
Bassi Maestro, al secolo Davide Bassi, è una di quelle figure del panorama musicale italiano che, dopo oltre 30 anni di brillante carriera, non ha certo bisogno di presentazioni. Tuttavia, un percorso artistico così lungo e un talento che si riversa in molti ambiti, non possono non determinare delle innovazioni delle quali parlare. Tra queste vi è sicuramente North of Loreto, la realtà sotto la quale Busdeez ha pubblicato l’album M, disponibile dal 17 luglio 2020 su tutte le piattaforme digitali. Dopo averne parlato nella nostra recensione, abbiamo deciso di realizzare un’intervista all’artista per farci raccontare come dietro alla lettera M si celino la musica, Milano e il designer Munari.
L’intervista in cui ci hai parlato di North of Loreto si è conclusa col tuo accennare ad un progetto che allora era ancora top secret. Ci avevi detto solo di voler trovare una formula completamente nuova. Ora che quel progetto è realtà, ti va di raccontarci come sei riuscito a ottenere ciò che stessi cercando?
In una condizione normale, senza lockdown, probabilmente non avrei pubblicato un disco così strumentale e con una direzione così definita. Ho fatto questa scelta, perché era l’unica possibilità che avessi di realizzare un prodotto in quel periodo. Non volevo aspettare troppo tempo e far passare più di anno dall’uscita dell’ultimo disco, anche perché volevo mantenere vivo l’interesse che c’è stato e che c’è su una serie di progetti che ho fatto, i re-edit e i remix. L’idea è stata fare un album che parlasse un linguaggio strumentale e non puntasse particolarmente al mercato italiano, ma che potesse essere fruito contemporaneamente in vari posti nel mondo. Credo, infatti, che stia benissimo in una serie di playlist indipendentemente dal luogo in cui ci si trova. Avevo la possibilità di lavorare anche a distanza con altri artisti per dei featuring o delle collaborazioni, ma è una cosa che preferisco fare di persona. Mi sono quindi orientato su collaborazioni musicali che sono molto più semplici da gestire di quelle vocali, come quella con Veezo con cui avevo già collaborato. Ho aspettato per un cantato più catchy per il pubblico italiano e, infatti, quest’estate spero di poter continuare a lavorare su ciò che avevo lasciato a metà strada come idee.
M è il titolo di questo nuovo viaggio. In un post su Instagram hai scritto che questa lettera sta per musica, Milano e Munari. Mi piacerebbe che ci raccontassi qualcosa per ognuna di queste parole, iniziando dalla musica…
Sono riuscito a fare parecchie produzioni e ho messo tutte quelle che mi sembravano andare nella stessa direzione, rifinendole e perfezionandole, all’interno di questo disco. Disco che, tra l’altro, funziona come un 2.0 del precedente. Quello era un tributo agli anni ’80, con sonorità più funk e modern soul e con arrangiamenti molto più black come tipo di approccio. Questo album è più elettronico, sicuramente molto più house e più acid, ma ci sono dei momenti jazz, funk e Italo disco. Siamo sulla fine degli ’80. L’idea di North Loreto è proprio quella di restare in questi anni, anche perché, onestamente non conosco benissimo gli anni ’90 da questo punto di vista. Se mi mettessi a rifare dei classici della dance anni ’90 non sarei a mio agio, perché si tratta di qualcosa che non ho ascoltato e non ho suonato, in quanto non mi interessava. Questo album può sfociare solo sui primi due anni del decennio successivo a cui fa riferimento, perché ho seguito l’house music a cui guarda solo fino a quel momento. Dal ’92 al ’93, infatti, mi sono dedicato completamente all’hip hop, perdendo di vista la scena elettronica che stava prendendo una piega che a me interessava meno, perché meno legata al mio mondo di provenienza, quello black.
Per quanto riguarda la seconda parola, Milano, credi che M ne fotografi un aspetto diverso rispetto all’album precedente?
Senza dubbio mi sono ritrovato a vivere vari aspetti della città. Tuttora ne vivo l’aspetto quotidiano quando mi chiudo in studio a produrre, mentre l’aspetto più notturno, fino a qualche mese fa, era quello fatto di serate e incontri. Nell’ultimo anno ho avuto modo di beccare una fetta di persone magari più lontana dal mio circuito, quello dell’hip hop classico, però che comunque aveva un legame col mio passato. Infatti, tanti che sono finiti a fare house o hanno un negozio dischi piuttosto che fare produzioni, magari vengono dal mio stesso sottobosco culturale. Essere a contatto con un nuovo circuito in cui mi però mi sento ugualmente a casa, è stato un po’ un nuovo modo di vivere Milano. E questo album lo rispecchia.
Milano si lega alla terza parola, Munari, creativo e designer milanese. Come mai hai pensato alla sua figura?
Munari è un artista in cui, col dovuto rispetto, mi ritrovo molto, perché non ha mai avuto paura di proporre delle idee diverse, anche quando era affermato in altri ambiti. Inoltre, le sue rappresentazioni hanno sempre avuto qualcosa che io accomuno molto alla musica che ascolto. Si tratta di opere dall’esecuzione semplice, ma dietro le quali si cela una tradizione e una cultura. Tra l’altro Munari è una figura alla quale sono stato esposto sin da piccolo, perché in famiglia era molto apprezzato e, quindi, ho sempre pensato di fare qualcosa che potesse riguardarlo. Questo album mi è sembrato il momento giusto. Enrico Dalla Vecchia che è il mio grafico da un po’ di anni, è riuscito ad interpretare ciò che avessi in mente nella copertina, dando una nuova veste grafica al negativo-positivo di Munari. E lo ha fatto in modo credibile, cosa non facile quando si tocca un artista di quel calibro.

Munari è molto conosciuto proprio per i cosiddetti negativi-positivi. Queste figure vengono spesso descritte come i pezzi che compongono un motore: non c’è una parte che fa da fondo alle altre, ma tutte assieme fanno l’oggetto. Pensi che valga lo stesso per le tracce di questo album?
Non avevo mai pensato a questa lettura, ma sicuramente in questo album ogni pezzo ha un legame, essendo stato assemblato durante un periodo così determinato, storicamente parlando. Poi, dal punto di vista musicale, le tracce si scollegano, perché ognuna ha i suoi riferimenti specifici. Il primo pezzo, ad esempio, dato che è molto moderno a livello di produzione e di suono, fa pensare che il disco prenda una certa direzione. Ma poi ne parte un altro in una diversa e dopo ancora, per esempio, arriva la italo disco. C’è, insomma, molta libertà. In tutto il progetto North of Loreto, tra l’altro, ho incluso varie figure di lettura musicali che rappresentano sempre lo stesso periodo, ma in momenti diversi. Nel primo disco non avrei mai potuto inserire la italo-disco coi riferimenti americani e, in generale, era un album molto più vario e ingenuo. Si trattava di un momento di passaggio a livello di produzione, di una fase intermedia più vicina al mio vecchio mondo attraverso la quale dovevo passare per arrivare a M che, invece, sfocia nell’elettronica. Ed è anche caratterizzato da un nuovo modo di approcciarmi alle produzioni.
La rielaborazione del passato è al centro di tutto l’immaginario di North of Loreto. Nel panorama mondiale, anche artisti come i Daft Punk si sono cimentati in questa impresa e la loro musica non è stata percepita solo come un’operazione nostalgia. Credi che la differenza tra progetti nostalgici e dischi tributo sia stata capita nel tuo caso?
Io aspetterei di vedere ciò che succede con questo disco. Quello precedente ha fatto un po’ storcere il naso a quelli che non potevano capire che tipo di riferimenti ci fossero. NoLo, infatti, aveva riferimenti musicali più difficili, mentre M parla un linguaggio più fruibile che lo rende più facilmente comprensibile. C’è, ad esempio, la cassa dritta che è un elemento che può far prendere bene. Magari a qualcuno può non piacere tutto il disco, ma se ti piace l’elettronica, ci sarà sicuramente qualcosa di tuo gradimento. Paradossalmente, essendo un disco più criptico, può comunque arrivare al mercato italiano, anche se sto puntando all’Europa e oltreoceano.
Hai sempre descritto North of Loreto come il tuo side project elettronico, ma ormai sembra essersi guadagnato una certa centralità nel tuo percorso. Hai intenzione di continuare su questa strada o c’è la possibilità di svoltare di nuovo in direzione del rap?
Come ho detto più volte, questo lo escludo. Senza dubbio i classici dell’hip hop restano qualcosa con cui mi confronterò sempre, come magari faccio già attraverso le dirette su Twitch in cui mi dedico a remixarli, ma non sono più la mia forma d’espressione principale. Ora, oltre a questo mio progetto in qualità di front man, mi sto dedicando anche ad altro a livello di produzioni non necessariamente legate a questi mondi. Mi piace, infatti, l’idea di confrontarmi con realtà anche diverse dalla mia con cui comunque si può creare un’intesa e da cui posso imparare qualcosa.