
17, come il giorno di nascita dei figli di Emis Killa e Jake La Furia. 17, un numero che solitamente viene considerato funesto, rognoso, e che invece i due artisti milanesi si sono addirittura tatuati sullo zigomo, come a volerlo esorcizzare. Un sodalizio che va oltre il mero lato artistico (la collaborazione tra i due inizia ai tempi dei Dogo, e proseguirà con hit come Non è facile e Fuoco e Benzina), i due si sono scoperti molto legati soprattutto fuori dal palco. Ed è proprio lì che nasce, appunto, 17, primo joint album tra i due che esce oggi, 18 settembre, anticipato dal singolo Malandrino.

Il disco era inizialmente previsto per la primavera, ma è stato spostato a causa della situazione globale. Pochi gli artisti chiamati a collaborare (“Anche perchè è un joint album, non una compilation” come annuncia Jake La Furia), tutti molto stimati dai due: dall’onnipresente Lazza alla combo Salmo/Fabri Fibra, sino ai giovani Tedua e Massimo Pericolo. Neanche a dirvelo, il numero delle tracce è 17, come poteva non esserlo! 17 brani in cui al centro c’è il rap, quello che ha cresciuto Jake La Furia ed Emis Killa in due epoche diverse, ma che li ha catapultati sotto i riflettori per più decenni. Abbiamo scambiato due chiacchiere con entrambi, e ciò che ne è uscito è uno spaccato interessante sulla scena rap italiana, vista da due esperti del settore!
Quanto è cambiato il vostro processo creativo durante i vostri anni di carriera? È stato diverso rispetto alle vostre collaborazioni passate?
Jake La Furia: «Certo, noi abbiamo collaborato spesso, ma non andava oltre il mandare il pezzo e reinviarlo con la strofa aggiunta. Stavolta abbiamo lavorato un po’ separati e molto insieme. Per 17 è filato tutto liscio, oltre le più rosee aspettative, senza intoppi, andando d’accordo su tutto e siamo più che soddisfatti del risultato finale.
Le differenze col passato… Stanno più che altro nello stato di coscienza, che in passato era molto peggio, e nei mezzi che possiamo utilizzare oggi: il disco è stato realizzato tutto nello studio di Emis, che è a casa sua.»
Emis Killa: «Non c’era un mercato che ti permettesse di avere un vero studio di registrazione a casa tua, se facevi rap era difficile che guadagnavi a tal punto da dire <<Mi faccio lo studio a casa>>. La differenza in studio, però, la noto tanto coi giovani, io e Jake ci siamo trovati bene perché la vediamo alla stessa maniera.
Coi giovani invece capita che ti trovi in studio, loro si fumano quattrocento canne e dopo ore non hai concluso nulla. Anche i producers si chiudono nel loro mondo, lo abbiamo visto anche con Low Kidd: è un fenomeno, ma avrebbe potuto farlo da solo per poi girarci il beat alla fine quando era ultimato! C’è un ordine diverso di lavorare, meno metodico e più istintivo…»
L’uscita del disco era prevista per parecchi mesi fa: è cambiato qualcosa nel frattempo?
Jake La Furia: «Non è cambiato niente, il disco era finito e c’è stato il lockdown. Io non posso registrare a casa, perché sennò mia moglie mi terrebbe a lavorare tutto il giorno, mi darebbe anche da registrare a casa! Non ho lo studio in casa, io a casa gioco a FIFA e non porto il lavoro dentro casa!»
Emis Killa: «Questa è una cosa che ti critico sempre, a te ed a tutti! Ma perché non avete lo studio in casa?!»
Jake La Furia: «Durante il lockdown ho scritto ma non ho registrato niente. Il disco era pronto, c’è stato un lavoro di un anno dietro. Poi non è che noi ci siamo fermati ed il mondo è andato avanti, si è fermato tutto, quindi quando si è ripartiti era il momento di farlo uscire.»
La prima barra del disco, di Jake La Furia, è “Tu sappi che qua non si trappa”: una bella dichiarazione di intenti…
Jake La Furia: «Be’, il linguaggio del rap lo conosci anche tu, poi però tutto il disco non è un attacco alla trap, ma più che altro a quella LOL music che non dice un cazzo. Perché se parliamo di Sfera, se parliamo di Lazza, di Capo Plaza, sono artisti che la trap la fanno egregiamente. Volevo affermare da subito che questo sarà un disco rap, vi state per sentire un disco rap, ed in questo periodo è bene dirlo prima!»
Parlando di feat, L’ultima volta vede la collaborazione di Massimo Pericolo: vista la tematica del brano, è stata una scelta voluta o casuale?
Emis Killa: «Ha scelto lui il beat che gli avevo mandato, contemporaneamente Jake mi aveva inviato la sua strofa, quindi avevo questo audio dove rappava, e casualmente toccava una tematica molto vicina a lui. Quindi a lui è andata benissimo!»

Il disco si chiude con Quello che non ho: cosa pensate vi manchi dopo una carriera lunghissima? Emis, invece, sostieni che ti stanchi spesso e rapidamente di tutto: hai trovato qualcosa che ti è rimasto?
Emis Killa: «La musica, prima di tutto. Ovviamente ti parlo di cose materiali, perché quando si parla di affetti non ti stanchi mai, però la musica è l’unica cosa che è stata così duratura. In realtà anche le altre due passioni che mi porto dietro, le moto e le arti marziali, le coltivo da quando ero ragazzino. In Quello che non ho faccio riferimento a cose meno importanti, quindi appunto i vestiti, le macchine, la casa… In quel senso lì non sono mai sazio veramente: volevo comprarmi la moto, ora ne ho sei; volevo la casa più grande, l’ho comprata ed adesso ne voglio una più grande ancora. Volevo la Porsche, ora ne ho tre, ma voglio la Lamborghini… E non ho i soldi per prendermela (ridendo)!
Però questo funge da benzina, se voglio arrivare lì devo fare così e questo, unito alla passione verso ciò che ami, funziona. Fortunatamente quasi sempre quello che mi manca sono delle cazzate di cui posso fare anche a meno.»
Jake La Furia: «Per me è uguale, in più è una patologia: questa roba qua non ti fa vivere benissimo. Non ti basta vincere, devi stravincere, devi distruggere gli altri. Cerchi sempre di essere il numero 1, se guardi The Last Dance lo spiega benissimo, come Micheal Jordan ha sempre voluto primeggiare. Stai avendo tutto ma non ti basta, penso che molti che fanno questo mestiere sanno di cosa parlo… E dopo un po’ diventa una patologia: avere, dimostrare, fare.»