L’8 marzo 2019 Mondo Marcio pubblica Uomo per Mondo Records. A 3 anni dal suo precedente lavoro La freschezza del Marcio, il rapper milanese torna con un album estremamente intimo, nel quale si espone lasciando al pubblico vere e proprie fotografie di vita. Dieci i brani di questo progetto, selezionati tra tanti altri che Mondo Marcio ha composto in questo periodo di stasi, nei quali è possibile riconoscere, oltre che l’uomo dietro l’artista, parti di vita quotidiane di ognuno di noi. Abbiamo dunque incontrato Gian Marco Marcello presso la Discoteca Laziale a Roma, in occasione del suo in-store, per fargli qualche domanda.
Sono passati anni dal tuo precedente progetto, com’è stato tornare in studio? Cosa hai provato durante la stesura di Uomo?
Sono passati ben 3 anni dal mio precedente lavoro, e in questo lasso di tempo ho scritto molte tracce, tra le quali ho dovuto fare una selezione per poi poter decidere quali mettere nell’album. Quelle che ho scelto sono i brani più rappresentativi, dieci fotografie che ritraggono la mia vita. Mi servivano esperienze vere, mi serviva della storia da mettere nel disco, visto che quello che volevo ottenere è un progetto autobiografico. Uomo è un vero e proprio diario di bordo.
In Uomo, piuttosto che parlare dei tuoi successi attuali, metti in atto un’autocelebrazione al contrario, ed esalti le tue origini modeste. Quando ti sei accorto che non andavano nascoste?
Non è tanto il vantarsi, ma piuttosto il voler fare sentire, in qualche modo, meno soli chi ascolta. Trovo che sia molto più significativo, per chi sta dall’altro lato e ascolta una canzone, sapere che uno che è partito da zero è riuscito a fare anche solo mezza cosa. La maggior parte della gente non ha niente, non ha una famiglia ricca alle spalle, molti non hanno né fortuna né agganci. Se tu riesci a dimostrargli che partendo da zero si può raggiungere qualcosa di piccolo o grande che sia, trovo che sia il miglior messaggio che puoi mettere in un disco.
L’armonia dello storytelling che si crea con gli skit rende Uomo ancora più intimo, dando vita ad un circolo narrativo che coinvolge a pieno l’ascoltatore. Non ritieni sia stata una mossa azzardata l’esserti esposto tanto?
Direi di no; arriva da me, è la mia terapia, in un certo senso. Sono sempre stato, anche negli anni, aperto in ciò che ho raccontato, la mia musica è autobiografica. Dalla mia famiglia, alle esperienze, alle ragazze, fino alla fama, ho parlato sempre dei miei fatti personali. Chi mi ascolta è abituato ad un dialogo diretto, personale; ascoltare una mia canzone è come bere un drink con un amico.
In Vida Loca affronti, in maniera palese, il tema della prostituzione. Credi che il ruolo di denuncia che aveva originariamente il rap sia andato perso?
Secondo me è superfluo tirare in ballo quello che viene definito come il rap di una volta. Non ha bisogno di essere tirato in causa. Quello che è il rap anni ‘90 è e sarà per sempre il rap degli anni ‘90, e va lasciato lì. Il rap che c’è adesso è quello che i ragazzi vogliono, e quindi se loro lo chiedono è giusto darglielo. Poi sì, c’è chi ci mette determinati contenuti e chi altri. Credo che ci sia spazio per tutti, sia per chi fa canzoni da ascoltare al club, sia per chi fa canzoni dove ti racconta esperienze di vita vissuta. Dobbiamo smettere di ragionare per compartimenti, dove chi ascolta Trap non può ascoltare il boom bap degli anni ‘90 e viceversa e semplicemente dare spazio e credito a chi fa della bella roba.
Se dovessi scegliere da quest’ultimo album la traccia da far ascoltare a chi non ti conosce, per meglio introdurlo nel tuo mondo, quale sarebbe e perché?
La canzone che non ti ho mai scritto. Viviamo tutti quanti le stesse storie, abbiamo tutti quanti le stesse paure e le stesse ambizioni. È un pezzo molto umano nella migliore delle sue accezioni.