, pensiamo all’interpretazione che è fatta delle manifestazioni Lgbtq; oppure a Beyoncé al suo omaggio della cultura nera e ai suoi tratti meno compresi e accettati durante il Coachella Festival (u.net, 2018, pp. 243-244).
Questo volume è un insieme di contributi vibranti ed capace d’increspare il pressapochismo con cui si tratta la “diversity” nella quotidianità. Infatti, il lettore è guidato a fare un confronto tra quello avviene nella società americana e quando sta accadendo, facendo i distinguo del caso, con il contesto italiano.
Tuttavia, un’ulteriore consapevolezza che si matura a seguito della lettura del testo considerato è l’importanza della fruizione di opere d’ingegno culturale, artistico-musicale impegnate e l’ascolto attento delle liriche. Esse, contenendo disagio e disadattamento verso una situazione ingiusta e discriminante, sono colme di potenziale sovversivo e stimolano l’empatia sociale verso situazioni più o meno liminali. La presa di posizione contro le dinamiche e i processi della realtà quotidiana, apre, così, degli interstizi al cambiamento sociale e di mentalità, indipendente dalle sue logiche abituali. La cultura hip-hop, infatti, sfida logiche ordinarie, originando un movimento straordinario e globale.1 Carolina Pacchi, Costanzo Ranci, White flight a Milano. La segregazione sociale ed etnica nelle scuole dell’obbligo, 2017, Franco Angeli – Collana del DAStU, Politecnico di Milano.
2 Pensiamo al disco appena uscito di Luché in cui il filo conduttore, nonché titolo dell’opera, è volontà di raggiugere il potere non per sé stesso, ma per opporsi ad certe dinamiche della società italiana.