

Highlights è la rubrica de lacasadelrap.com in cui l’artista racconta in prima persona i momenti fondamentali della propria carriera, ripercorrendoli cronologicamente e trasportando il lettore nel suo percorso artistico fino ad oggi.
Attraverso questa breve chiacchierata, guidata dalle domande chiave, l’artista ricalcherà i passi fatti durante il proprio percorso componendo un vero e proprio racconto, soffermandosi sugli aneddoti che ne hanno costruito il personaggio e la persona, sino ad arrivare ad analizzare la sua posizione attuale nel rap game italiano. Highlights vuole creare un momento di intima connessione tra autore e lettore, coinvolgendo quest’ultimo nelle pagine della storia dell’artista in maniera inedita e del tutto originale.
Il terzo ad aprire il libro dei ricordi è Macro Marco. Il produttore calabrese, in collaborazione con Don Diegoh, ha pubblicato il 14 dicembre scorso il suo ultimo progetto: Disordinata Armonia.
Parlaci del tuo primo approccio col rap e di come è avvenuto.
Ho avuto la fortuna di “sbattere la faccia” addosso al rap molto presto. Nel tempo ho iconizzato come primo disco in cui mi sono completamente immerso, il vinile di una compilation di Radio Deejay dal titolo Deejay Rap dove, nel 1988, ho ascoltato, per la prima volta, Public Enemy, Run DMC, Beastie Boys, LL Cool J, etc etc. Avendo 9 anni, la consapevolezza era ovviamente nulla, ma la voglia di scoprire altro infinita. Da lì, grazie anche ad amici più grandi di me, mi si è aperto un mondo, anche quello legato al fenomeno delle posse italiane. Se dovessi tirare fuori un pezzo dal cilindro ed incorniciare quel momento, infatti, farei un piccolo salto in avanti e ti direi Passaparola dell’Isola Posse All Stars.In che momento hai deciso che il rap sarebbe stato il tuo “lavoro”?
Di base tendo a reputare lavoro più la gestione della label rispetto a quello che riguarda strettamente me come artista, quindi l’highlight è sicuramente il momento in cui ho deciso di mettere in piedi Macro Beats (lasciando oltretutto il mio posto di lavoro del tempo). Detto questo, il pensiero in testa c’è forse sempre stato, ad un certo punto ho capito che dovevo soltanto tirarlo fuori e quindi ho iniziato ad usare proprio la mia testa… per prendere a capocciate le cose della vita, e per fare sì che i pianeti si allineassero. Sono stato estremamente fortunato ad incontrare un sacco di persone che hanno creduto in me e nella mia idea, e che mi hanno aiutato e agevolato nel mio percorso. Senza di loro non so se sarebbe andata così. Il brano di sottofondo è Abbiamo Solamente… di Ghemon, non il primo brano firmato Macro Beats, ma quello in cui, forse, abbiamo iniziato a fare realmente sul serio.
Se dovessi indicare un pezzo che ti ha “cambiato la vita” tra tutti quelli da te pubblicati quale sarebbe? E perché?
Onestamente non credo ci sia. Magari non c’è ancora, o magari non ci sarà mai. La vita me l’ha già cambiata l’Hip Hop una volta, e mi va bene anche così.
Se dovessi immaginare la tua carriera come la scalata di un monte, quale è stato il punto più alto da te raggiunto?
Mi viene seriamente difficile pensare ad una cosa in particolare, anche perché ho avuto, e continuo ad avere, la fortuna di riuscire a godermi più traguardi, anche quelli che possono sembrare piccoli. Più che come uno scalatore, forse mi vedo come uno di quegli esploratori che partono per quelle missioni impossibili, in posti ancora da scoprire, che qualche montagna la dovranno pure scalare, ma non è il loro fine, fa solo parte del viaggio. Ecco, come loro, quando mi fermo, guardo con gioia a quello che ho lasciato indietro, e, prima di ripartire, penso: “Cazzo, sono ancora vivo. Andiamo.” In sottofondo suona My World di O.C., che, se vogliamo, in qualche modo parla di questo concetto e che, sicuramente, è uno dei brani più longevi nella playlist che ho preparato per affrontare questo mio lungo viaggio.
Quale è il ricordo più stretto, legato al rap, che porti con te?
La maggior parte delle mie amicizie, dei miei affetti e delle mia storia è legata al Rap, all’Hip Hop in generale e alla sfera della musica che mi ha circondato, che mi ha cresciuto per quello che sono oggi e che mi ha portato ad avere determinati valori, a frequentare determinati posti, determinate persone e a farmi un’idea mia della vita. Porto quindi, inevitabilmente, con me, stretto, il pacchetto completo dei ricordi del passato che, in qualche modo, dà vita al mio presente e al mio futuro. Però, dato che non voglio mandarti in bianco anche con questa risposta, ti racconterò della volta in cui probabilmente ho avuto più ansia, potremmo dire quasi paura: era da poco uscito Sotto Assedio, il primo EP dei Cor Veleno, ed i ragazzi erano in cartellone in una grossa Jam nelle zone di Foggia se non sbaglio, in un Palasport. Squarta non poteva essere presente e quindi chiesero a me se volevo accompagnarli come DJ, ed io, ovviamente, accettai. Credo di aver passato tutto il tempo del viaggio e tutto il tempo prima del Live con la doppia copia del vinile da cui avrei dovuto cuttare le strumentali, stretta, tra le mani, ripetendomi in testa “ecco qua, mo’ sicuro faccio qualche cazzata e mando a puttane tutto”. Solo una volta arrivato in consolle subito prima di iniziare, poggiati i dischi sui piatti ed aggiustato l’asta del microfono per le doppie ho smesso di ripetermelo, dicendomi “basta cazzate, fai quello che devi fare, cose facili e portiamola a casa”. Alla fine del Live, che fortunatamente andò liscio come l’olio, mi sentivo un King a livello Super Sayan! Questo è un ricordo che, seppure in partenza quasi negativo, tengo molto stretto (e che probabilmente non avevo mai raccontato) intanto per motivi personali, dato che i Corve per me sono un punto di riferimento, già da prima che diventassimo amici, e poi perché mi ha insegnato e continua a ricordarmi che quando il tuo lavoro e/o le tue azioni, influiscono sul lavoro e le performance (in senso lato) di altre persone che di te si fidano e che ritengono che tu sia la persona giusta per quella cosa (qualunque sia), in quel momento, te la puoi sentire calla quanto vuoi come puoi e allo stesso modo essere mangiato dalle ansie di non essere adatto. In entrambi i casi, non c’è spazio per essere superficiali. C’è solo spazio per fare il tuo, al meglio, anche se non sei il migliore.
La carriera musicale, come anche la vita di tutti giorni, è rappresentabile metaforicamente come un grande palco sul quale dare il meglio di sé. Arriva il punto però in cui le luci del palcoscenico si spengono e tutto il teatro rimane al buio. Hai mai pensato a quel momento, musicalmente parlando?
Ci penso in continuazione! Sono arrivato ad una facile conclusione però: se sono io quello che spegne le luci, tutto apposto. Se qualcuno le spegne mentre io sono ancora sul palco, tutto apposto uguale. Possiamo continuare a suonare anche a luci spente, non mi interessa che mi si veda in faccia.A cura di Aniello De Stefano e Davide Buda.