
Il 19 novembre l’etichetta indipendente pugliese DIRTY BROWN RECORDS ha pubblicato Deus Ex Machina, Vol.II: Purificatio, ultimo di quattro progetti di Spike B, al secolo Simone Bello. Il disco, interamente prodotto da NMBeats, ad eccezione della quinta traccia in collaborazione con Brahma Beats, presenta featuring di qualità quali quello di Pacman XII del collettivo romano Do Your Thang e quello di Vinnie Brown, che si è occupato anche del missaggio e mastering. L’intero lavoro è caratterizzato dalla mescolanza di religione e misticismo con la disillusione amorosa e l’amore per la musica e le proprie radici. Il beat dell’intro rimanda alla colonna sonora di un colossal e ogni brano dell’album è, infatti, una macro-scena diversa di una pellicola che racconta di un ventiquattrenne trasferitosi lontano da casa.
Nonostante uno dei suoi marchi identitari sia parlare della morte per esorcizzarla, il rapper pugliese, attraverso l’assemblaggio dei diversi frame, ha creato un’immagine della vita. Vita che può essere guardata da più sfaccettature anche solo facendo caso a come si alternino brani dai mood così diversi tra loro. Come in questo album, infatti, anche nella nostra esistenza convivono momenti in cui ci sentiamo in grado di frantumare tutto e altri in cui ad essere frantumati siamo solo noi stessi. Rendere concetti così vari in parole e musica all’interno di un unico contenitore non è affatto facile e noi abbiamo deciso di intervistare Spike B per farcelo raccontare.
Ciao Simone! Deux Ex Machina, Vol. II: Purificatio è il tuo ultimo disco e il titolo allude al fatto che si tratti del secondo episodio di una saga. Com’è iniziato questo progetto e cosa si propone di raccontare?
Ciao! Come hai detto, questo album è il secondo volume di una trilogia che incarna un progetto che ha preso vita circa un anno fa con D.E.M, Vol. I: Putrefactio. Questo viaggio è iniziato per una questione di esigenze: ho pensato che oggi bisogni essere assidui nel pubblicare e ho immaginato queste realizzazioni come un cammino da fare insieme a quei pochi pazzi che mi seguono per entrare nel mood della mia roba, oltre che come opportunità di crescita personale. Proprio come nell’alchimia, da cui prendono i titoli i volumi, l’idea è quella di partire dalla materia informe fino ad arrivare alla sua concretizzazione, alla “pietra filosofale”, ovvero il disco.
Nell’immaginario in cui hai collocato i tuoi progetti, oltre ai riferimenti all’alchimia, si notano quelli alla religione, in una sorta di parallelismo tra te e la figura di Cristo. Ma qual è la vera natura di questo collegamento che può apparire troppo azzardato?
Ammetto che se non si coglie la giusta chiave di lettura, questo accostamento può apparire azzardato. Ed è anche ciò che volevo, per smuovere un po’ le acque intorno a quello che ho realizzato. In realtà, ho sempre avuto la passione per i riferimenti storici e biblici. Questi mi hanno dato spesso modo di poter far cogliere al meglio ciò che volessi dire. Anche perché, in verità, non c’è nessun tipo di “spocchia” nel mio viaggio, ma è esattamente il contrario. Quando ho iniziato ad ascoltare questo tipo di musica, ormai anni fa, cercavo quelle canzoni che mi facessero sentire meno solo, che dicessero quello che pensavo e non riuscivo ad esprimere. Così, quando ho iniziato a fare musica, mi sono prefissato di fare la stessa cosa. Quindi, in questa veste, sono solo un povero Cristo che porta le sue croci in spalla, come ognuno di noi nel percorso della propria vita. E, nei miei pezzi, io parlo di queste mie croci che magari potrebbero essere le stesse di qualcun altro che non ha modo di raccontarlo.
Entrando più nello specifico dell’album, il primo estratto è stato Ground Zero di cui è stato realizzato anche un video. Come mai la scelta di pubblicare per primo un pezzo così personale e non magari una potenziale hit?
I primi estratti da D.E.M:, Vol.I erano stati Religione e Padre Nostro, ovvero i due banger della tracklist, i pezzi più spinti e rappresentativi del progetto per mettere in chiaro le cose e scuotere l’ascoltatore. Questa volta abbiamo voluto mandare il messaggio contrario, di nuovo, per far capire la chiave di lettura di cui ho appena parlato. Ground Zero è forse la traccia più sentita del disco e volevo che chi mi segue capisse sin dal primo singolo quanto davvero io mi metta a nudo nei testi in un periodo in cui tutti lo fanno solo attraverso i social. Io non mi sento fino in fondo parte di quella roba, scrivo già nei miei pezzi tutto ciò che vivo. Infatti, in questa traccia, il titolo, la data d’uscita (11 settembre, ndr) e l’analogia con le Torri gemelle non sono un caso, ma rimandano proprio ad aspetti della mia esperienza personale a cui riesco a dare forma solo in questo modo.
La memory card di cui parli nell’omonimo brano è quella della PlayStation. Ad un appassionato di rap, anche per il concept di conservare solo le cose davvero importanti, viene subito in mente un’altra memory, quella che dà il titolo all’ultimo album di Johnny Marsiglia. Quanto ti ha ispirato questo artista e quanto lo hanno fatto altri nella composizione del disco?
Johnny è uno dei miei preferiti e lo ascolto un sacco, ogni suo disco è per me un classico e quindi anche involontariamente mi avrà influenzato, sarebbe stupido negarlo. Anche se il brano in sé ha una chiave di lettura diversa. Comunque, sento dire spesso dai miei “colleghi” che, durante la creazione di un album, non ascoltano più nulla. Io, invece, non smetto mai di ascoltare musica. Passo senza vergogna da Sfera Ebbasta a Battisti, da Travis Scott a De Andrè, passando dai Tool a Jay-Z. Non mi impongo dei limiti nell’ascolto, un po’ come quando creo. Quindi se domani mi sveglio e scopro che so cantare aspettatevi un pezzo alla Battisti (ride, ndr). Esempio di questo ragionamento è anche Ground Zero, in cui abbiamo campionato Mi sono innamorato di te di Luigi Tenco, partendo dal mio bisogno di parlare di quella roba su quel mood. D’altronde, prima del ritornello, dico “ora in testa resta solo la tua canzone preferita che fa” ed è davvero così. Poi Brahma, mettendo le sue mani su quella strumentale, ha salvato il c**o a me ed NM Beats che non sapevamo come uscirne per combinare influenze così diverse.
Fregaunc***o è l’unione di tre strofe su tre beat diversi. Nel ritornello che le unisce dici che non ti importa nulla di essere etichettato come troppo old school o non più tale magari solo perché usi l’autotune. In effetti, in tutto l’album, spazi tra i diversi sottogeneri dell’hip hop. Credi che questa molteplicità sia ciò che possa rendere un artista unico?
Quella traccia è stata praticamente un parto. L’ultima strofa avrebbe dovuto far parte di D.E.M., Vol.I, ma per una serie di cose non è stata inserita. Le altre che avevo già scritto, pur non avendo senso singolarmente, avevano tutte lo stesso mood da “non me ne frega un c***o”, così abbiamo pensato di unirle, prima senza ritornello e poi aggiungendolo. In generale, sono del parere che chi faccia questa roba debba anche divertirsi, anche perché lo facciamo per passione e, soprattutto a questo livello, non ci vediamo un euro. Io, infatti, lo faccio proprio per divertirmi e quindi anche se devo fare una traccia conscious per me deve essere “divertente” scriverla. Per questo mi piace variare sempre sound, sai che palle fare sempre le stesse cose? Sono del parere che bisogna mettersi in gioco in ogni caso e non seguire il trend del momento per salire sul carro dei vincitori. Vedi Persona, l’ultimo album di Marracash, che si basa proprio su questo meccanismo. E un po’ mi rincuora il fatto che un artista del suo calibro e che io ammiro un sacco abbia fatto il mio stesso tipo di scelta.
Ultima domanda per l’ultima traccia del disco, Eboli. A metà del pezzo canti “In questa gente mi mimetizzo, camaleonte, ma nessuno sa quanto mi manca Simone”. Alla luce dell’uscita di Persona di Marracash che tu stesso hai citato e che ha stimolato la riflessione sul dualismo tra l’uomo e l’artista, questa frase può essere letta in questa nuova chiave?
In realtà era già così sin da prima che uscisse il disco di Marra. Penso che chiunque possa soffrire di una sorta di sdoppiamento in un periodo come questo, in cui ognuno può creare il suo avatar digitale grazie ai social e far credere agli altri utenti ciò che vuole. Io ho sempre cercato di fare in modo che la distanza tra persona e “personaggio” fosse quasi nulla. Proprio per questo motivo, nei testi parlo sempre di cose che mi son realmente accadute, della vita vera. Poi credo che chiunque abbia una passione simile alla mia si accanisca così tanto da puntare a vivere solo di questo, o almeno per me è davvero così. Io parlo di rap quando sono al bar con gli amici, penso alla musica giorno e notte, scrivo anche durante le pause di lavoro e per questo, Spike B finisce per sovrapporsi a Simone anche nella vita reale.