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Intervista

Ci siamo immersi negli scatti di vita di Moder

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Il 3 marzo Moder pubblica Ci sentiamo poi, secondo progetto ufficiale pubblicato per Glory Hole Records. Il disco si presenta come un progetto valido, innovativo ma al tempo stesso fedele alla natura dell’artista: il sound underground che prevale, si apre a varie contaminazioni, rese possibili dall’ampia gamma di artisti e produttori presenti. Un progetto in cui si fondano liricismo e tecnica, emozioni e sbagli, cultura e scatti di vita quotidiana. Abbiamo intervistato Moder per parlare di Ci sentiamo poi, per scoprire la persona che si cela dietro l’artista, la sua musica e alcuni retroscena nascosti dell’album.

Ciao Lanfranco. Parliamo, per iniziare, un po’ di te.
La tua carriera musicale inizia a cavallo del secolo, nei primi anni 2000. Quasi vent’anni di sacrifici, sudore e tanta di quella “gavetta”, oggi finita forse nel dimenticatoio. Quanto è stata dura per te arrivar fino a qui?

È stata parecchio dura, ma non in senso negativo. Ho imparato quanto costa ogni millimetro e questo mi tiene attaccato al suolo. La gavetta mi è servita per avere molte armi nel mio bagaglio, e questo è impagabile. Sono riuscito a ripartire mille volte anche quando sembrava impossibile; molta della gente con cui ho iniziato non ha avuto la stessa fortuna. Tutto quello che non ho ottenuto è solo per colpa mia. Però sono ancora qui e ora ho la responsabilità di dare tutto. 

Tu sei nato, cresciuto e tutt’ora abiti nella città di Ravenna. Nella terza traccia dell’album Bimbi sperduti, rappi: “Mi sta stretta la provincia, ma non me ne vado”. Che cosa rappresenta Ravenna per te? A livello artistico, cosa c’era in zona quando hai iniziato e che evoluzione vi è stata sino ad oggi?

Ravenna fa da sfondo a tutte le mie avventure. È il posto che mi ha adottato e per questo provo ad ampliare l’offerta culturale per la mia comunità, con quello che so fare. Quando ho iniziato c’era solo Duna in zona che sapesse qualcosa di questa roba: 18 anni dopo lavoriamo insieme e ci siamo tolti molte soddisfazioni. Ravenna è piena di energie artistiche di ogni tipo: oggi ha l’unico festival tematico sul rap in Italia, vede passare tutta la scena italiana e internazionale ed è piena di giovani talenti, alcuni dei quali ho avuto la fortuna di allenarli ai miei laboratori. 

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Parliamo ora di Ci sentiamo poi, il tuo secondo album ufficiale da solista pubblicato per Glory Hole Records. Cosa significa per te questo album, arrivato a seguito di un lungo e centellinato lavoro svolto dietro le quinte?

Il disco per me rappresenta molto, credo sia il più bello che abbia mai fatto. Ogni pezzo è stato lavorato per essere autosufficiente, cercando di rispettare la “canzone” nel suo insieme. Dopo 8 dicembre sentivo di dover fare uno sforzo per evolvermi, e grazie a Duna e a tutti coloro che mi hanno aiutato credo di esserci riuscito. Ora si apre un’altra fase per me, non voglio più fermarmi un attimo.

La prima traccia dell’album è Preferirei di no, citazione tratta da Bartleby lo scrivano, un fantastico racconto di Melville. Si tratta di una presa di posizione netta, non per schierarsi contro qualcuno o qualcosa, ma per confrontarsi con il proprio tempo. Qual è il tuo rapporto personale con l’epoca in cui viviamo, soprattutto a livello musicale? 

Viviamo in un’epoca piena di contraddizioni, di bassezze, ma anche di creatività. Non puoi scegliere il tuo tempo, devi solo provare a capirlo. Io so che “preferirei di no” è una frase che userò per combattere ciò che odio. Ma il mondo è più complesso e bello dei numeri sui social e vedo tante cose incredibili prendere forma. Musicalmente mi reputo un onnivoro: credo che l’arte sia un filo continuo che unisce decenni se non centinaia di anni. Per quello che riguarda strettamente la musica ultimamente è uscito Marra con un super disco, Rancore è riuscito nell’intento di portare se stesso a Sanremo vincendo anche un premio, Billie Eilish ha fatto un disco sperimentale che è diventato mainstream nel mondo… direi che potrebbe andare decisamente peggio!

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La citazione precedente non è sicuramente l’unica presente all’interno dell’album. Le ispirazioni che ho riscontrato vanno dalla letteratura, al cantautorato, sino al rap odierno internazionale. Il tuo bagaglio culturale è molto ampio. Tutto ciò incide nella scrittura dei tuoi testi o rimane relativamente distante?

Certo che incide! Adoro ascoltare, leggere, vedere artisti lontani da me. Credo sia fondamentale lasciarsi ispirare dalle cose più diverse, altrimenti non puoi crescere.

Il pezzo La musa insolente è uno dei miei preferiti dell’intero album. All’interno la collaborazione con Murubutu e un avvincente storytelling che narra la storia di un noto brigatista italiano durante gli anni di piombo. Un triste capitolo del nostro paese, dove generazioni di giovani sono bruciate nel fuoco delle idee lasciando interrogativi aperti. Che giudizio hai di quegli anni in Italia e come è stato lavorare assieme a un amico, ma al tempo stesso maestro di storytelling e rap narrativo come Alessio?

Quegli anni non sono ancora stati digeriti da questo paese: ci fu una guerra vera e propria che si basava su un’idea di mondo, un conflitto sociale e generazionale senza precedenti. Ci siamo interrogati su cosa spinga un uomo a mettere se stesso e gli altri a rischio per un’idea, limitandoci a raccontare un’epoca piena di dolore, da cui mi pare si sia imparato poco. Lavorare con Alessio è stato bellissimo: erano anni che ce lo dicevamo, ma non mi sentivo pronto. L’argomento è partito da lui che conosce bene la mia passione politica e credo sia uscito un pezzo unico nel suo genere, di cui son molto orgoglioso. Ringrazio Murubutu e DJ West per avermi regalato questo brano. 

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Il paninaro fuoriclasse è il pezzo di “Rap” del disco, con uno sfogo di 52 barre. In un’epoca dove tutti sgomitano per un posto, o meglio per un ruolo, tu sei spesso rimasto in disparte, osservando, lavorando e perfezionando la tua musica. Con questo disco è arrivato il tuo momento?

Speriamo. I momenti sono relativi e io nel mio piccolo ho vissuto varie stagioni fortunate. Ora, però, non ho più paura di nessuno e voglio portare la mia musica dove non è mai stata. Lo devo a chi ha creduto in me dall’inizio, alla mia famiglia, a Duna, al Cisim, alla mia città, a Glory Hole.

L’album suona da ogni punto di vista come un disco vero e comunica tutta la fatica che hai impiegato nel realizzarlo. Alla fine del disco, quello che sembra per me emergere è una tua domanda diretta all’ascoltatore: che cosa resta alla fine? E allora mi piacerebbe chiederlo a te: cosa speri che resti al tuo pubblico dopo l’ascolto di Ci sentiamo poi?

Quello che mi auguro è che resti la musica, che resti qualcosa impigliato alle orecchie e nella testa di chi mi ascolta. A me i dischi che ho ascoltato hanno cambiato la vita, spero di riuscire con i miei a fare altrettanto per qualcuno. 

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Studente, accanito lettore, alla continua ricerca di creatività. Dalla mentalità diversa da chi tergiversa.
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