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Approfondimento

Notorious B.I.G. su Netflix nel docufilm Biggie: I Got a Story to Tell

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Il primo marzo 2021 è stato reso disponibile sul catalogo Netflix il docufilm Biggie: I Got a Story to Tell, che racconta la breve ma intensa vita e carriera del Re dell’East Coast Notorious B.I.G., inserito nel 2020 nel prestigioso museo Rock & Roll Hall of Fame.

Prodotto dalla madre Voletta Wallace e dall’amico e collaboratore Puff Daddy, il documentario contiene diverse interviste alle persone a lui più vicine e filmati d’archivio del successo senza precedenti di Biggie. Questo ennesimo prodotto che lo vede protagonista (vi ricordiamo, fra gli altri, anche il film Notorious del 2009 diretto da George Tillman, Jr.), non vuole raccontare qualcosa di nuovo, ma semplicemente aggiungere piccoli dettagli intimi, dar voce ai pensieri e ai sentimenti del monumentale artista che tutti conosciamo.

Sinossi di Biggie

La madre racconta del trasferimento dalla Jamaica a New York City, con la speranza di trovare opportunità lavorative e svolgere una vita più agiata. Qui incontra Selwyn, un uomo sposato, che sarà il padre del tutto assente di Christopher. Durante tutta l’infanzia, ogni anno ritornano nella città natale della madre e Biggie inizia ad avere i primi approcci con il reggae e lo stile giamaicano di MC-ing grazie allo zio Dave, musicista e cantante. A Brooklyn ha modo di conoscere il suo vicino di casa, Donald Harrison, sassofonista jazz con cui approfondisce la batteria del bebop. Dalla strada, poi, ha modo di conoscere l’hip hop, complice anche un regalo della madre.

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Cresce a Brooklyn sulla St. James, tra Gates e Fulton, una delle strade più pericolose per l’alta incidenza di tossicodipendenti. Il regista Emmett Malloy ci presenta gli amici d’infanzia di Christopher, in modo particolare D Roc, che per anni riprende tutti i momenti salienti della vita e della carriera di Notorious B.I.G. Poi, arrivano i produttori e i collaboratori che avrebbero contribuito a spingere Notorious B.I.G. alla celebrità. In entrambi i casi, si trattava di persone che vivevano nelle vicinanze, nei quartieri di Clinton Hill e Bed-Stuy di Brooklyn.

Negli anni ’80 Biggie abbandona la scuola cattolica per iniziare a spacciare crack con alcuni amici agli angoli della strada, pur di guadagnare qualcosa, ma grazie a D Roc ha modo di conoscere 50 Grand e la Def Jam Recordings con cui registrerà la prima demo. Demo che arriverà nelle mani di Puffy tramite Matty C di The Source Magazine. Il suo pattern di rime e il flow innovativo convincono Puff Daddy, e insieme i due collaborano per il primo singolo Party and Bullshit nel 1992.

“Potevi sempre sentire dei residui di artisti rap precedenti. Questo ragazzo, non so da dove sia venuto con la sua cadenza, coi suoi ritmi, col suo suono, col suo approccio, con la sua sicurezza. Non sai da quale pianeta del rap sia venuto questo ragazzo.”

-Puff Daddy

Notorious B.I.G., non ancora certo della sua carriera, non smette di condurre la sua doppia vita oltre la legalità neanche dopo l’uscita di Ready to Die, spingendolo a volersi trasferire in North Carolina per allargare il giro di spaccio. Tutta la sua determinazione, ma anche il suo pessimismo e il sentimento di smarrimento, emergono perfettamente nel suo primo album. Fu P.Diddy a fargli cambiare idea, dopo avergli raccontato del padre pusher e avergli fatto capire che quella strada lo poteva solamente portare verso la galera o la morte.

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Nel documentario si vedono anche le immagini con Tupac, prima che il rapporto si deteriorasse in seguito della sparatoria ai danni di Shakur. Riguardo al conflitto non viene aggiunto niente di nuovo, se non il fatto che Biggie soffrisse molto per la morte del rapper della West Coast. Questo evento lo portò a voler lavorare più intensamente per far uscire nuova musica con urgenza. Alla fine della registrazione di Life After Death, decise di andare in California per poter sistemare le cose, vista la crescente faida tra le due coste. Ma come sappiamo, il 9 marzo 1997 a Los Angeles, Notorious B.I.G. perderà la vita in seguito ad una sparatoria.

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Il documentario si chiude con le immagini del suo funerale (un dejà vu dal film che vi abbiamo citato all’inizio di questo articolo), già proposte nei primi minuti, soprattutto del passaggio della macchina contenente la sua bara per le vie di Brooklyn, il suo quartiere, il quale lo accolse con gioia e festeggiando, perché lui ce l’aveva fatta. Voletta Wallace, infine, confessa sorridendo di aver ascoltato gli album di suo figlio una sola volta dopo la sua morte, perché lui le aveva detto che «non è musica per maggiori di 35 anni, ci sono troppe oscenità dentro».

Se sei appassionato di docufilm e film a tema hip-hop, guarda anche gli altri titoli del catalogo Netflix consigliati da noi, che abbiamo approfondito in questo articolo.

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