
Il 17 dicembre 2020, Rico Mendossa ha pubblicato il suo primo album ufficiale: De Rua, fuori per Thaurus Publishing.
L’album ha una forte attitudine, un immaginario street e una narrativa decisamente autobiografica. Come ci ha raccontato lo stesso Rico, questo album è stato per lui una valvola di sfogo e fortemente terapeutico. Gli è servito per analizzare se stesso e riflettere sulle vicende del suo passato – che tornano sempre a bussare alla porta. Oltre al passato, però, il suo occhio clinico analizza anche il presente, descrivendo e imprimendo nella mente dell’ascoltatore immagini vivide delle varie difficoltà figlie dei nostri tempi, come fosse uno dei maggiori esponenti della street photography: tutto è intenso e, soprattutto, vero. Infine Rico arriva alla piena consapevolezza di sé, scommettendo il suo futuro sulla musica e non ammettendo fallimenti.
All’album hanno partecipato Guè Pequeno, Vacca, Ensi, Young Rame, Sean Poly, Santiago KeiKei e Thai Smoke, mentre le produzioni sono state realizzate da BR1, Keezy, Morea, Dhope e Awa Beatz.
Se vi piace il rap puramente street e hardcore, ma che lascia spazio anche a riflessioni, allora non potete lasciarvi sfuggire questo album. Dopo questa doverosa presentazione vi lascio alle parole di Rico Mendossa che racconta le frasi embrionali del progetto e del suo stato d’animo nel frattempo.
De Rua è il racconto della mia vita, passata e presente, ed è una storia di rivalsa attraverso i propri sogni.
Rico Mendossa
Ho iniziato a scrivere il disco nel periodo della quarantena, non arrivavo da un periodo felicissimo visto che nel giro di un mese e mezzo ho perso entrambi i nonni. Prima di iniziare, Doggy mi chiamava tutti i giorni per parlare, voleva spingermi a provare questa esperienza. Ma io non volevo minimamente saperne perché ero sotto di brutto, in una depressione totale, tanto che avevo trovato lavoro in un ristorante: nella mia testa stava svanendo quella voglia di continuare a fare musica. Dopo quasi otto anni a lottare ero esausto. Ma Doggy non mollava, mi invitava tutti i giorni a pranzo per cercare di farmi cambiare idea. Il 31 dicembre è morto mio nonno, mia nonna stava molto male. Il giorno del funerale, tra le mille lacrime, mi è tornata in mente la promessa fatta a mio nonno. Ho deciso di tornare a provarci. Ho iniziato il disco in maniera cazzara e le prime sei tracce che ho scritto sono state Guapo e Kilo – entrambe con Young Rame, Carne alla griglia con Guè Pequeno, Brotha con Thai Smoke e Ciabatte. Finalmente, iniziavo di nuovo a vedere un po’ di luce.
Facevo il doppio turno e appena potevo mi dedicavo alla musica. Quando è morta mia nonna a febbraio, ho deciso di mollare il lavoro senza pensare a cosa potesse capitare. Mi sentivo di farlo e l’ho fatto. Dopo poco è arrivata la quarantena e sembra paradossale ma a livello di disco mi ha dato una grossa mano, mi impegnava tutto il giorno senza farmi sentire il peso della restrizione, anche se ero già abituato. Nel pieno della quarantena sentivo spesso Franck Ribéry. Ho capito che era arrivato il momento di fare il secondo tributo per lui, ora che eravamo diventati amici! Finita la quarantena parto per Firenze e ci rimango un paio di giorni. Verso la metà di giugno arriva la chiamata dell’avvocato: torna a bussare il passato. Sapevo cosa mi aspettava, ma in un momento così non potevo mollare! In quel momento ho deciso di dare ancora di più a livello di contenuti e allora ho scritto 10100 e In cabina durante quel periodo. A settembre avevo tutto chiaro, dovevo solo registrare e superare la sentenza! Ho deciso di documentare tutto come si può vedere nei miei street vlog, per far capire quanto è stata dura costruire questo disco. Ma è stato anche pieno di emozioni.
Ne farei già un altro.