
Eccoci, di nuovo, tra le nostre righe. Probabilmente, come me, vi trovate a casa per cercare di contenere il contagio: ottimo, è importante mostrarsi persone responsabili quando le circostanze non sono delle migliori!
Per combattere, la noia e la desolazione, io ho fatto di necessità virtù. Ho iniziato a dedicarmi a quello che più mi entusiasma: la lettura e i film.Ho guardato film che già conoscevo, perché sono molto rappresentativi di certi contesti come Paid in Full (2003). Poi ne ho riguardati altri con maggiore consapevolezza e attenzione.
Due su tutti: New Jack City (1991) e Boyz N the Hood – Strade violente, sempre dello stesso anno. In una scena notturna, apparentemente tranquilla, del secondo film ad un tratto è inquadrata una scritta su di una tazza: “Bless This Mess”. Ho avuto una sensazione particolare: anche in una situazione disordinata, oppure difficile e brutta, si può creare qualcosa di positivo. Sta noi farne tesoro.
Le origini del sottogenere più chiacchierato: il gangsta rap americano
Proprio di situazioni controverse, dure, molto complicate, disordinate, o inebrianti, scialle, oppure entusiasmanti racconta Soren Baker, giornalista americano che si occupa da anni di Cultura Hip-Hop con all’attivo ben 3500 articoli, su diverse testate giornalistiche come The New York Times, Los Angeles Times, Chicago Tribune, Rolling Stone, altre ancora…
Di recente l’editoria italiana si è arricchita di un libro intitolato Gangsta Rap. Le storie, i miti, le rivalità (2019), edito da Mondadori, scritto in origine da Soren Baker nel 2018 chiamato The History of Gangster Rap.
In 253 pagine dell’edizione italiana, sono ripercorse le tappe del sottogenere rap più ambiguo, più crudo e alle volte più volgare e sessista, ma anche più ascoltato, più apprezzato e campione d’incassi a livello mondiale. Con il suo linguaggio no filter, duro, insolente oppure estremamente critico è stato capace di incidere potentemente anche sulla cultura popolare americana; ed essere fonte d’ispirazione e di emulazione in tutto il mondo!
Le diverse fasi
Innanzitutto mostra, anche attraverso parti d’ interviste di diretti interessati, l’origine del nome. Come ad esempio, Ice Cube afferma:
«Si chiamava reality rap prima che gangsta rap» (p. 40).
L’espressione con cui l’anima “oscura” del rap è conosciuta, è infatti un’etichetta creata dai media. Ed è pertanto molto spesso odiata dagli artisti. I temi narrati nei testi e immortalati nei loro video erano le realtà in cui questi ragazzi erano immersi fin da bambini e alle volte stritolati a loro malgrado. Raccontarle, però, era sia un modo per esorcizzarle, sia un modo per farsi portavoce di chi viveva in situazioni molto marginali, «ai limiti della sopravvivenza e della sanità mentale» (p. 16) a causa dei provvedimenti attuati dal Governo degli Stati Uniti.Inoltre, sono delineate nel dettaglio, in modo attento, preciso e puntuale le varie fasi, fratture e ferite di questo tormentato, ma spaccone e esplicito sottogenere. Oltre a ciò, grazie alle tante voci riportate, è messo in luce come sia stato spesso ostacolato, o non supportato – per lo meno agli inizi –anche dalle stesse radio afroamericane e poi dichiarato fuori legge dalla stessa F.B.I, nel caso degli N.W.A. Vi consiglio di rivedervi il film, magari c’è su qualche piattaforma gratuita per la solidarietà digitale!
Questo rigetto, come evidenzia Goldberg, ha condotto a una crescita «del sentimento di emarginazione» e di «separazione dal resto della società» (p. 43). Proprio tali drammi sociali sono stati, però, le molle che hanno spinto questi giovani più o meno diseredati ad impegnarsi non solo a raccontare «il terribile segreto di cosa significava vivere nell’America nera urbana» (p. 57), ma anche a volersi affrancare da tutto questo: creandosi e generando opportunità lavorative diversificate.
Pensiamo ad esempio a Ice-T e alla sua ventennale presenza nella serie televisiva Law & Order (p. 226); oppure la mentalità da business men di Dr. Dre, di Snoop Dogg (p. 227) e 50 Cent, mutuata – sì –da esempi legati al mondo della malavita, o da veri e propri gangster, però utilizzata per scopi positivi come la musica, il cinema, il teatro, le pubblicità e lo sport.
The Importance of Being Autentic
Per tutto ciò, il libro è una full immersion estremamente interessante, che si sviluppa in modo appassionato e con una buona bibliografia che racchiude il tutto. Va gustato in profondità e con lentezza, insieme magari a un altro libro simile: Il rap anno per anno di Shea Serrano (2018), edito dalla Mondadori, per conoscere meglio alcuni testi storici.
Gangsta Rap di Soren Baker, pur essendo molto denso, impegnativo e lungo, non annoia. È ricco di contenuti inediti e non, e di box neri di approfondimento. È a tratti inteso, per questo instilla tanta curiosità in chi legge. Diverse volte, infatti, mi sono dovuta fermare per guardare questo, o quel video, oppure i riferimenti cinematografici o di letteratura, come ad esempio, magari qualche persona già lo conosce, il libro di Slim Iceberg Il pappa (1991).In estrema sintesi, i gangsta rappers, come gli N.W.A, Shoolly D, I-ce, Mia X, Gangsta Boo, Ice Cube, Dr. Dre, Tupac, Biggie, Snoop Dogg, The Game, Kendrick Lamar, hanno avuto e hanno il merito, ognuno/a in modo diverso e originale di essere «poeti» e poetesse «di strada» (p. 240). Con la loro autenticità, forza e sfrontatezza hanno permesso di sbirciare dentro un abisso personale e socio-culturale preciso; come si dice, però: se guardi dentro l’abisso, poi l’abisso guarderà dentro di te…