
Vivere da cosmopolita e sentirsi al centro del mondo dovunque ci si trovi è in pieno l’essenza degli anni a noi contemporanei (o almeno pensavamo lo fosse prima della pandemia causata dal Covid-19). VillaBanks rispecchia a pieno quest’essere, e la sua vita da viaggiatore senza fissa dimora si trasferisce alla perfezione nella musica – la sua infanzia si è divisa, infatti, tra Francia e Italia. Con il suo esordio major El Puto Mundo – uscito il 30 settembre per Virgin Records – il rapper ventenne mette in musica la sua miglior versione, che purtroppo è ancora lontana dalla sua definitiva evoluzione.
Sicuramente il suo sviluppo come rapper estremamente moderno (tante release annuali, poliglotta e promozione mirata, tipo quella sul portale hard PornHub) si trova nel disco, e risulta la chiave più interessante. Per adesso.
Strumentali
La possibilità di poter lavorare ad un album con un solo produttore che si conosce bene è senza dubbio un valore aggiunto, soprattutto se si cerca un proprio suono. VillaBanks con Linch ha provato ne El Puto Mundo ad arrivare a una definizione della sua musica, puntando su melodie moderne mixate a basi più crude e scarne. La linea generale è abbastanza coerente e la pulizia che si sente in cuffia è un piacere (grazie al lavoro di Tommaso Colliva nella post-produzione), in più la presenza di tante sporche e scream messe al punto giusto aggiungono volume ai pezzi un po’ più sentiti (Interludio è un esempio).
Un punto a favore de El Puto Mundo lo si trova anche nell’abbandono di tutte quelle strumentali derivative di quella trap un po’ lol e un po’ nosense (che l’aveva portato a collaborare con Bello Figo). Allo stesso tempo forse si poteva puntare su quell’esperimento molto riuscito che era stata Avatar – traccia di Quanto manca – che invece è naufragata in Cocktail.
Testi
Quella che potrebbe essere una forza per VillaBanks è invece una debolezza. La presenza in quasi tutte le tracce di barre o strofe in lingua straniera (Summer Drip invece nella sua interezza) crea un po’ di confusione, al posto di essere una cifra stilistica. In molti casi sembra un vezzo buttato lì, senza avere una giustificazione artistica (soprattutto parlando dello spagnolo).
Come da lui ammesso anche in un’intervista a DJ Mag, per quanto riguarda i soli testi, “sono un musicista che parla di donne”. Il concetto è fin troppo chiaro ne El Puto Mundo: le 10 tracce sono assolutamente monotematiche. Il problema è il punto di vista, che malgrado provi a cambiare, lo fa troppo poco. E quindi abbiamo solo l’amore che fa stare male e quello che fa “godere”. I feat aggiungono pochissimo da questo punto di vista, ma perlomeno non peggiorano la situazione (Pasticche con Capo Plaza in particolare). In generale il limite non è insormontabile, ma VillaBanks dovrà trovare qualche chiave di lettura nuova – magari scavando nelle esperienze del suo seppur breve trascorso – altrimenti sarà relegato a solo materiale da Tik Tok (che comunque nel mercato attuale non è un’idea malvagia).

Stile
Confusione e superficialità sono i primi due aggettivi che ho percepito al primo ascolto. Non si può negare che il prodotto sia confezionato con cura e attenzione, ma i componenti sono mescolati non nella maniera migliore. L’opportunità di essere poliglotta – in un’Italia che come conoscenza di lingue straniere è da sempre agli ultimi posti in Europa e nel mondo, per quanto riguarda i paesi sviluppati – è una grande chance che VillaBanks può giocarsi meglio. Può funzionare sia per il nostro mercato sia per quello europeo, ammesso che non sia copia carbone di chi fa musica nella lingua locale, altrimenti dove sta il vantaggio? Stesso discorso per il suono, sono certo che si possa fare di più e trovare quelle influenze (magari puntando alla Francia) che in Italia possono essere nuove e apprezzate.