
Il 28 maggio 2021 è stato pubblicato Red Bull 64 Bars, The Album, il progetto nato in collaborazione con Island Records con cui Red Bull ha raccolto i brani frutto della sfida che ha reso famoso il format 64 bars e il sodalizio del brand con la musica rap. Il progetto è corale e l’esprimere un’opinione sui testi e le produzioni non può che passare attraverso l’analisi, veloce ma attenta, di ciascun contributo. Partiamo subito con la nostra recensione dell’album!
Quattro tracce sono state già pubblicate nei mesi o nelle settimane precedenti, come una sorta di best of di questo format infuocato. Si tratta di La prossima volta di Gemitaiz prodotto da Carl Brave, che introduce la base con la consueta chitarra, fa riferimenti di spessore, allo stato definito “piovra”, alla pandemia (“questo anno è finto fermo come un dipinto”). Si destreggia tra l’alternanza di 4 linee melodiche e altrettanti timbri vocali.
Rap Tutorial di Geolier prodotta da Luchè, invece, non stupisce per flow né contenuti perché descrive, di nuovo, gli orologi, le donne brasiliane o dell’est che prima di raggiungere il successo poteva solo sognare di avere, ripercorrendo un immaginario che ha già abbondantemente esplorato. La nota positiva è quella di riuscire a evidenziare efficacemente la capacità comunicativa trasversale del rap in dialetto partenopeo, sottolineando come chi lo prendeva in giro per il suo accento abbia poi cercato di imitarlo.
Concludiamo con 64 barre di paura su una produzione di Crookers & Nic Sarno e 64 barre di vittoria, prodotta da Marz: Marracash è il king indiscusso del format, essendosi aggiudicato già il podio nella competizione 2020. In Red Bull 64 Bars, The Album troviamo sia il brano vincitore sia quello uscito lo scorso marzo, che fa da colonna sonora alla nuova serie Netflix Zero. Entrambi sono un fittissimo concentrato di rime e restano quasi il miglior risultato del disco.
Quasi perché, arrivando agli inediti, con Lewandovski VIII che, segue il brano numero VII dell’album appena uscito, in barba a chi dopo Superclassico aveva ascritto Ernia al pop-rap, Matteo Professione sputa sulla produzione di Greg Willen su 64 barre e altrettante punchline, come lui stesso sottolinea alla fine del brano, lasciandolo aperto. Il pezzo è forte e affronta in prima battuta una riflessione sulla più grande nota dolente che attanaglia i contenuti rap. Quel tallone d’Achille che i non appassionati usano per liquidare il genere: “dicono tutti le stesse cose”. In effetti l’unica componente umana a cui il rapper-tipo (con tutte le numerose e dovute eccezioni) degli ultimissimi anni sembra essere legittimato a dedicare attenzione, una volta finiti di contare i soldi, le donne e le collane, è la madre.
Il giovanissimo Blanco, in Dio perdonami prodotto da Drast ha una intensità che emoziona alla prima barra. Si rivolge a un Dio che forse ha poco tempo per ascoltare le confessioni di un ragazzo appena maggiorenne (“ne ho 17 sulle spalle”, “cresciuto in mezzo ai campi”). La sua è l’unica traccia che in qualche momento di discosta dal puro rap e si conferma in linea con i lavori fatti da lui finora, vicini al punk con elementi vocali profondi che vibrano sulla strumentale.
D’eccezione il contributo di Sina, vera rivelazione del disco, che in Draft prod. Pherro cita Guè Pequeno e Kanye West e si vanta delle sue origini sarde, come a ricordare che non sono i mezzi della metropoli a ostacolare le possibilità di successo se hai determinazione e talento. Beba con Wimbledon compone un pezzo di altissima qualità, con rime incastrate alla perfezione, delicate ma molto incisive. Ha faticato a farsi apprezzare da un mondo che in Italia appare ancora, a tratti, gender-oriented e la pecca del brano è proprio quella di legittimare la sua bravura da donna. Ci auguriamo che da ora in poi non ci sia più bisogno di dirlo e che per mostrare il talento non abbia bisogno di fare premesse di genere.

Quando Carl Brave inverte le parti e rappa sulla strumentale di Gemitaiz, con L€bron tira fuori un testo ironico ma in definitiva insufficiente (“lei che mi fa un bel chinotto, ma poi arriva un poliziotto ma poi fa la poliziotta”, “faccio drill sull’autogrill”). Unico merito forse di ottenere un efficace potere straniante all’interno del disco. Rkomi fa un discreto brano, Cuore Dollari prodotto da Junior K, ma non chiude le rime e questo in un album incentrato sulla bravura tecnica più che sulla sola interpretazione personale resta un limite. Mezzo sport è un pezzo drill, come la produzione affidata a Drillionaire prometteva, sulla strumentale Lazza mette in gioco interessanti cambi di flow.
Pyrex con Dennis Rodman riesce a fotografare la scena romana inserendo nelle barre citazioni alla Dark Gang 777 e alla Linea 77, di cui Dade è fondatore. I riferimenti testuali peccano forse di originalità, essendo ai consueti status symbol del genere (“l’orologio indica nuova eraVVS sopra la mia ghiera”, “tu compri sneakers, io case non vesto Pyrex, mi chiamano Pyrex”).
La strumentale di Shablo su cui rappa Guè per Venezuela è composta da un beat che ricama sound rotondi su cui il Guercio fa la sua parte, arrivando ad autocitarsi rimando su Rimo da quando. Barre dense della consueta spocchia (“sono cristo con i tattoo”) che mette al tappeto la scena (“sento sempre gli stessi testi tradotti dall’inglese”) ma in definitiva non stupisce. La traccia di Izi Santa Bandana esplode più grazie alla strumentale di Low Kidd che grazie alle liriche.
Testi
In definitiva i testi, con le singole particolarità appena evidenziate, sono complessivamente forti a sufficienza. Sembrano urlare un’urgenza comunicativa real e riescono a concretizzare l’obiettivo della sfida: tirare fuori, come in un originale freestyle, barre senza pause, in cui dar voce al proprio talento da mc.
Strumentali
Se la sfida della voce è tirare fuori 64 barre senza ritornello, anche quella della produzione è rendere un tappeto sonoro omogeneo che non fatichi ad arrivare alla fine della traccia. Alcuni sono in grado di farlo e altri invece sembrano mettere assieme più brani, perdendo di continuità e fluidità. Il brano di Low Kidd per Izi, attraversando il succedersi di flow diversi, non risponde pedissequamente alla task, ma diventa molto piacevole perché sul finire tira fuori una base tutta da ballare, che ne decreta quasi il successo banger.
Il brano di Dat Boi Dee per Beba è l’eccezione che conferma la regola. Il momento centrale introspettivo della canzone è assecondato dal beat in modo naturale e sembra vincere la sfida di far vibrare testo e strumentale come due elementi gemelli che nascono per osmosi. È originale il risultato dell’incontro tra Roberta e il beatmaker firma di Vamos Pa La Banca che, non dimentichiamo, viene dall’originario studio del pianoforte e dall’esperienza romana accanto all’old school di Amir. Dade dimostra di nuovo di saper spaziare sull’hardcore, sul rap oltre che sull’indie e la trap. La base di Darst per Blanco è potentissima e profonda, quella di Pherro per Sina ha grande memorabilità e si imprime nella mente al primo ascolto.
La forza delle strumentali qui sta, ancor più di quanto non avvenga di consueto, nel legarsi perfettamente alle liriche per far emergere il talento di entrambe le professionalità, quel sodalizio per il quale Marracash ha definito il format “il rap alla sua vera essenza”.
Stile
In un momento di contaminazioni, punk-rock, indie, r’n’b, pop, assistiamo a un contenuto spiccatamente rap e lo stile è finalmente libero, irruento, urlato. La sensazione è che se i protagonisti dell’album facessero in un loro personale progetto quello che hanno realizzato in Red Bull 64 Bars, The Album sarebbero quasi tutti capaci di dar vita a un puro disco hip hop.