Eccoci tra le nostre righe, come state?
A Torino, nonostante il Covid-19 abbia modificato molto le routine quotidiane, il tempo scorre tranquillo; le strade e parchi si sono ripopolati e la socialità riprende tra una mascherina e l’altra, tra una notizia e un’altra: il calcio ha di sicuro occupato le chiacchiere di molte persone. Nello specifico, mi sto riferendo agli eventi intorno alla partita Juventus-Napoli: ha generato un gran polverone. Avete seguito? Io a distanza sì e no poco interessata, comunque. Vi starete chiedendo, allora, perché accenni di calcio, vero? In parte perché il mondo calcistico napoletano si ricollega con il protagonista a cui è dedicato il libro di cui vorrei parlarvi oggi.
Napoli: tra amori, motorini e amici
Chi è? Be’, in linea generale questa è una domanda che in tante persone si fanno, o si sono fatte. Ed è a partire proprio da questa che Gianni Valentino, giornalista, scrittore e poeta nel 2018 ha scritto il libro Io non sono Liberato, per Arcana.
Siamo quasi alla fine del 2020 eppure il velo di Maya, o per precisione, il cappuccio del munacciello di Napoli non si è ancora abbassato (p. 29): la sua identità rimane intoccabile e celata. Anche solo per questo leggere Io non sono Liberato è stato interessante. Mi ha permesso di capire aspetti micro-culturali che non conoscevo e di inquadrare così meglio questa eterea figura d’artista, che io conobbi grazie al video Me staje appennenn’ amò (2018) su YouTube: rimanendone quasi folgorata, non solo per le tematiche sociali raccontate.
I video su YouTube successivi a questo e le altre canzoni su Spotify possono infatti essere fatte proprie a più livelli. Molto probabilmente, per chi come me ascolta rap, ad incuriosire non sono solo le atmosfere dei video, ma anche l’immaginario raccontato: per certi aspetti tanto differente da altri due grandi artisti come Clementino, oppure come Luchè. Nel caso specifico, ad esempio, di Luchè, le canzoni sono poesia cruda, violenta e dura; in quelle di Liberato, invece emerge una Napoli dolce e nostalgica fatta di amori non ancora vissuti, o struggenti ma sfumati troppo in fretta e di serate in motorino con amici tra stadio e graffiti. Visti questi spaccati diversi, il capitolo Genesi, con cui si apre il libro, inquadra la realtà napoletana sia dal un punto di vista musicale –non solo Urban – sia da un punto di vista linguistico e letterario: delineando così uno scenario molto eterogeneo, particolare, singolare e non così conosciuto. Per questo, mentre leggevo, dentro me ritornava l’eco di una canzone che sicuramente conoscerete: «Napule è mille culure. Napule è mille paure…»
Un’indagine e i suoi silenzi
Questo racconto-indagine si sviluppa poi in una riflessione critica, ricercata e appassionata sullo stile e in particolare su temi, anche del dolce still novo al cui patrimonio Liberato attinge; si concentra poi sui testi e sugli errori che solo chi parla napoletano riesce a cogliere (p. 34). Molto stimolante è l’analisi fatta circa il ritorno del dialetto e di una sua rinnovata centralità nella canzone napoletana. Fin dalle prime pagine, infatti, tra i tanti meriti riconosciuti a Liberato vi è quello di aver reso accessibile e apprezzabile e godibile, con gradi diversi il napoletano. Come sottolinea, ad esempio, l’autore:
«Si teorizza che nel suo avventuroso carnevale su lidi pop, dub, electro, soul, LIBERATO abbia saputo plasmare anche dosi di musica neomelodica, rendendola cool. Da munnezza a tendenza, da trash a gorgeous» (p. 68).
Il libro è quindi un viaggio in solitaria fatto alla ricerca disperata quasi dell’Angelica, come per l’Orlando furioso? Proprio per niente. Gianni Valentino in Io non sono liberato nel suo riflettere si fa accompagnare e ad aiutare con tantissime interviste, disseminate lungo tutto il libro. Ne risulta così una ricerca-indagine, attenta, ricca di collegamenti, minuziosa e plurale a cui partecipano diversi esponenti dell’intrattenimento, artisti, rapper e specialisti, alcuni dei quali sono: Clementino, Gigi D’Alessio, Fabri Fibra, Gemitaiz, Nino D’Angelo, Raiz, Populous, Ivan Granatino, Livio Cori, Bawrut, Enzo Chiummariello, il prof. Ugo Cesari, Lettieri e altri… persino utenti del fan club di Liberato.
Eppure, spesso le interviste s’arrestano in più o meno secchi e vaghi “not comments”; alcune neanche incominciano e altre dopo un felice quando enigmatico inizio, si dissolvono…
Per questo Io non sono liberato può essere anche un avvertimento… più cerchi la verità ultima più questa sfugge o non risponde.
«Tu mi chiedi, ma io non ti do info» Guè Pequeno , in Bla Bla di Anna.
Vetrinizzare l’anonimato
Anche quelli laureati alla facoltà di non rispondere, riprendendo ancora una volta le parole di Guè di Tuta di Felpa (2015), tuttavia non mi hanno fatto pensare che Liberato sia una sorta di segreto di Pulcinella della musica contemporanea. C’è qualcosa di più: qualcosa di più denso, eppure fluttuante e per questo invitante che non si esaurisce in un sapiente uso del marketing creato a tavolino.
Grazie alla lettura di queste ricche 288 pagine, posso sviluppare questa considerazione: Liberato è fenomeno urbano, complesso, forse multi situato, definito eppure evanescente, così personale da fare rispecchiare soggettività diverse. Per questo poi la gente si ispira a questo attraverso plagi, remix e cover. Trae la sua forza dall’antico tema antropologico partenopeo della maschera (p. 89), al quale associa, sapientemente, elementi moderni e schegge di vita molteplici come l’immaginario degli “Ultras Liberi”, ma non solo: è infatti stratificato. Nel fare ciò compie una scelta controcorrente: vetrinizza e ostenta l’anonimato e spinge, con vigore romantico (p.245) chi fruisce ad abbracciare, volere o no, i suoi sentimenti più intimi, bambini eppure decadenti.
Mi fermo qui: Mmiezz’a via, mmiezz’avia (We Come From Napoli, Liberato, 2020, Album Ultras)