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Recensione

È sempre bello trovare la propria dimensione, Coez docet

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Arrivati a fine 2019 è giunto QUEL momento dell’anno: il riepilogo di ciò che è stato pubblicato nei mesi precedenti. Bene, noi facciamo mea culpa, e durante questi ultimi 30 giorni daremo spazio a quei dischi che non siamo riusciti ad approfondire nel momento della loro uscita. Per rinfrescarvi un po’ la memoria, in vista delle abituali classifiche di questo periodo…

Per analizzare È sempre bello, quinto album solista di Coez, dobbiamo partire da lontano. Correva l’anno 2010, questa cosa del rap ancora non era esplosa, ma era ancora in fase embrionalelatente. Erano i tempi delle crew, la terza strofa non era ancora scomparsa e Roma era culla di parecchi collettivi che sarebbero rimasti nella memoria di tutti. Da uno di questi, precisamente i Brokenspeakers, stava lentamente prendendo la sua strada solista Coez, il ritornellaro di quel gruppo…

Figlio di nessuno fu un esperimento, ancora influenzato dal rap che Silvano ancora faceva quel tempo, ma la svolta vera e propria l’abbiamo ascoltata in Non erano fiori, nel lontano 2013. Primo disco pubblicato da Carosello Records, il nostro Coez ha virato decisamente verso melodie più orecchiabili, testi meno cupi ed in cui le persone potessero identificarsi, ritornelli che ti entrano facilmente in testa. Praticamente un trattato di quello che lo ha portato a riempire i palazzetti, scalare le classifiche e diventare, senza ombra alcuna, l’artista pop degli ultimi 5 anni. È sempre bello è tutto questo, racchiuso in 10 tracce, per mezz’ora di musica coesa, felice (quasi l’antitesi di quel primo album), da cantare a squarciagola.

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Testi

Come detto sopra, nella semplicità troviamo uno dei punti di forza dell’artista. Niente testi iper macchinosi, ma poche e semplici frasi che ti entrano in testa e che al secondo ritornello già canti a squarciagola.

Oggi voglio andare al mare, anche se non è bello.

Come se fossimo destini che si corrono accanto, con le mani nel vento, come fosse domenica con te.

Allora io vado, non è stato male ma neanche bene, finché è durato almeno ci si voleva bene da togliere il fiato.

Il testo potrà anche risultare banale, ma sono situazioni che ognuno di noi potrebbe vivere, o ha già vissuto. Tutti potremmo ritrovarci in ciò che scrive, quindi il legame con l’artista si fa ancora più stretto, immedesimandoci in ciò che scrive. Le domeniche in compagnia della nostra metà, le catene che ci legano in una relazione (che potrebbero anche diventare elastici, a seconda della situazione), il guardare gli aeroplani e sognare di evadere dalla propria vita… La semplicità è la chiave vincente.

Voto: 7,5/10

Strumentali

Al contrario del precedente Faccio un casino (che suonava più come un mixtape, viste le variegate sonorità utilizzate), pubblicato due anni fa, questo disco è compatto a livello di suono. Le dieci tracce scorrono senza sussulti nella mezz’ora di ascolto, il lavoro a quattro mani fatto con Niccolò Contessa ha unito i due artisti quasi in simbiosi (tanto che lo stesso Silvano ha dichiarato di avere totale fiducia nel produttore durante la lavorazione dell’album). Ecco, in questo album la figura di Contessa assume un ruolo fondamentale: la mente dietro I Cani ha creato un tappeto sonoro minimale, molto suonato ed acustico, con chitarre, riff di piano e poco altro. Ha portato Coez su un terreno esplorato solo agli inizia della sua carriera, quell’itpop che ormai sta spopolando sul nostro territorio, elevandolo a figura principe nel panorama italiano.

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Voto: 7/10

Stile

C’è un notevole cambiamento, non solo a livello di produzioni, rispetto al Coez di Faccio un casino. Abbiamo perso certe atmosfere cupe, certi toni sicuramente più malinconici (basti ricordare la hit Le luci della città, diventato un instant classic) per una fase up della carriera dell’artista, rispecchiata da canzoni positive, in cui spesso il tema trattato è l’amore.

Quindi scrivo una canzone perché un’emozione forte la devo raccontare.

Chissà cosa ci riserverà il prossimo disco? Aeroplani, l’ultima traccia dell’album, è forse l’unico brano a distanziarsi dal mood del disco. Sarà messo lì casualmente?

Voto: 6,5/10

Visual & artwork

La campagna promozionale vide Milano e Roma, il mese precedente l’uscita dell’album, tappezzate di poster con stralci di strofe del disco.Una guerrilla urbana che ha preannunciato l’annuncio dell’album e che voleva mettere al centro la musica, e non l’artista (sarebbe stato estremamente più semplice mettere il faccione di Silvano su tutti i poster…). Il video di Domenica riprende la spensieratezza della canzone, con una citazione abbastanza esplicita alla puntata 3×04 della serie antologica Black Mirror, più precisamente la celebre San Junipero. Il tutto girato come un videoclip degli anni ’90, riprendendo invece la strumentale parecchio retrò.

Nel video di La tua canzone invece veniamo catapultati in questa città di frontiera americana, dove Coez è appena stato arrestato e sta per essere trasferito, se non che la sua amata interviene per farlo evadere… Un po’ fuori luogo visto il concept del brano, ma chissà che Silvano non ci spieghi prima o poi anche l’idea dietro questo video!

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Voto finale: 7

Non possiamo che affermare che È sempre bello sia un esperimento riuscito. Coez ormai gioca a fare il Vasco Rossi (molti i riferimenti, dalla seconda strofa di Domenica a Vai con Dio, ma più in generale sembra veramente molto simile), il genere è quello, chiamatelo pop, itpopindie e chi più ne ha più ne metta. La verità è che ormai Silvano ha trovato la sua dimensione che gli permette di avere il brano più ascoltato dell’anno, di riempire due volte il Forum nel giro di un mese (su IG trovate la nostra gallery fotografica). Che più in generale lo ha consacrato a mostro sacro della musica italiana, con buona pace di tutte le questioni di genere, stucchevoli alla lunga. In fondo, è sempre bello ascoltare un bel disco…

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