

L’interessante realtà di Guttercorp ha deciso di investire su Gabriele, il Guapo, giovane artista (classe ’95) che ha cambiato pelle diverse volte negli ultimi anni: da solista con il nome di è Elerbagì e in gruppo con i Think About It.
Skincare, pubblicato lo scorso 10 giugno 2021, è il manifesto di una poetica semplice, all’apparenza fragile, ma che cela lunghe riflessioni sul quotidiano, su quanto sia difficile gestirne i cambiamenti, su quanto sia difficile crescere e non smettere di prendersi cura di sé.
Interamente prodotto da Pianow – affiancato dalla coproduzione di Marco Skivo in Il Fiocco – Skincare è la riprova che un certo tipo di sonorità si presta perfettamente alla musica italiana, e che il liricismo e la poetica che contraddistinguono artisti come Gabriele, Il Guapo possono diventare la voce di una generazione che non ha intenzione di chiedere sempre aiuto, ma che non ha problemi a raccontare quando qualcosa non va, per quanto piccolo e insignificante possa sembrare.
Metti in play Skincare, e leggi la nostra intervista all’artista!
Ciao Gabriele, benvenuto su lacasadelrap.com! Qual è l’esigenza comunicativa di Skincare e da dove nasce questo progetto?
Ciao raga, grazie per l’accoglienza. Skincare nasce dalla voglia stessa di comunicare utilizzando un linguaggio un po’ più semplice rispetto ai miei lavori precedenti. Arrivo a Milano nel 2018 con questa idea, reduce da un disco (L’angelo Turchese, sotto lo pseudonimo di Elerbagì) che per me rappresenta un nucleo di partenza relativamente a suoni e intenzioni, ma rimane a mio avviso fin troppo ingarbugliato nella sua retorica per essere apprezzato in larga scala. Ho adottato un nuovo moniker e cercato una nuova pelle rendendomi presto conto di fare musica principalmente per essere più consapevole a livello personale. È qui che entra in gioco il concetto della Skincare: secondo me, la cura del proprio corpo, della propria cute nella fattispecie, può sottendere ad un discorso più ampio di benessere, una nuova maturità acquisita, figlia di un continuo processo di crescita mentale.
“Sarò sempre il più loquace finché resto fra i muti”. Da quello che mi è parso di capire, è una tematica abbastanza ricorrente il rapporto tra apparire ed essere. Un’ambiguità che spesso attanaglia ogni persona. Come vivi questa dualità e, soprattutto, pensi che la tua musica sia una valvola di sfogo per uscire da questo loop?
Mi ritengo una persona piuttosto empatica sotto certi aspetti: in una relazione, come anche in un incontro casuale, ci tengo a far star bene l’altro, sia anche per una questione di imprinting, di ricordo. È un po’ una mezza sindrome del “Salutava sempre”! Scherzi a parte, cerco di vivere questo discorso al meglio, senza farmi influenzare più di quanto questo lavoro, che in ogni caso espone a giudizi, paragoni e via dicendo, possa fare. Ultimamente leggevo del concetto di “liking gap” ossia la distanza tra quanto pensiamo di piacere ad un’altra persona e quanto quest’ultima ci apprezza davvero: è stimato quanto spesso si sottovaluti l’impatto positivo sull’altro e, ad esempio in una conversazione, si tenda ad avere un bias marcato sulle proprie défaillance percepite rispetto ai punti a favore della nostra persona. Secondo me fare musica è sicuramente una valvola di sfogo che però si contrappone al presentare i propri brani e la propria figura/personaggio che può invece accentuare questo discorso. Ecco, anche rispondere a queste domande e immaginarmi un utente random che leggendomi potrebbe pensare “MA CHE PIPPA” mi fa vacillare! La frase estratta dal primo brano è riferita sia a questo concetto, sia al più tangibile discorso del “Non conta come stai coi più forti se ti rapporti ai più fragili”, se mi permettete la reference.
Ho notato anche delle cover particolari, oltre ai Canvas, che accompagnano i brani di Skincare su Spotify. Ti va di parlarci del concept grafico?
Il concept grafico è stato frutto del provvidenziale incontro tra due realtà: Gutter, la mia etichetta, in particolar modo le menti di Luigi di Gennaro, Giovanni Pascali & Andrea Vailati e la sapiente visione di Martina Amoruso e l’equipe al seguito della Civica Luchino Visconti di Milano. Con Luigi avevamo pensato alla possibilità di realizzare un mock up delle creme, con quattro creme per ogni brano del disco (eccezion fatta per la title track che, appunto, nomina il progetto intero), Giovanni e Andrea hanno collaborato strenuamente con il gruppo di Martina per dare vita prima ad una finta pubblicità per la mia nuova linea di prodotti di cosmesi e poi ai due video di Camomilla (che cammina sulla falsariga del commercial) e Da Riporto. Mi è piaciuto molto tradurre le mie idee in qualcosa di così concreto e professionale: tutto merito loro.


Anche il titolo dei diversi brani è estremamente particolare: ogni canzone sembra essere un passo in più verso una destinazione precisa del concept. Sei particolarmente legato ad ognuna di queste parole?
Ho un atteggiamento borderline ossessivo nei confronti dei titoli e come trovarli ahahah! Jokes aside, si, sono delle parole molto importanti più che altro perché mi evocano immagini di vita privata, dalla quale prendo notevolmente spunto per la costruzione dei miei brani. Ad esempio “senza saper né leggere né scrivere” è un detto popolare che mi riporta sia ai miei nonni, sia ad un mio amico che era solito dirlo e sono felice di averlo immortalato così: chiaramente l’ascoltatore non lo coglierà, ma secondo me la musica è anche questo, essere abbastanza leggeri per entrare e abbastanza criptici per restare.
Penso che siano da spendere anche due parole sul brano Leggere, scrivere, infatti: questo brano penso sia il più profondo e il più catartico per Gabriele. Quando lo hai scritto? Ti va di parlarcene?
Parlando di leggerezza!!!! Grazie innanzitutto per il commento, è un brano con il quale ho ancora un conflitto aperto perché a mio avviso va un attimo in contrasto con la linea che mi ero proposto di seguire per questo disco. L’ho scritto verso febbraio 2020, in tempi assolutamente non sospetti e mi andava di affrontare la tematica del fallimento: da buon overachiever sento costantemente il tempo che passa e la possibilità di fare di più, sempre di più, fino a non godermi i piccoli traguardi che la vita mi regala più frequentemente di quanto pensi. Il periodo che abbiamo affrontato dopo la scrittura di questo pezzo mi ha portato a capire quanto alcuni brani mi parlino inconsapevolmente di tempi non ancora vissuti e pertanto, sebbene discretamente pesante come canzone e anche sonoricamente diversa dai quattro brani precedenti in scaletta, l’ho inserita come squarcio anche per non negarmi un possibile scenario più cantato, sia nel presente che in futuro.
Il concetto del “prendersi cura di se stessi” è stato sotto i riflettori in questo anno e mezzo di pandemia globale. Quanto è cambiata la tua vita e la tua routine dopo il Covid-19? E il tuo modo di fare musica?
Su quest’ambito ci sarebbe da dilungarsi parecchio, cercherò di rispondere restando sul fronte musicale. Sicuramente sono più consapevole delle difficoltà nel creare un evento e proporlo, cosi come dell’enorme catena di montaggio che dà lavoro a migliaia di persone ed è stata platealmente ignorata per un ricco 90% di questo ultimo anno e mezzo. Il mio modo di fare musica non è cambiato, ho la stessa prassi di sempre anche per far fronte ad un drastico calo dell’ispirazione. Senza vita non c’è musica e viceversa, trovare nuovi argomenti nelle quattro mura domestiche è difficile senza spunti esterni, cerco di tenere una routine quanto più normale per non perdere il tocco, che sia sul microfono o sullo strumento.
Cosa dovremmo aspettarci nel prossimo futuro da Gabriele, Il Guapo? Magari un album ufficiale?
Tanta musica e tanti live, scongiuri a parte. Mi contraddico spesso e per far vivere questa intervista più a lungo possibile mi limito a dire che sto scrivendo molto e la forma che prenderà il mio prossimo progetto sarà dettata dal tempo e dalle esigenze. Forse non avrà una forma? Chissà, l’importante è scrivere e stare bene nel mentre. Grazie mille per l’attenzione e per lo spazio, vi abbraccio forte.