Speranza, al secolo Ugo Scicolone, ha da un paio d’anni concentrato su di sé gli occhi e le orecchie dei seguaci della scena rap italiana. Rappando in italiano, francese, napoletano e dialetto gitano, si fa portavoce della periferia e della multietnicità. Rappresenta un’alternativa al mainstream italiano tutto soldi e apparenza, per favorire un rap che parla di realtà.
Figlio di padre italiano e madre francese, nasce e cresce in Francia prima di trasferirsi a Caserta. Esordisce con il video del singolo Sparalo! nel giugno del 2017, brano che poi viene successivamente remixato da Crookers. Per poi pubblicare nel 2018 su YouTube il singolo Chiavt a mammt e Spall a sott, diviso in tre momenti, e in seguito i singoli Givova, Sirene e Manfredi. Nel 2019 ha calcato alcuni dei palchi più importanti d’Italia in un tour condiviso con Massimo Pericolo e Baraccano.
Il 15 ottobre è uscito il suo primo album, L’ultimo a morire, pubblicato per Sugar Music. Supportato da Tedua, Guè Pequeno, Kofs, Rocco Gitano e Massimo Pericolo con il suo tipico realismo crudo, regala 14 tracce dalle sonorità travolgenti.
Sei nato in Francia e per buon tempo della tua vita hai vissuto lì. Che ricordo hai di quegli anni e cosa ti hanno lasciato?
È un ricordo che mantengo ancora vivo, visto che continuo a tornarci frequentemente. Sono stati anni che hanno formato la persona che sono oggi.
Quando e come è avvenuto il tuo approccio con il rap? Le tue influenze sono maggiormente francesi o italiane?
Nei quartieri francesi ci cresci con il rap. Fa parte del contesto. Non è una moda che scegli di seguire, quindi sicuramente si sente nel mio mood, ma in generale cerco di ascoltare la roba con una certa distanza proprio per non lasciarmi influenzare.
I tuoi primi pezzi erano solo in francese, ma con il tempo hai voluto dare voce anche all’altra parte di te, quella legata a Caserta. Al momento, come fai a far coesistere le due parti nella tua musica?
In francese mettevo comunque le solite barre in dialetto quando me lo sentivo. Un po’ come faccio adesso, al contrario. Proprio perché sono due realtà sia simili che diverse che fanno parte di me e che ci tengo a rappresentare da sempre.
Il 15 ottobre hai pubblicato il tuo primo album, L’ultimo a morire. Qual è stato il percorso per arrivare a questo disco?
Mentre cacciavo musica e video, vedevo che l’interesse era crescente, mi si è aperto un periodo di featuring con artisti che poi sono diventati amici. Contemporaneamente ho iniziato un percorso live che è durato un anno. Era arrivato il momento di ripartire da me con delle basi più solide.
Tedua, Massimo Pericolo, Guè Pequeno, Rocco Gitano e Kofs sono gli artisti che hanno preso parte al tuo disco, alcuni più conosciuti e altri meno. Come sono nate queste collaborazioni? Sono dettate da una semplice una scelta stilistica o sono legate anche a ciò che canti?
Sono legate un po’ a tutto. Amicizia, stima reciproca, e sintonia musicale. Tutto nasce da lì. Sono collaborazioni che non sono lì a caso e che ci tenevo ad avere.
La produzione dei tuoi brani è passata per varie mani. È stato un lavoro fatto insieme oppure hai lasciato libertà ai produttori? E a cosa è dovuta questa varietà?
Anche qui è un fatto di amicizia, stima e sintonia. Molti hanno fatto parte del mio percorso. Ho dato carta bianca a chiunque per avere un risultato senza paraocchi.
Nelle tue canzoni parli di ciò che hai vissuto e di ciò che hai visto, molto spesso situazioni di disagio. Credo che questo sia dovuto alla tua volontà di lanciare un messaggio ben preciso, di sensibilizzare verso determinate dinamiche. La musica deve avere questo potere?
È un potere che la musica ha a prescindere. Qualsiasi sfogo musicale è ben accetto. Anche il rap che parla di rap. Il mio è molto autobiografico: pezzi di vita, pensieri e attimi immortalati che riflettono quello che tante persone vivono per strada. Se viene percepito vuol dire che il potere c’è.
Hai sempre espresso vicinanza alle varie culture, risultato anche di anni passati in periferia a contatto con varie nazionalità. È importante creare un senso di coesione, di fratellanza nei messaggi che vuoi trasmettere?
Non faccio politica per il sociale. Dietro le mura che ci impongono, non è tutto rosa e fiori, però sarebbe comunque opportuno affacciarsi, scavalcare o abbattere queste barriere per vedere cosa c’è dall’altro lato. Bisogna conoscersi per andare avanti.
In un’intervista hai affermato di continuare con il tuo lavoro in cantiere pur facendo musica. Quanto è importante rimanere con i piedi per terra?
Ognuno si esalta a modo suo. Nel mio caso, ho più piacere nel stare con le basi di sempre. Tante cose cambiano ovviamente. E se la musica va avanti ben venga, gli ascoltatori vanno onorati, come loro onorano me.