
Tyler, the Creator ha pubblicato il suo sesto album solista Call Me If You Get Lost, per Columbia Records. Uno dei rapper più originali della scena internazionale torna, così, alla ribalta dopo il successo di IGOR, premiato ai Grammy Awards come miglior rap album del 2020.
Dopo le sperimentazioni dell’album precedente, in Call me If You Get Lost ritroviamo un Tyler, the Creator con uno stile più vicino ai suoi primi lavori. Come già accennato, ci troviamo di fronte ad un artista che fa dell’innovazione il suo marchio di fabbrica, per cui anche una versione più “classica” del rapper californiano riesce a tirare fuori dei pezzi fuori da ogni schema. Il titolo stesso sembra un modo col quale il rapper avverte l’ascoltatore riguardo la possibilià di perdersi nei meandri della sua incontenibile immaginazione. Vediamo insieme come questo album rappresenti un unicum stilistico, da apprezzare in tutte le sue complesse sfaccettature.
Strumentali
Tyler, the Creator, oltre ad essere un rapper talentuoso, è da sempre anche un apprezzato produttore. E quindi il punto forte di questo album non potevano che essere le strumentali. Tyler riesce a mescolare alla perfezione le sonorità più crude a sample soul e neo-jazz, senza che il risultato finale suoni come un amalgama disomogeneo. L’ex Odd Future riesce ad esprimere al suo meglio la sua originalità e il suo genio nella composizione musicale. Emblematico, in tal senso, è il pezzo SWEET / I THOUGHT YOU WANTED TO DANCE che parte come synth-pop, si trasforma in una ballata soul, per poi concludere col reggae.
In Call me ritroviamo un artificio stilistico già usato nei suoi precedenti lavori: a Tyler piace prendere gagsta rapper per fargli sputare rime crude sopra le sue basi eleganti. Come in IGOR, Playboi Carti si ritrova a rappare su un soffice letto sonoro fatto di accordi di pianoforte; in Call me, Ty Dolla $ign viene messo sulla base R&B à la Pharrell Williams (anche lui presente nel disco) di WUSYANAME, mentre Lil Wayne accompagna Tyler nella jazzy HOT WINDS BLOWS.
Testi
L’alter-ego narcisista, Tyler Baudelaire, viene usato in questo lavoro per ironizzare su concetti come fama, narcisismo e cancel culture. Ma anche nei testi ritroviamo la voglia di stupire l’ascoltatore oscillando in continuazione tra ironia e riflessione. E quindi in MANIFESTO, tra una battuta e l’altra, si può ascoltare un’analisi abbastanza profonda del razzismo in America. Mentre in MASSA il rapper, da un lato, ironizza sulle tasse ad otto cifre che gli tocca pagare, dall’altro, critica il governo per la sua incapacità di tappare i buchi del sistema fiscale. O ancora, in WILSHIRE Tyler ci racconta in maniera dettagliata una sua relazione adulterina, senza, però, mancare di riflessioni sull’amicizia, la sessualità (anche con riferimenti al suo essere bisessuale) e l’amore.

Stile
I 52 minuti di musica sono suddivisi in 21 pezzi molto variegati. La copertina è la carta di identità di Tyler Baudelaire, l’alter-ego creato dal rapper per rappresentare il concept dell’album. Tramite questo personaggio, Tyler vuole mostrare la sua ritrovata mondanità e il divertimento che ne consegue. Questa nuova/vecchia vita, tuttavia, spesso si scontra con la sofisticatezza dei suoi sogni e del suo immaginario, facendo venire a galla tutte le contradizzioni che vengono raccontate nell’album.
L’idea prende ispirazione dal poeta Baudelaire, il cui lavoro più famoso, I Fiori del Male, inizialmente era stato censurato perché troppo esplicito e lo stesso poeta venne incriminato per “indecenza”. Allo stesso modo, il rapper californiano in questo lavoro vuole mettere l’una accanto all’altra la volgarità e l’arte pura, la lussuria e l’amore, l’eleganza e il grottesco.