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Intervista

Essere afroitaliani, oggi: F.U.L.A. presenta il singolo Maldafrica

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Il 10 aprile 2020 è uscito per l’etichetta indipendente La Pop il singolo MALDAFRICA di F.U.L.A, primo artista AfroTrap e Afrobeats in Italia. 

Come i rapper Amir IssaaTommy Kuti e Ghali, anche Fula è un afroitaliano. È cresciuto in Calabria, dove vi è arrivato piccolissimo, dal Senegal, nascosto sotto il vestito di sua mamma.

Oggi sono numerosi gli afro-discendenti che raccontano in musica le loro esperienze familiari, personali  –  intrecciate e segnate dai processi migratori e diasporici – e di vita quotidiana in Italia. L’Italia è il Paese in cui sono nati, oppure cresciuti, a cui sentono di appartenere, il quale però non sempre comprende, accetta e riconosce questo diritto. Tuttavia, nella sua canzone Fula non parla di questioni politiche e d’integrazione.

fula maldafrica cover

L’artista afroitaliano racconta, infatti, in modo diretto, inteso, urgente e intimo le sue origini senegalesi in cui la povertà è intrecciata alla volontà di resistenza, di elevazione e di miglioramento per diventare qualcuno. Come ogni meticcio originale, il suo senso di appartenenza è plurale e cosmopolita. Pertanto, la sua casa non è riconducibile, né individuabile in un solo luogo. Questo emerge molto bene in Maldafrica in cui accanto ad un profondo e struggente legame con il Senegal l’artista non cela il suo amore per l’Italia che gli «ha fatto da balia», come si sente ad un certo punto della canzone.

Anche se il rap di Fula è espressione del mescolamento culturale non posso però dire che viviamo – in modo generale –in un mondo senza confini. Le linee di confine personali, sociali, economico-culturali e religiose non  sono in definitiva decadute. Sarebbe inesatto, incompleto, miope e ignorante affermarlo.

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Diverse, sono le forme di esclusione, di discriminazione e di ingiustizia che lacerano la società in cui viviamo.  Anche se non tutte le persone le vedono, per la posizione di potere e di privilegio che occupano, queste riemergono nel quotidiano in un modo netto, spesso duro e alle volte violento: “La bella Italia”, “Cara” e “balia”, per citare una canzone di Tommy Kuti, quella conosciutissima di Ghali e lo stesso Fula, si rivela matrigna, molto spesso.

Nelle canzoni di Fula tutto questo si trasforma in una voglia di rivalsa perenne, portata avanti con un atteggiamento di spensierata consapevolezza. Anche quando l’artista critica duramente la visione stereotipata, piatta e semplicistica diffusa in Italia quando si pensa al continente africano:

«Africa cara, ti fanno triste, malata, una bara. Sanno dei diamanti, sanno del Sahara, nessuno sa di Lumumba e Sankara.
E c’è molto di più, siamo veri leoni,
anche in altre Nazioni: gioia, forza, colori, radici e canzoni»

Ciò che differenzia Fula da altri rapper di seconda generazione afroitaliani è una forte malinconia, un’intesa nostalgia e senso di lontananza verso la Terra dei suoi antenati – depredata e oppressa per secoli da colonizzazione e dallo schiavismo –che riecheggia forte e costante nella canzone. Questo “figlio della nostalgia” stupisce per la sua capacità di essere resiliente agli urti, di reagire in modo creativo, attraverso il rap, alle ingiustizie della vita, di esprimere e generare speranza in modo genuino.

fula

Da queste durezze nasce il video disteso, dolce, “fanciullo”, lento, per certi aspetti poetico e gioioso di Maldafrica girato in Senegal, ispirato all’Afropunk, i cui protagonisti sono i membri della famiglia e gli amici dell’artista.

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Il video, oltre a raccontare la realtà personale dell’artista, vuole rappresentare il senso di lontananza di chi ha parenti distanti il cui ricordo, dei fugaci momenti condivisi che vive nella memoria e nei racconti. Per questo e tanto altro chiunque può trovare degli elementi in cui identificarsi, perdersi, ritrovarsi, divertirsi e su cui riflettere in questa Quarantena. 

Dopo aver ascoltato Maldafrica, incuriosita dal mood intenso e malinconico dell’artista, ho voluto rivolgergli alcune domande su di lui, sulla sua musica e sui suoi progetti futuri… Ecco le sue risposte!

Domanda di rito, che cosa significa per te essere afroitaliano?

Afroitaliano è solo un termine per farsi accettare e per rivendicare alcuni diritti innegabili che ha la mia comunità in Italia. L’ideatore di questo neologismo è Tommy Kuti. Nonostante la stima reciproca che c’è tra me e il mio collega, credo che non rappresenti a pieno il mio stato. A me non piace identificarmi in qualcosa. Sono un senegalese cittadino del mondo, che ha il diritto di vivere dove vuole e come vuole, nel limite della libertà altrui. Mi sento molto più calabrese che afroitaliano. Il messaggio che voglio mandare è che puoi essere chi vuoi quando vuoi nella vita!

Negritude (prod. Yves the Male) è una delle prime canzoni tue che ho ascoltato. Che cosa rappresenta per te questo concetto? Come lo spiegheresti a chi non ha familiarità, perché non ha ancora letto, ad esempio, le poesie di Senghor?

La Negritudine è un movimento letterario di epoca coloniale che mira semplicemente a far risaltare i pregi della gente nera. A quei tempi i complessi di inferiorità della mia gente erano davvero marcati. Per questo cantare la negritudine per me è un motivo di orgoglio. È un po’ un inno per dire: “okay, nonostante i trascorsi, non dobbiamo mica vergognarci di essere stati degli schiavi!”

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Che cosa significa per te “rappresentazione”?

Io rappresento una comunità! Parlo dei problemi, delle emozioni e di tutto quello che tange la mia gente: che sia africana, o del sud Italia. Rappresentare per me vuol dire continuare a raccontare la realtà che ti circonda così com’è, così da poter far immergere il tuo pubblico in storie che probabilmente possono toccarli in prima persona.

A parte il neonato collettivo Equipe54, altri progetti all’orizzonte?

Ho finito il mio primo disco, uscirà a breve. Prima di quanto immaginiate. Nel mentre sto già lavorando ad altri progetti da solista. In cantiere c’è già un secondo disco, mi sento un fiume in piena. Anche se data l’emergenza non si può dare nulla per certo.

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