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Intervista

La fusione multiculturale di Davide Shorty: l’intervista

Davide Shorty ph. Ambra Parola Alta 2

Non troppo tempo fa l’abbiamo visto esibirsi sul palco dell’Ariston, gareggiando tra le nuove proposte con il suo brano Regina; Davide Shorty chiude la sua esperienza sanremese con un secondo posto e ben tre premi di prestigio: Dalla, Jannacci e Lunezia (fra questi il più importante). Oggi, 30 aprile 2021, esce il suo ultimo disco, fusion., di cui abbiamo già avuto una notevole anticipazione a marzo, con l’uscita di fusion a metà (letteralmente, l’esatta metà disco). Durante questa chiacchierata abbiamo discusso delle sue influenze musicali, il suo percorso di vita e della black culture in Italia, mantenendo comunque lo sguardo fisso sui suoi progetti futuri. L’album fusion. non è, come ribadisce lo stesso artista, un omaggio al genere di nicchia di fine anni ’60, bensì rappresenta l’incontro e l’amalgamarsi di più culture, generi e linguaggi, appunto una vera e propria fusione.

Se siete curiosi di saperne i dettagli, non resta altro che augurarvi una buona lettura!

davide shorty fusion.
Cover di fusion.

Partiamo dal principio, fusion. il tuo ultimo progetto, perché innanzitutto questa particolare attenzione al minuscolo ed al punto finale?

Semplicemente perché dà quell’idea di pacato, di basso tono, di ‘’Low-Key’’; rispecchia il mio essere, a me non piace urlare, non credo che si risolva nulla, anzi tutt’altro, le cose vanno dette in maniera calma, proprio per far sì che arrivino più chiare. Invece il punto categorico perché il concept dell’album non necessita ulteriori spiegazioni, è una fusione di tante cose, punto. Una fusione di persone, culture e di tanti generi, quali: hip hop, soul, jazz, cantautorato italiano ed un poco di funk.

Non deve essere stato facile creare e ultimare un disco intero nel corso della pandemia, quali sono state le difficoltà principali dietro la tua ultima fatica ?

Come ben puoi immaginare, la difficoltà più grande è stata il non poter vedere le persone con le quali avrei dovuto collaborare. Fare un disco e doverlo mixare a distanza è stato veramente pesante, molte cose le ho registrate in remoto, molte altre non le ho potute direttamente fare. Invece non ho avuto alcun tipo di difficoltà espressiva (fortunatamente), tutto quello che è stato scritto e composto rappresentava un bisogno, ponendo grandissima attenzione alla naturalezza del progetto stesso. Diciamo che in altre situazioni probabilmente, vivendo lo studio di registrazione, ci saremmo dati una ‘’mano fisica’’.

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Citando uno dei tuo brani, spieghi  come in Sicilia non serve essere benestanti per sentirsi ricchi, uno straordinario paradosso, ma quali sono i caratteri della tua terra che ti hanno ispirato?

La testardaggine, tutti noi siciliani siamo cocciuti, e poi quando penso alla Sicilia, penso a personaggi quali Peppino Impastato e Giovanni Falcone, capito?

Dunque un’ispirazione ideologica.

Esatto, queste persone ci hanno insegnato che non importa dove sei nato, conta ciò fai. Inoltre, fin da bambino, la Sicilia mi ha insegnato l’accoglienza, l’importanza del calore umano, ecco mi piace accogliere il prossimo, mi piace far sentire a casa, mi piace contaminarmi ed ascoltare i racconti delle esperienze di ognuno.

Invece per quanto riguarda le ispirazioni artistiche (estere e non)? Tra di esse, abbiamo parte dell’attuale scuola inglese? Mi riferisco ad artisti del calibro di Tom Misch, Loyle Carner e Barney Artist…

Sono tutte persone che conosco, ma non penso di avere molto in comune con loro, tranne con Loyle Carner, lui è uno dei miei preferiti e, come me, anche lui è dislessico, quindi mi rivedo molto nel suo approccio alla scrittura. Più che essere influenzato da lui, abbiamo delle influenze molto simili e mi piacerebbe un giorno collaborarci, anche con Tommy!

Davide Shorty ph. Ambra Parola Alta 3 min
Davide Shorty, foto di Ambra Parola

Capisco, anche perché la scuola inglese è parecchio influenzata dal jazz italiano, uno tra tanti Piero Umiliani, il cui sample di Ricordandoti è stato utilizzato in Ain’t Nothing Changed di Loyle. Poi?

Poi sicuramente: D’Angelo, Erykah Badu, Pharrell Williams, e J Dilla, soprattutto lui, sul quale addirittura ho svolto la mia tesi di laurea; quindi sicuramente rappresenta la mia più grande influenza. Poi ascolto tantissimo cantautorato vecchio stampo, tipo Pino Daniele, Battisti, Luigi Tenco, però allo stesso tempo anche Bobby Caldwell, Earth, Wind & Fire. Infine, nel panorama hiphop italiano principalmente: Stokka & Madbuddy, Otello, Sangue Misto, Cor Veleno, Sottotono e Ghemon, lui prima di tutti mi ha influenzato tantissimo. Di Ghemon apprezzo moltissimo come abbia sdoganato il fatto che non bisogna essere per forza dei ”machi” del c***o per fare rap e soprattutto il modo in cui si approccia al foglio, direi terapeutico.  

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E in questo marasma di ispirazione, tu, come ti definiresti?

Mi definirei in primis come un producer, poi rapper ed infine cantante, questa è la mia gerarchia dei ruoli.

Mettiamo il coperchio su questo calderone, ormai riempito fino all’orlo. Il tuo fusion. è un disco denso di significato dalla parte testuale, Non respiro (feat. Amir Issaa e David Blank) pone particolare l’attenzione sulla tragica vicenda di George Floyd, cos’è secondo te che stiamo continuando imperterriti a sbagliare (anche inconsapevolmente)?

Pecchiamo di presunzione e di una mancata apertura mentale, tendiamo a non informarci e a dare tante cose per scontate. L’Italia è un paese molto molto retrò; in televisione si sentono ancora battute razziste…

Dunque ci stiamo riferendo agli ultimi accaduti che hanno coinvolto Striscia La Notizia?

Esatto, reputo Michelle HunzikerGerry Scotti delle persone intelligenti, però da quel punto di vista sono “ignoranti”… Loro sono semplicemente le vittime più esposte di un sistema che ha distorto il loro modo di pensare. Serve una maggiore educazione all’ascolto e all’empatia.

davide shorty
Davide Shorty, foto di Ambra Parola

 Cambiando discorso, prendendo in considerazione il panorama musicale attuale, sarà semplice integrare nella discografia italiana un fusion.?

Chiaramente no, ogni volta che sono in studio con un rapper che fa un genere diverso al mio, dentro di me mi chiedo: ‘’ma cosa ci sta capendo lui?”. Per il futuro, non saprei risponderti a questa domanda, dovremmo vedere dopo l’uscita del disco. Spero che l’Italia stia cambiando, lo spero sinceramente. Perché qui sentiamo spesso parlare di RnB, anche quando RnB non è. Quando si parla, veramente, di RnB, io penso subito alle Destiny’s Child, Rihanna, Chris Brown, nettamente diversa dalla definizione di RnB italiana.

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Sai che per gli standard italiani qualcuno riuscirà a definirti come RnB, giusto? Come lo percepisci?

Di sicuro non mi offendo, mettiamola così. Le definizioni mi vanno bene tutto e non me ne va bene nessuna, cioè l’unica definizione, a me attribuita, per la quale sono d’accordo è hip hop, nient’altro. Dal mio punto di vista, fusion. è un disco hip hop anche se, al suo interno, c’è tanto cantautorato e jazz; perché il disco hip hop non dev’essere per forza rappato.

Per quanto riguarda la tua esperienza sanremese, nel corso della competizione tra le nuove proposte, tu e la tua Regina ve la siete cavata con un secondo posto e con più premi attribuiti dalla critica: Enzo Jannacci, il Lucio Dalla ed il Lunezia. Mica male, no?

Ti ringrazio! Be’, io non sono un tipo da competizione, cioè sono felicissimo dei premi e dei vari riconoscimenti ufficiali, anche perché è la conferma che sto facendo le cose giuste al momento giusto, ma non sto lì a mettermi in competizione.

Nonostante ciò, il percorso classico inizia candidandosi tra le nuove proposte, per poi competere, successivamente, con i vari Big. Tieni in considerazione il prossimo step?

Perché no. Qualora abbia il pezzo giusto e nel caso ci sia la stessa visione che ho avuto per Regina, allora sì.

Su quel palco avevi una sorta di coscienza di rappresentare la differenza? Questo bagaglio sulle spalle è stato più un peso o una soddisfazione?

Non è stato assolutamente un peso, anzi un grandissimo onore. Il mio ruolo, in quanto artista, è quello di essere me stesso, ed io vivo e respiro l’hiphop, da molto più di 12 anni.

E infine un’ultima curiosità personale, con i Funk Shui Project dopo Terapia Di Gruppo non siete arrivati al traguardo, giusto? Quando ripartirete?

*Ndr. Davide è titubante nel rispondere, ma inizia a sorridere ed annuire* Non posso rivelarti molto, però ti dico solo che con Jeremy e Natty Dub abbiamo aperto un gruppo WhatsApp che si chiama FSP 2022. A buon intenditor poche parole…

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Studente universitario in costante ricerca di ciò che lo riesca a stupire. Amante, non schizzinoso, della musica in tutte le sue sfumature.
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