
Capire il fenomeno della trap, per me, è stato ed è difficile, nonostante conosca il Dirty South, che è notoriamente il sottogenere di hip hop che ha creato le radici perché oggi si possa parlare di trap. Nelle mie affannose e affamate ricerche consumo tantissime informazioni (come tutti, nell’epoca corrente) e mi sono piacevolmente imbattuto, tardivamente volendo, su un bellissimo documentario Netflix: Hip Hop Evolution. Recentemente ho anche guardato il documentario su Lil Peep, Everybody’s Everything (ne abbiamo parlato qui), perché mi piace cambiare idea e perché non voglio fare come facevano quelli della vecchia scuola con noi, quindi cerco di farmi un giudizio sulle cose cercando di togliere i miei pregiudizi culturali molto schematici (e figli di una certa attitudine).
È così che ho deciso di approfondire la storia di DJ Screw, una storia che credo valga la pena di raccontare e che col tempo acquisisce sempre più significato.
Chopped & Screwed
Houston, Texas. Come si diffondeva l’hip hop all’inizio degli anni ’90? Cassette mixate dai DJ, prevalentemente. Si racconta di file chilometriche fuori dalla casa di DJ Screw al punto che, per via della presenza della polizia che lo riteneva uno spacciatore, fu costretto ad aprire un negozio di dischi gestito da suo cugino Screwed Up. La storia viene raccontata molto bene nella puntata del documentario Hip Hop Evolution.
Agli albori, prima del Dirty South e quando la trap non era nemmeno pensata, Screw faceva questi mixtape “chopped” che vuol dire “tagliati”, e “screwed” che attribuisce appunto al suo originatore questo modo di rallentare la musica: a sentirlo oggi è incredibile come avesse anticipato tutto in questo senso e delineato musicalmente quello che sarebbe successo dopo di lui. I rapper ospiti nella casa del DJ registravano rime e freestyle, che lui rallentava creando mixtape – oggi veri culti per la storia musicale del South.
Un’intuizione speciale
Da questi incontri di rap a rallenty dove spesso girava la Lean, la bevanda che mischia caramelle e farmaci, nasce la Screwed Up crew, che ha visto farne parte rapper importantissimi per quella zona: da Fat Pat a Z-ro fino agli UGK. Gente come Bun B bazzicava in casa del DJ, lo stesso Bun nel 2014 pubblicò The legendary DJ Screw con molti dei membri della storica crew. Scomparso prematuramente all’età di 29 anni per presunta overdose di lean, questo DJ è stato un vero e proprio originatore.
Apprezzo i nastri di Screw perché trovo in quel rallentare il ritmo un’intuizione musicale notevole, a quei tempi assolutamente inedita, sentendoli (li trovate su Spotify) non si ha mai l’idea che sia un lavoro fatto in “post produzione”, ma pare creato così com’è.Oggi che la figura del DJ si fa purtroppo opaca e risulta poco importante, nonostante questa musica sia nata dai DJ, va reso onore a questi diffusori e ne scrivo solo perché quei pochi che non conoscono questa storia poi vadano a cercarla: Screw ha creato un fenomeno musicale, ha lanciato l’input a chi è arrivato dopo di lui e ha dato al South le basi per creare il proprio suono. Suono che abbiamo conosciuto e imparato ad apprezzare nelle sue evoluzioni: la crunk music di Lil’ John, che tracciò la strada per Lil Wayne e Rick Ross.
Anche altre cose che arrivavano da quelle zone, come i Three Six Mafia, padrini del rap hardcore da club con la hit Tear the club up. Ad Atlanta e in quelle zone la cultura del club è radicatissima ed è vissuta come “Entra nel club e fallo crollare, sfoga le frustrazioni”, da tempi non sospetti, come viene raccontato: DJ Spanish Fly lanciò il “Gangsta walk” e il balletto assurdo in cerchio. Una bella storia alla quale rendere giustizia anche per capire su che fondamenta si basa il suono trap: questa gente voleva solo 808s, avevano capito cosa poteva funzionare e hanno lasciato un patrimonio che chi fa questa musica, penso, sarebbe bello conoscesse.
Alfredo D’Alessandro
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