
Buon anno, innanzitutto! L’onore di aprire questo 2019 spetta a Passepartout, la rubrica che ti porta alla scoperta di ciò che è successo al di fuori del confine italico.
Anno nuovo, ma puntata in versione throwback: andiamo a ripercorrere i cinque topic principali che hanno influenzato lo scorso anno (e probabilmente anche quello che è appena iniziato). Come di consueto, la nostra playlist: per questa occasione, vi faremo ascoltare la nostra TOP50 del 2018. Mettetevi comodi, appizzate al massimo il volume, e buona lettura!
La caduta degli dei: quando i più attesi floppano
Con la carrellata di titoli annunciati, il 2018 si aspettava essere un’annata coi controfiocchi per gli ascoltatori di musica hip-hop/urban. Tutti i palati sarebbero stati accontentati: da chi voleva qualcosa di più classico, a chi aspettava l’uscita più trap, sino agli album delle grandi superstar internazionali. Ma…
Come se fosse di cattivo auspicio, Eminem chiuse il 2017 con un album decisamente sottotono, e volto più ad accontentare tutto il pubblico che realmente a dimostrare il suo valore di icona rap. E a continuare sulla scia delle delusioni, a metà gennaio è arrivato questo :(Sì ragazzi, CULTURE II è stata una botta non indifferente da cui ancora, ad un anno di distanza, non mi sono ripreso. Ok, la sopracitata Narcos ha il suo mood, che in tempo zero ti catapulta in Colombia e ti fa parlare a colpi di MARICON e MALPARIDO. Ma siamo sinceri, 24 tracce e tutte molto simili, quasi due ore di album che equivalgono ad un colpo in testa ben assestato. Peccato, perché il primo capitolo rimane tuttora una vera pietra miliare della trap (qui, per rinfrescarvi la memoria, la nostra recensione).
Anche in singolo, non si salvano…
Se il flop di gruppo poteva essere inaspettato, forse non ci si aspettava un così basso risultato dai lavori dei singoli. Già, perché l’autunno ci ha regalato i progetti solisti di due terzi del gruppo di Atlanta: mi riferisco a Quavo, fuori ad ottobre con Quavo Huncho, ed a Takeoff, che il mese successivo ha pubblicato The Last Rocket. Se il primo non ha convinto per niente, visto che si sono riscontrati gli stessi difetti che avevo trovato nel disco del collettivo, il secondo è sicuramente un passo avanti, con più varietà di strumentali ed anche uno sguardo più introspettivo dentro al personaggio.
Tante bocciature, non solo il trio…
Ma il trio di Atlanta è in ottima compagnia, non disperatevi! Altro flop (nonostante la #2 al debutto in Billboard 200) va recapitato a Lil Yachty, che col sequel di Lil Boat non ha lasciato traccia di alcun tipo nei nostri ricordi.
Scorrendo gli album usciti nel corso dell’anno, altra grossa delusione è stato beerbongs & bentleys di Post Malone. Il tatuato artista newyorkese ci aveva abbagliato coi suoi sentimenti e la sua voce straziante, pompato ancora maggiormente dalla hit dello scorso anno, quella Rockstar che difficilmente ci toglieremo dalla testa. Ma…Il disco è zeppo di tracce (ben 18, per più di un’ora di musica), in cui si contano appena cinque featuring. Ma pure qui, il problema grosso è la monotonia: Posty lo ascolti con Paranoid, opening track, fino a Sugar Wraith, l’ultima, e non trovi un filo conduttore. Certo, le canzoni da milioni di ascolti ci sono, eccome (giusto per citare le prime che mi ricordi, Better Now e Otherside) ma la sensazione è che col precedente Stoney l’artista abbia osato di più, mentre adesso si sia accontentato di aggraziarsi il pubblico tutto.
Album o playlist? Tanto rumore per nulla…
Ricollegandoci al paragrafo precedente, abbiamo più volte sottolineato come la “moda” dell’anno sia stata quella degli album/playlist. In Italia c’è chi non ha nemmeno tentato di mascherare questa cosa, dando al proprio disco il titolo Playlist, negli USA invece si è preferito infarcire di tracce gli album, allungare enormemente il tempo di ascolto, senza che il disco abbia un concept lungo tutta la sua durata.
Gli esempi li abbiamo elencati sopra: Post Malone, Migos, Rae Sremmurd, Quavo…Potremmo andare avanti ancora un po’, ma il discorso è relativamente semplice: nell’era del digitale, in questi anni che Spotify sta sempre più allargando il suo raggio di azione, ed in cui la modalità shuffle regna sovrana sui nostri dispositivi, l’avere una ventina di tracce all’interno del disco permette anche agli artisti di guadagnare in modo maggiore con gli ascolti. Inoltre, l’ordine delle tracce è ininfluente, e molte di esse possono essere inserite nelle varie playlist che la piattaforma ti consiglia. C’è sempre un discorso economico dietro, altrimenti non si spiegherebbero dischi dalla durata di quasi due ore…
Ma c’è chi è andato controtendenza…
Yeezy season, o anche breve è meglio
Di Kanye abbiamo parlato tantissimo quest’anno. Per chi ci segue assiduamente, sa che bene o male ogni mese qualche news la avevamo, tra deliri ed uscite posticipate… La vera realtà, però, è che Mr. West anche quest’anno ha creato una tendenza, è andato contro i soliti canoni ed ha sconvolto il mercato musicale!
Da 808 & Heartbreak sino a Yeezus è riuscito ad alzare l’asticella, a saltare ad un livello successivo, è con la Yeezy season di giugno ha confermato le aspettative!5 Ep, ognuno da 7 tracce, tutti prodotti da lui. Pochi fronzoli, zero spazio ai filler, dritti al punto: queste più o meno le caratteristiche dei progetti usciti ad inizio estate. Pusha T, lo stesso Kanye (in singolo e poi in combo con Kid Cudi, sotto lo pseudonimo di Kids See Ghosts), Nas ed a chiudere Teyana Taylor.
Tutti diversi tra loro, tutti ipercurati a livello di strumentali, ma col medesimo risultato: tenere l’ascoltatore sul pezzo per quei venti minuti di ascolto, intento a sgamare il campionamento utilizzato o la barra figa chiusa da Pusha. Sono il primo ad ammettere che, lì per lì, ho fortemente insultato questo tipo di progetto (“anni che non ascolto un disco di Pusha, e mò se ne esce con sole 7 canzoni..” pensavo tra me e me).
A mesi di distanza credo che quei progetti siano perfetti così come sono, nonostante la loro “brevità“: non c’è niente da aggiungere, non ti stanchi mai di ascoltarli.
Avremo, in futuro, più progetti del genere? O ci rimarranno solo album da due ore di ascolto?
L’importanza di chiamarsi producer
Hanno raggiunto ormai la notorietà di chi sta al mic, tanto da far uscire i loro progetti nel corso dell’anno, tutti molto attesi per giunta!
Metro Boomin col suo Not All Heroes Wear Capes, Swizzbeats con Poison, ma anche la OST di Creed II firmata nientedimeno che da MikeWill Made It: è stata veramente una stagione esaltante per i producers, che hanno visto il loro lavoro messo in primo piano, spesso anche maggiormente rispetto ai rappers.Anche la colonna sonora del cinecomic Black Panther firmata da Kendrick Lamar va catalogata tra le sorprese dell’anno: mai un film di tale portata si era legato a doppio filo con l’artista hip-hop del momento (a febbraio ne avevamo scritto qui). Un disco che è trascinato sicuramente da All The Stars, con la voce bellissima di SZA, ma che ha una sua anima di fondo, tribale come l’Africa nera delle origini del supereroe interpretato da Chadwick Boseman.
Detto anche della OST di Creed II, cosa potevamo aspettarci di più da questa stagione?
Cronaca nera
Tante, troppe le cattive notizie che ci sono arrivate dall’altra parte dell’oceano nell’ultimo anno. Dall’abbandono di Ameer Vann dal collettivo Brockhampton, accusato da due donne di violenza sessuale e quindi cacciato dagli altri membri del gruppo, sino al recentissimo arresto di 6ix9ine, che addirittura si vocifera rischi l’ergastolo (ne abbiamo parlato in modo approfondito qui).
Come se non bastasse, la sparatoria in cui è rimasto coinvolto il 18 giugno XXXTentacion in Florida, e l’overdose di Mac Miller il 7 settembre rimangono due delle notizie più tragiche degli ultimi anni nella scena. La morte di due artisti così giovani ed apprezzati ci fa ricordare questo 2018 con tanto amaro in bocca…