
Livio Cori è un artista con tanto da raccontare. Il suo percorso artistico lo ha portato inizialmente lontano da casa, nella caotica Milano, per poi ritornare a Napoli per collaborare alla colonna sonora della serie tv Gomorra, rampa di lancio per la partecipazione, a febbraio scorso, al Festival di Sanremo. Una vetrina che gli ha permesso di conoscere un caposaldo della musica italiana, Nino D’Angelo, con cui poi ha collaborato.
Da pochi giorni è stato pubblicato il rmx di Adda Passà, traccia contenuta nell’album Montecalvario, impreziosita dalla collaborazione di CoCo. Lo stesso Livio ci racconta il suo momento, il perché di questa scelta, e molto altro…
Il remix di Adda Passà ti vede duettare con CoCo. Come mai proprio lui e la scelta di un remix?
Dopo l’uscita del disco volevo dare qualcosa in più, per tenere vivo l’interesse da parte dei miei fan, ed ho adottato questa formula del remix. La scelta non poteva che ricadere su CoCo, io e lui ci conosciamo da tantissimi anni, eravamo nello stesso gruppo (ai tempi di Poesia Cruda e Stirpe Nova), abbiamo stretto amicizia… Ci lega anche il fatto che facciamo lo stesso tipo di musica, molto più melodici, più legati all’r’n’b. Non siamo mai riusciti ad incastrarci, ed invece per questo disco ce l’abbiamo fatta!
Come mai la scelta del singolo è stata proprio Adda Passà?
Ho affidato la scelta a Corrado ed è ricaduta su questo brano. È tanto più nelle sue corde, visto l’album che ha fatto uscire recentemente, e ci siamo trovati anche sul testo, visto che abbiamo vissuto situazioni analoghe e quindi è stato più semplice sviluppare il contenuto del brano.
Per un pezzo così introspettivo ed intimo la presenza di un ospite non rischiava di stonare col mood del brano?
Quando pensi ad un feat devi anche calcolare queste dinamiche. Penso che i feat debbano andare oltre il marketing, il rapporto con gli artisti con cui ho collaborato va al di fuori della musica. Mi viene in mente Ghemon, Nino D’Angelo, Ntò, Luchè, lo stesso Samurai Jay che è un fratello per me. Lo stesso Corrado, per cui nutro una stima ed un affetto che esula dall’ambiente musicale, abbiamo anche gli stessi ascolti… Ci tengo a questo, non faccio featuring a caso.
Come mai questo genere che fai tu in Italia non ha ancora così preso piede? Non ti senti un po’ solo? E la scelta di fare un disco così eterogeneo è voluta?
Solissimo, ahahah! Siamo molto pochi, Corrado ad esempio è uno di quelli, anche se pure con lui abbiamo alcune differenze. Non c’è una scena, una realtà in cui mi identifico. All’inizio mi chiedevo quale concerto potessi aprire, ma non c’era una risposta! Stiamo creando una nuova cosa, un po’ io, CoCo, lo stesso Liberato…
Il mio disco è abbastanza variegato, come punti d’incontro c’è la lingua, gli ascolti… Ogni pezzo ha una sua vibe, ho voluto metterci tutto ciò che ascoltavo, tutti i modi in cui mi sarei voluto esprimere in quel momento. Sono anche conscio che un ragionamento del genere ti penalizza: meglio avere poca coerenza nel disco, che suoni tutto lo stesso dall’inizio alla fine. John Mayer diceva: “Nel primo disco devi metterci tutto quello che sai fare.”. Si passa da un pezzo synth-wave come 2 minuti ad un blues come Core senza paura fino ad arrivare a robe afro-beat come A casa mia.
Quanto è stata importante per te in primis la tua estrazione napoletana ed in secondo luogo la figura di Nino D’Angelo?
Tutto. Io sono partito da Napoli, formandomi come artista, e come successo a molti sono poi venuto qui a Milano per un periodo. Il vero cambiamento però l’ho avuto quando tornai a Napoli per girare Gomorra a fine 2016. Sono stato 6 mesi a casa ed è cominciata tutta un’altra era: allontanandomi ho capito effettivamente quanto mi mancava e tornando ho scoperto casa mia. Ho avuto una sorta di ispirazione scrivendo Surdat, ho scritto l’EP che poi è diventato un album. E fu allora che, per il brano Un’altra luce, in Sugar mi chiesero chi volessi come artista che mi affiancasse. La risposta non poteva che essere una sola: per un progetto che portava il nome del mio quartiere io volevo come unico artista il re di Napoli. Per me era un sogno!
Per spiegare il rapporto con Nino ci vorrebbe un’intervista singola… Mi ha spinto a portare il brano a Sanremo, tutt’ora siamo in ottimi rapporti: per me è stato il maestro che non ho mai avuto. Non ho mai avuto nessuno che mi spingesse, ho trovato in lui un punto di riferimento. L’esperienza sua è impagabile, mi ha dato tanta sicurezza.
Com’è nata l’idea del video?
Tutta farina del sacco di School Project. Lascio molto spazio alla creatività dei videomaker ultimamente, e questa volta mi piaceva l’idea della pioggia (riferimento velato a Cry me a river di Justin Timberlake) su Napoli. Ci sono delle immagini, non didascaliche, che si ricollegano al mood del test, con ovviamente uno sfondo partenopeo. L’idea è stata seguire il concetto del brano e cercare di dare lo stesso messaggio nel video, facendo molto affidamento alla parte fotografica tramite l’utilizzo di tecnicismi come stop-motion e schiaffi alla camera. Fortunatamente siamo riusciti a chiudere tutto in un giorno, come anche per il video precedente di A casa mia.
Dove ti vedremo prossimamente e che programmi hai per il futuro?
Adesso sto girando coi live, in sequenza ho Caserta, Roma, Torino, a dicembre suonerò a Bruxelles e Parigi, mentre a gennaio sono in Puglia a Foggia e Taranto. Le date sono tante ed in continuo aggiornamento, anche a livello europeo. Musicalmente invece questo potrebbe essere l’ultimo estratto da Montecalvario, sento la necessità di scrivere cose nuove. Se pensi che questo disco doveva essere un EP, è cresciuto molto (grazie anche a Fish che lo ha prodotto).