
Classe 1991. All’anagrafe, Arnaldo Santoro. Nella vita, preferisce Ainé. In archivio ha già qualche bel lavoro – Generation One, poi l’ep Uni-Verso e poi finalmente arriva la sua ultima fatica, un nuovo album in cui per la prima volta è autore unico di testi e musica. Un progetto che paradossalmente si dà il titolo di Niente di me, dove invece c’è praticamente tutto di lui, di questo ragazzo cresciuto a pane, hip hop e soul, in un via vai di viaggi verso gli States e con un background musicale abbastanza solido da poter librarsi in aria e volteggiare verso sperimentazioni più audaci. Alcuni singoli ad anticiparlo, e poi, alcuni featuring con dei nomi a noi pubblico del rap piuttosto familiari (Mecna e Willie Peyote).
Tutto il suo trascorso musicale si evolve e prosegue quindi in questo nuovo progetto in una scrittura più pop e più ricercata, mantenendo sempre una fedeltà alla natura prima dell’artista, che con sé nel tempo ha collezionato anche diverse collaborazioni – tra tutte quella con Giorgia nel suo ultimo album di cover Pop Heart – che lo rendono di fatto uno dei volti e delle voci più interessanti di questo 2019 in piena partenza.
La redazione de lacasadelrap.com lo ha incontrato nella sede di Universal Music Italia per fargli qualche domanda sul nuovo album – che vi consigliamo di mettere subito in play.
Buona lettura!
Niente Di Me arriva dopo Generation One e dopo l’assaggio dell’ep Uni-Verso che risale ormai ad un anno fa. Sei soddisfatto del lavoro fatto fino a questo momento, fino al lancio di questo nuovo progetto, e cambieresti qualcosa del passato per arrivare comunque a questo risultato?
Sono molto contento del risultato perché è stata un’evoluzione naturale di cambiamento, da ciò che ero prima a ciò che sono diventato. C’è stato un lavoro di ricerca e di ascolti, di suoni specifici e di canzoni, durato circa un anno e mezzo con la band, e credo che Niente di me sia un ottimo inizio per avviare un nuovo percorso.
Alle tue spalle hai anche delle collaborazioni davvero importanti: solo per citarne alcune, Giorgia, Gegè Telesforo, Sergio Cammariere, Davide Shorty, ed inoltre hai aperto i live di Robert Glasper e Solange. Come valuti queste esperienze? Cosa porti di queste nel tuo lavoro come solista?
Guarda proprio l’altro ieri, chiacchierando col mio manager, pensavo che fino ad ora, da quando ho iniziato nel 2016, ho ricevuto l’appoggio degli artisti che stimo tantissimo (tra cui anche Ghemon, Mecna, Gemello e Willie Peyote). Ogni artista mi ha dato qualcosa di diverso e di bello.
L’ultima collaborazione, quella per certi versi più inaspettata, è stata Giorgia: mi ha scritto su Instagram dicendomi di voler duettare sul suo ultimo album, Pop Heart, e ritrovarsi su un disco del genere, assieme ad artisti del calibro di Ramazzotti, Elisa, Tiziano Ferro, Jovanotti fa un certo effetto. Lì effettivamente qualcosa era cambiato…
Ogni feat mi da sempre qualcosa di nuovo e di positivo da prendere.
Niente di me segna anche il passaggio importante alla completezza di un progetto in italiano. Esigenze di mercato o semplice volontà di scrivere qualcosa di più efficace e diretto per il nostro paese? Pensi che l’inglese tornerà a far parte della tua musica?
L’inglese fa parte della mia musica, Stay è uscita appena un mese fa. Diciamo che questo album volevo scriverlo tutto in italiano proprio per dare un cambiamento più marcato. Voglio dare al pubblico una cosa che mi chiedeva e si aspettava da tempo, è stata un’evoluzione naturale (la pensavo già da Generation One, che era metà in italiano) ma non credo che abbandonerò l’inglese, abbiamo già qualche singolo per l’estero pronto, abbiamo provini anche in inglese… Non so cosa accadrà in futuro, mi voglio concentrare solamente sul disco appena uscito.
Parliamo anche dei featuring: come mai la scelta di due esponenti del panorama rap – anche se nella sua accezione più indie – ossia Mecna e Willie Peyote? Come sono nate queste collaborazioni?
La mia base è l’hip-hop, io vengo da lì. Ci tenevo ad avere due rapper di spessore nel mio album, e con entrambi siamo molto amici e c’è un bel rapporto umano, inoltre ci stimiamo l’uno con l’altro ed è stata di conseguenza una cosa automatica volerli con me sul disco. Sono anche due dei brani che sono piaciuti di più, sono contento di aver avuto l’intuizione e la lucidità di averli messi su delle tracce adatte a loro!
Dal punto di vista delle produzioni invece ti sei lanciato in un esperimento che esplora e dà spazio più alla melodia che al sound elettronico, un suono molto analogico che coinvolge strumenti veri e pochi elementi digitali. Come si è costruito il lavoro in studio e con chi hai collaborato? Da che punti di partenza avete iniziato a comporre? Perché hai scelto strumentali semplici ed efficaci, piuttosto che riempirle di inutili sovraccarichi?
Credo che la cosa più importante sia la melodia di un brano: questa è la chiave di un pezzo che ha mille strumenti in funzione, ma se lo suoni col violino, col mandolino o col pianoforte ha la stessa funzione. La melodia per me è la cosa principale… Abbiamo voluto registrare questo album con la band, chiusi in studio ad arrangiare e produrre per due settimane, e credo che quello sia il risultato di un album vero, non è troppo post prodotto. Come hai detto te, c’è molto di analogico, ed era proprio quello il senso che volevamo dare al progetto: Ainé sono io, è il mio nome d’arte, ma io ho sempre la stessa band da quando ho iniziato questo percorso e senza di loro non sarebbe uscito un disco del genere.
I temi sono svariati, ti rivolgi ad un pubblico indistinto, poi ad una persona ben precisa con la title track, ma sembra di cogliere sempre il punto chiave dei brani: una forte ricerca di libertà individuale ed i dubbi che ci assalgono nel rapporto con l’altro, un equilibrio instabile. “Sono un alieno in mezzo al mondo, che vuole solo vivere”: come vivi questa sensazione nel quotidiano? A cosa è dovuto questo disagio interno?
Credo che l’artista, di base, abbia un disagio, altrimenti non avrebbe fatto l’artista. Abbiamo dei Mostri (titolo del pezzo con Mecna) dentro di noi, ed io personalmente riesco ad esternarli solo attraverso la musica. In questo disco mi sono totalmente voluto mettere a nudo, racconto di me e do all’ascoltatore un modo di potersi immedesimare: in un pezzo in cui magari parlo di amore si può credere che io parli ad una lei, ma forse io parlo alla società in toto, o ad un amico che mi ha fatto male… È un po’ esoterico come linguaggio. E, pur parlando di me in prima persona, credo di essere riuscito a far immedesimare l’ascoltatore, e quella per me è la cosa fondamentale, non ha senso fare musica per se stessi.
Ascolta bene è la opening track del disco. Chi sono i destinatari di questo tuo nuovo disco? Che tipo di pubblico hai avuto di fronte da quando hai iniziato a fare musica, e cosa ti aspetti di diverso da questo nuovo album che ti vede coinvolto nel lavoro con una major?
Con questo album giochiamo sicuramente in serie A! Abbiamo scelto di iniziare con Ascolta bene proprio per far capire subito la situazione, molto sfacciati! Pensa che qualcuno se l’è anche presa quando dico “Io che vinco il gioco, Io che arrivo in alto, Questo è il mio momento, No che non mi fermo, Io non vi sopporto, Siete tutti uguali”. È una cosa ironica, io non ce l’ho con nessuno, ma mi fa piacere che qualcuno se la sia presa, vuol dire che hanno la coda di paglia!
Tornando alle esigenze che emergono dal disco: sembra quasi che tu voglia essere lasciato solo per meditare sul tuo posto nel mondo, in cui ti senti perso, ma poi trovi un appiglio a cui aggrapparti. Qual è il tuo consiglio per i giovani d’oggi che, alla tua stessa età, vivono le tue stesse difficoltà e che hanno bisogno di credere in qualcosa?
Per quanto riguarda il mondo della musica, il cantante penso sia uno dei lavori più difficili del mondo: oltre ad essere un lavoro complicato fisicamente, è parecchio difficile anche mentalmente. Sei tutti i giorni sotto esame e devi gestire ogni minima cosa, ed è per questo che molti si perdono… A volte anche io ho paura di perdermi! Quando mi chiedono cosa significhi per me la musica, molto sinceramente penso di aver firmato un patto col diavolo: la amo, ma la odio allo stesso tempo. Mi fa soffrire, mi fa stare male, perché è l’unico appiglio che ho nella mia vita. Non riesco a fare altro, magari avrei voluto dare una laurea in psicologia a mia madre, ma non so fare altrimenti. Possiamo solo andare avanti a fare musica e farci travolgere da essa, che ha una potenza che nessun’altra arte può darti.
Non ho proprio una risposta precisa, credo che la chiave la si trovi solo quando riesci ad essere felice di quello che fai, o almeno fieri. Difficilmente sono felice, però sono fiero di ciò che faccio, in modo autonomo, gli altri mi rispettano… Come persona sono fiero, questo sì!
Hai in programma anche un tour di presentazione dell’album?
Assolutamente sì. Si parte il 27 febbraio da Roma e poi via, in giro per l’Italia. Vi aspetto!
Ecco l’elenco di tutte le date del tour di Ainé. Ci vediamo ai live!
27.02 Roma – Auditorium Parco della Musica, Teatro Studio
8.03 Parma – ZU CLUB
9.03 Torino – Astoria
14.03 Bologna – Covo Club
15.03 Milano – Circolo Ohibò
16.03 Vicenza – VINILE
22.03 Genova – LaClaque
23.03 Pisa – Lumiere Pisa
29.03 Terlizzi (Bari) – MAT laboratorio urbano
30.03 Avellino – TILT
31.03 Foggia – The Alibi