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Approfondimento

George Floyd: cosa possiamo imparare da L’odio di Kassovitz?

L'odio Vincent Cassel

A volte le coincidenze temporali sono sinistramente sospette, fanno quasi paura. 25 anni fa, giorno più giorno meno, usciva nelle sale di tutto il mondo L’odio di Mathieu Kassovitz, una pellicola che avrebbe segnato un’epoca, ritraendo con crudezza e realismo la vita nelle banlieue di Parigi attraverso gli occhi di tre ragazzi che la abitavano.

George Floyd: una morte, l’ennesima, annunciata

Flash forward rapidissimo ad oggi: dall’altra parte dell’oceano l’America brucia, rivendicando quella giustizia nei confronti della popolazione di colore che tante volte è stata millantata, quante poi è stata spergiurata e calpestata. La morte dell’afroamericano George Floyd è stata solo la miccia (l’ennesima a dir la verità) a far scoppiare una vera e propria rivolta di massa, propagatasi da Minneapolis in tutta la nazione, tra incendi, saccheggi ed un presidente che non sa fare altro che buttare ulteriore benzina sul fuoco. Ma non sono qui per farvi prendere coscienza su ciò che è accaduto (e spero non serva io per farvi capire qual è, l’unica, posizione a riguardo), quanto per riscoprire l’estrema attualità di quel lungometraggio ed il collegamento a doppio filo con la cultura hip-hop che noi tanto amiamo.

L’odio: attuale anche dopo 20 anni

“Questa è la storia di un uomo che cade da un palazzo di cinquanta piani. Mano a mano che cadendo passa da un piano all’altro, il tizio, per farsi coraggio, si ripete: “Fino a qui tutto bene. Fino a qui tutto bene. Fino a qui tutto bene.” Il problema non è la caduta, ma l’atterraggio.”

Hubert, prologo di L’odio

La sequenza d’apertura recitata da Hubert rimarrà una delle più iconiche della storia del cinema. Una persona in caduta libera che, man mano che precipita, si fa coraggio, non pensando che il problema grosso sarà quando esso si sfracellerà al suolo, terminando il declino ma anche la sua stessa vita. Ma da cosa nasce questo malessere, questa condizione di disagio pronta ad esplodere? Anche nel film la scintilla è un abuso di potere da parte delle forze dell’ordine su un ragazzo fermato e poi pestato durante delle proteste.

“All’uscita da scuola vedo Vinz tornare a casa con Hubert e Said, e se l’odio sta qui anche l’amore sta qui.”

Ensi, Tutto il mondo è quartiere

Come rappato da Ensi nel suo penultimo disco V tutto il mondo è quartiere. Allora L’odio diventa una incredibile predizione di quanto accadrà pochi giorni dopo la sua uscita: nel sobborgo parigino di Noisy-le-Grand si propagarono i moti di rivolta, che poi coinvolsero tutta Parigi, a causa dell’uccisione di un immigrato da parte delle forze dell’ordine. Situazione che si è ripetuta nel 2005 e nel 2017 sempre in Francia, evidenziando come le differenze di ceto, mentalità, cultura e sociali siano molto più acuite oltralpe che nel nostro Paese.

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Ma perché questa connessione strettissima tra il mondo hip-hop e questo film (e di rimando quindi alle rivolte di questi giorni)? Be’, provate a pensare ed a ricordare: ad un certo punto de L’odio un ragazzo (DJ Cut Killer), dalla finestra della sua stanza, si mette a suonare ed a scratchare da un piccolo impianto. Indossa una maglietta dei Cypress Hill (uno dei gruppi hip-hop più famosi in assoluto) e dalla cassa, il cui suono inonda tutta la piazza del suo quartiere, esplode Sound of da police di Krs-One, poi mixata con Je ne regrette rien di Edith Piaf. Il brano del rapper di NY esplica alla perfezione perché solo il rap potrebbe spiegare in maniera coerente e dettagliata questi disagio, questo malessere, questa ingiustizia. Barre come:

Change your attitude, change your plan, there could never really be justice on stolen landthe overseer could stop you, what are you doin? The officer will pull you over just when he’s pursuing, The overseer had the right to get ill and if you fought back, the overseer had the right to kill, the officer has the right to arrest, and if you fight back they put a hole in your chest

KRS-One, Sound of da police

Parliamo di un brano di quasi trent’anni fa, ma come potete notare non è cambiato poi troppo nel paese dello zio Sam: gli abusi di potere sono tuttora legittimati dalle forze dell’ordine a discapito dei cittadini di colore. Solo l’hip-hop, con la sua mission di uguaglianza e fratellanza, è veicolo che unisce ed accomuna tutte le razze, ma diventa megafono nelle mani di chi deve urlare il suo stato di ansia e paura verso ingiustizie ancora attuali ed anacronistiche… Cosa vi aspettavate, che Cut Killer da quella finestra potesse suonare un pezzo dei Pooh (se fosse stato girato in Italia)? Non credo proprio…

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L’odio e l’hip-hop italiano: sembra di stare a Thoiry!

A proposito di Italia… No, qui da noi non abbiamo mai avuto moti di rivolta e subbuglio come i nostri vicini francesi o oltreoceano. Difficilmente, nella mia memoria, ricordo situazioni – e ce ne sono state, il parallelismo tra George Floyd ed i vari Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi e tutti quei ragazzi uccisi per abuso di potere è immediato – che hanno portato a quartieri che si sono ribellati o hanno manifestato così veementemente. Sì, ok, manca l’elemento razziale che certamente negli altri Paesi è più presente, ma ciò non è un’attenuante.

Comunque, cercando di non divagare, L’odio ha attecchito molto più sulla nostra scena hip-hop rispetto all’impatto, presso che nullo, avuto negli USA. Come avrete colto sopra sono tanti gli artisti che si sono ispirati al terzetto guidato da Vincent Cassel, chi più chi meno velatamente. Marracash ha sfruttato l’incipit del film per il concept del suo secondo disco, appunto Fino a qui tutto bene, cronaca di un declino lento ed inesorabile dell’uomo Fabio Rizzo. Album tra i suoi più sottovalutati, anche per i suoni avanguardistici e precursori per il periodo in cui fu pubblicato, Marra seguiva per tutto il progetto un concept, riprendendo appunto il film di Kassovitz, sino ad arrivare all’impatto finale.

Di Ensi abbiamo già detto poco fa, pochi forse invece si ricordano che anche Achille Lauro, prima di darsi al pop melenso, si è lasciato ispirare nel suo disco Ragazzi madre. Nella title track troviamo infatti

O loro come noi o noi come loro
Le casse fuori alla finestra come L’odio

Achille Lauro, Ragazzi madre

riferimento quanto mai evidente alla scena che abbiamo descritto sopra.

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Anche gli artisti della nuova scuola hanno attinto a piene mani da questo capolavoro del cinema contemporaneo. In uno degli ultimi singoli di Tedua, Elisir, nel ritornello è incastonata una finezza già meno evidente rispetto a quelle riportate prima:

Vieni via con noi, ti do il civico

E chiedi di Asterix al citofono

Tedua, Elisir

che rimanda ad una scena ben precisa del film francese. L’ultimo esempio (nostro, ma vi assicuro che ce ne sono tanti altri nascosti in molteplici tracce) è forse quello più lampante di tutti: Sembra di stare a Thoiry! Lo urlava Quentin40 in una hit di qualche anno fa, paragonando tutto ciò che gli stava attorno al celebre zoo di Thoiry a Parigi, citato appunto nel film da Hubert mentre iniziava la sassaiola rivolta ad una troupe televisiva. Ma lo stesso gergo usato nel film, il verlan, è stato ripreso dal mondo hip-hop nostrano e non: giochino molto semplice, basta invertire le sillabe delle parole per formarne delle nuove! Drema, gafi, nogra… Lo stesso verlan è l’enver con le sillabe inverse!

No integrazione, bensì desegregazione

Quindi, cosa ha portato prima Kassovitz a girare L’odio, ed attualmente la popolazione afroamericana a ribellarsi? Classica domanda dal miliardo di dollari! Di sicuro non c’è ancora un’integrazione totale tra tutte le etnie, quanto più un ghettizzarle e rinchiuderle in determinati ambienti. Le banlieue francesi, abitate per il 35% da famiglie marocchine ed algerine, o gli stessi sobborghi americani colonizzati da afroamericani sono esempi lampanti di come ancora non si sia attuata un’integrazione minima. Come scriveva Buzz Bissinger in un suo celebre romanzo “in questa comunità non esiste l’integrazione, né in nessuna comunità americana”. Frase scritta vent’anni fa, ma quanto mai attuale, nel momento in cui nascere di colore in uno stato come l’America significa vivere con un bersaglio bello grosso attaccato sulla schiena.

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