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Intervista

Novecento, la confessione personale e storica di Chef Ragoo

chef ragoo

Chef Ragoo è un rapper eclettico che è passato attraverso esperienze artistiche diverse e attraverso epoche musicali diverse, avendo cominciato a metà degli anni ’80. Ci ha incuriosito molto il suo progetto, Novecento, pubblicato il 20 maggio 2021 per Time 2 Rap, a distanza di ben nove anni dall’ultimo disco. Le tracce sono forti, socialmente impegnate. Cupe nella prima parte dell’album e da metà del lavoro in poi, invece, aperte a momenti di leggerezza. Passa in rassegna gli eventi che hanno segnato il secolo scorso, ma senza essere obsoleto o didascalico e rendendo piacevole l’ascolto di contenuti personali, d’attualità e politici profondi.

Al progetto hanno collaborato Little Tony Negri, il beatmaker Ice One, Danno e Suarez , Niccolò Contessa alias I CaniKento e Don Diegoh, AbanCannas UomoLucci dei BrokenspeakersClaudio Nobridge e Brusco

Abbiamo voluto fare una chiacchierata virtuale con lui e gli abbiamo chiesto da dove nasce la passione per le scimmie, che troviamo rappresentate sia in copertina che in un brano dell’album, perché ha sentito il bisogno di ricordare i momenti storici del recente passato e se lo vedremo di nuovo dietro le telecamere, come era accaduto in Zora la vampira!
Ha soddisfatto le nostre curiosità, leggete di più in questa intervista lasciandovi guidare dall’ascolto dei pezzi di Novecento.

Un disco a distanza di nove anni rappresenta l’esigenza di raccontare qualcosa. Qual è l’urgenza di Novecento?

Ci sono stati momenti in questi nove anni nei quali l’urgenza di farlo uscire era maggiore, ma in quei momenti, per un motivo o per l’altro, non sono riuscito a farlo uscire. Nel disco parlo di cose che ahimè sono valide sempre, la depressione, le velleità suicide, la sconfitta. Molti di noi prima o poi affrontano alcune di queste problematiche, quindi credo che il percorso che affronto nei testi non abbia una data di scadenza.

Come è cambiata la scena rap negli ultimi dieci anni e cosa è cambiato per te dal tuo ultimo album?

Le tematiche che affrontavo nel disco precedente si sono consolidate e sono diventate patologie. Il rap nel frattempo ha visto emergere tutta una nuova scena di artisti giovani con un sacco di fotta, di capacità di spingersi, con un livello di produzione generalmente alto e con generalmente pochissime cose da dire, salvo gradite eccezioni tipo Speranza, Massimo Pericolo, Barracano etc.

Come è nata la collaborazione con I Cani?

Niccolò lavorava nella sala prove sotto casa mia, dove suonavo con la mia band. Chiacchierando scoprii che era il fratello di un mio conoscente del liceo, poi è una persona molto simpatica e dal cervello brillante, quindi mi fermavo volentieri a parlare con lui e apprezzavo le prime canzoni che mi faceva ascoltare del progetto che stava mettendo insieme in quel momento: I Cani. Una sera, dopo l’uscita del suo primo disco, è venuto a cena a casa mia e tra un bicchiere e un altro mi ha fatto sentire una base che gli sembrava potesse essere adatta al rap. Mi è piaciuta, gli ho chiesto se gli andasse di farne una canzone insieme e lui ha accettato.
Poi ho scelto l’argomento, ho scritto la strofa e l’ho lasciata un po’ lì. Quando Danno ha ascoltato le bozze del mio disco per scegliere in quale pezzo rappare – io lo volevo mettere su un altro beat che poi non abbiamo proprio usato – ha ascoltato il pezzo con Niccolò e si è entusiasmato. Lui mi conosce dagli anni del liceo, sa bene cosa ho vissuto e di cosa avrei voluto parlare nel disco. Quindi era ottimo per fare da controcampo alle immagini della mia strofa.

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Nel brano Novecento hai messo insieme gli eventi più importanti del secolo scorso, perché senti la necessità di farli rivivere?

Sento la necessità di non farli morire. La memoria è importante.

Perché hai definito questo disco “necessariamente doloroso e dolorosamente necessario”?

Ho lavorato molti anni in pubblicità e so scrivere frasi a effetto! (Ride, ndr)
Il disco è “inevitabilmente doloroso“, perché dall’inizio avevo chiaro che volevo affrontare il tema del suicidio di un amico, e mentre lo realizzavo altri amici se ne sono andati, chi per cause naturali (ma è così naturale morire a 30, 40, 50 anni?) e chi per scelta. E quindi è diventato “dolorosamente necessario“, perché con alcuni di questi amici scomparsi avevo parlato del disco a lungo, perché lo volevano sentire, lo aspettavano. E quindi doveva uscire, per loro. E perché, per quanto sia doloroso parlare di certe cose, è comunque necessario farlo. Anzi, indispensabile.

In I miei sogni sembrano esserci più che altro incubi, personali e storici. Raccontaci di più su questo brano.

I miei sogni fino a poco tempo fa erano composti da situazioni pacifiche con amici, musica, gioia, ma che venivano interrotte da assalti di polizia, o fascisti, o zombie, a seconda dei casi. Ho avuto questo incubo per decenni. Ho passato anni a scappare, nei sogni. E insomma, se è vero che con gli zombie ho avuto a che fare solo nei film e nei fumetti, con guardie e fasci purtroppo il discorso è stato diverso. I sogni in fondo non sono che il riflesso delle nostre gioie e delle nostre paure, da quando sogniamo di cadere mentre stiamo correndo, di innamorarci, di conseguire un risultato importante… a quando sogniamo che una pattuglia di SS venga a strapparci dalla nostra vita per fucilarci in una cava insieme ad altri sconosciuti innocenti. Devo dire che i miei sogni sono migliorati nell’ultimo mucchietto di anni, forse parlarne in questa canzone mi ha aiutato.

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In Scimmiette leggiamo una forte solitudine e la voglia di un contatto con il mondo animale e vegetale. È uno scollamento dalla realtà o, al contrario, un legame vero con la realtà, che passa attraverso quello con la natura, il bioparco etc?

È entrambe le cose. Sicuramente rappresenta un punto di fuga dove dimenticarsi di quello che c’è fuori, se ti stai nascondendo da una realtà che non ti piace e ti aggredisce, ma è anche il confronto con un’altra realtà. La realtà di una moltitudine di esistenze diverse, di modi di esprimersi diversi. Un modo per sperimentare nuovi modi di dare e ricevere affetto. E allo stesso tempo è anche la realtà delle gabbie. Il Bioparco può fornire a un adulto sensibile molti stimoli diversi in positivo e in negativo, può aiutare la riflessione, può calmare il dolore o acuirlo. Comunque è un posto che non mi lascia indifferente, e posso sicuramente dire che esiste un me prima e un me dopo aver conosciuto il Bioparco.

Dagli inizi a oggi hai sperimentato diverse esperienze musicali, hai fatto parte di band punk, hai suonato il basso, la batteria, sei stato voce hardcore e sei stato rapper, come in questo disco. In quale ruolo in quale o genere ti rispecchi di più?

Io sono un punk da quando avevo 14 anni e lo sono sempre rimasto. Non è questione di genere, quanto di attitudine mentale. Poi ho la fortuna di parlare più linguaggi musicali grazie al mio percorso a zig zag nel mondo del suono, e questo mi consente di scegliere a che tipo di musica affidare un determinato messaggio o sensazione. Va anche detto che oramai sono tanti anni che nei gruppi punk suono solo la batteria e non canto, quindi se devo esprimere delle cose con i testi generalmente le affido al rap.

chef ragoo

Sappiamo che hai un rapporto particolare con le scimmie, che troviamo rappresentate sulla copertina dell’album, come hai scoperto i pregi di questi animali?

Andando al Bioparco. Un giorno mi sono seduto a leggere vicino a queste scimmiette, i Cercocebi dal Collare, che al Bioparco hanno un ambiente non vistoso e frequentato come quelli degli Scimpanzè o degli Oranghi, e ho notato che una delle scimmie si sedeva vicino a me dall’altra parte del vetro e guardava la pagina che io stavo leggendo. E poi dopo un po’ si addormentava, accanto a me, seduta come me, ma separata da un vetro. La cosa mi ha interessato e ho continuato a fermarmi a leggere con i Cercocebi anche nei giorni successivi, fino a fare “amicizia” con tre di queste scimmie. Nel frattempo ho provato a approfondire di più il rapporto anche con Scimpanzè e Oranghi, con un certo successo.
E quindi, se a casa ho i gatti, nel mondo ho le scimmie. Ed è una cosa bella, te lo assicuro.

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Come nasce la commistione di generi musicali di questo progetto, o meglio, il mix tra la tua iniziale predilezione punk che si unisce al rap e al folk?

Be’, in fondo questo è un disco 100% rap, anche se ha qualche sample rock. Le influenze punk, però, nei testi si sentono e così il folk (penso ti riferisca a Neil Young) che è stato campionato in un brano e, ne parlo nei testi.

Sei appassionato di pittura e illustrazione, come si nota anche dalla scelta di utilizzare la motion graphic nel video di Nerd hop. Ti va di raccontarci che rapporto hai con l’arte?

Ho avuto la fortuna di apprezzare alcune mostre, alcuni artisti. Sono stato molto appassionato di fumetti. Il video l’ha diretto Suarez che è un mega-nerd e anche uno che ama smanettare con la tecnologia, quindi da anni realizza video in motion graphic per se stesso. Visto che abbiamo fatto un pezzo insieme che tratta di cose nerd, mi è sembrato naturale chiedergli di realizzare il video con quella tecnica.

C’è un artista in particolare, della scena romana e non, con cui vorresti collaborare prossimamente?

In questo disco mi sono tolto grandi sfizi, da questo punto di vista. Mi ritengo appagato per quanto concerne le collaborazioni occasionali. Mi interesserebbe fare un gruppo con altri rapper e un DJ, anche per stimolarci a vicenda, ma per ora è solo un’idea.

Questo disco sancisce il tuo ritorno? Che progetti hai?

Anche se non sono sempre in primo piano, non me ne sono mai “andato”, non lo definirei un ritorno. I miei progetti sono di spingere il più possibile il disco e dedicarmi di nuovo ai live.

Ti vedremo ancora nei panni di attore?

Nei miei video sicuramente, nei progetti degli altri non decido io. Ma non mi dispiacerebbe, è stata un’esperienza molto bella.

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