
Il mondo è in continuo cambiamento e, tra processi di espansione e depressione economica, abbiamo assistito a grandi mutamenti sociali ed economici: la nascita della criptovaluta ne è un esempio idiomatico. Ma perché parliamo di tutto questo? Semplice! Il 3 settembre 2021 è stato pubblicato Beat Coin, il nuovo producer album di DJ Gengis. Conosciuto dal vasto pubblico per la sue collaborazioni con Noyz Narcos, con questo nuovo producer album DJ Gengis offre qualcosa di estremamente differente rispetto ad altri format simili usciti nel recente passato – leggi qui per approfondire. Beat Coin unisce sapientemente la cultura hip hop (e lo “stilo”) più hardcore, con le sonorità attuali. Beat Coin è si un salto nel passato, ma in grado di proiettarci nel futuro della musica urban italiana.
Non è un caso dire tutto questo, perché DJ Gengis fa dell’innovazione il concept di questo disco: l’unione di mondi differenti che trovano nel rap la loro perfetta fusione. È bello constatare che la musica riesca ancora a costituire una sorta di ponte inter-generazionale: esattamente come anni fa accadeva con il dialogo tra il Maestro Battiato e Neffa, oggi in Beat Coin abbiamo il dialogo – tutto musicale – tra Tormento e Random, o tra Neffa e Franco126. Abbiamo rivolto alcune domande a DJ Gengis per capire come si è articolata la stesura di questo disco è quello che emerso è veramente incredibile. Prima però, è doveroso ascoltare!
Ciao Gengis benvenuto su lacasadelrap.com; per prima cosa ti va di raccontarci un aneddoto legato ai tuoi primi passi alla console? Come hai scoperto questo mondo?
Quando qui da noi arrivavano i pochissimi dischi rap, eccezione fatta per alcuni shop come “Disfunzioni musicali”, quello che arrivava era veramente poca roba; tuttavia in Svizzera già il Wu-Tang riempiva i palazzetti: era qualcosa che già si masticava come nel resto dell’Europa. Il bello era che tra noi ci passavamo i dischi e ci spingevamo a conoscere musica: ti posso citare un sacco di cose Wu-Tang, i primi dischi di Method o Cypress Hill, tutta quella roba che qua non c’era. Quello è stato il mio primo contatto con il genere.
Ho capito di volermi avvicinare alla console e che volevo fare questa cosa durante un concerto di Tony Touch al Vecchio circolo degli artisti: fece uno show incredibile; lo ricordo con grande affetto perché fu illuminante per me. Fece sì un dj set, ma riuscì a toccare veramente ogni tipo di suono: dal rap, alle sue hit, alla salsa fino alla house. Ricordo che ad un certo punto disse <<You see I don’t give a fuck up! I play what I want>>. Tony Touch pur non essendo un mega virtuoso dello scratch, mi ha spinto ad avvicinarmi a questo mondo: ho pensato che volevo farlo pure io.
Il mio primo set up era composto da due Technics 1210 e un mixer Gemini; da lì poi feci piano piano dei piccoli upgrade. Quando iniziai a fare i primi lavori acquistai i primi mixer più seri, altri invece li ho vinti durante le gare che ho fatto. All’epoca non esisteva tutta la tecnologia DVS che abbiamo ora.
Dopo aver comprato la prima attrezzatura ho iniziato a frequentare ancora più spesso quello shopper di cui ti parlavo prima per cercare i battle break e primi dischi per scratchare. Di italiani c’era Ice One e poi diversi americani; comprai, quasi per sbaglio, un LP di battle break di Q-Bert, pieno di scratch e di effetti. Quando l’ho messo sul piatto ho pensato che veramente stessero davanti a noi anni luce. Volevo imparare ad ogni costo a fare quella roba lì.

Paragonerei Beat Coin ad una DeLorean. Un disco che ti permette di tornare nel passato della musica, ma proiettando verso il futuro. Era da tempo che non si vedeva un disco così compatto (11 brani) e, al contempo, così corposo – ogni canzone dura sui 3 minuti circa. Da cosa è nata l’idea di un realizzare questo tipo di album?
Il processo creativo parte sempre dalla musica: stavamo in studio e dopo le sessioni pensavamo ai nomi che potevano starci sopra, partendo da quelli che sono i miei amici. Lì dove non erano proprio amici stretti c’erano comunque conoscenze comuni. Il processo creativo è sostanzialmente questo: faccio la musica che più mi sento di fare in un determinato momento e successivamente capisco come e dove posso andare a collaborare, comprendendo anche le varie esigenze in termini di espressione musicale sia da parte mia che da parte dell’artista/rapper.
Nella mia carriera ho fatto un po’ tutto, se non questo: mi mancava tirare un po’ le somme, coinvolgendo quelli che sono stati i personaggi, a partire da Noyz e Gast, che ho avuto vicino durante tutto il mio percorso.
In Beat Coin abbiamo alcuni match inediti a livello di featuring, come nel caso di Random e Tormento. Come è nato questo ponte generazionale?
Partiamo dal fatto che sono in un grosso studio dove sono presenti oltre a me anche Carl Brave, Sine e Marta Geffi (vocal coach di Random, Gemello, Aiello ed altri). In quel periodo c’era Random che stava esercitandosi appunto con Marta e da lì ci siamo beccati. Parlando lui aveva le idee molto chiare voleva fare qualcosa ispirato al gospel – lui viene anche da quel mondo. Vorrei aprire una piccola parentesi in merito: penso che chi abbia questo tipo di sonorità e questo tipo di background (dei cori gospel appunto) possieda qualcosa di unico, ed è una caratteristica che ad esempio ha anche thaSupreme; chi ha fatto queste robe da bambino ha un’estensione vocale che altri non hanno.

Random mi ha dato l’idea di fare qualcosa gospel oriented e io l’ho colta: son partito da degli accordi di organo e successivamente ho programmato la batteria. Dopo aver cantato strofe e ritornello, abbiamo fatto ri-arrangiare tutta la parte dell’organo a Benjamin Ventura, amico pianista con cui ho collaborato durante i tour con Alex Britti, ho fatto risuonare la batteria ed è uscito il pezzo – chiaramente senza ospite. Lì ho pensato subito a Tormento che sarebbe stato perfetto su un pezzo di quel tipo.
Se da un lato abbiamo appunto nuove intese, dall’altro abbiamo anche coppie consolidate come nel caso di Noyz e Gast nel sequel di Wild Boys. Come mai hai deciso che fosse proprio in Beat Coin il momento di riprendere un brano così iconico?
Sulla parte sia musicale che di composizione Wild Boys pt.1 è un pezzo ancora super attuale: spesso si parla di trap e robe varie – quel brano aveva già dentro gli 808 – era già super moderno come brano. Volevo una collaborazione con Emanuele e Manuel in questo disco, e quale migliore occasione per fare la parte due di Wild Boys. A parte il piacere stesso di fare un pezzo insieme, tutto è stato documentato nei vari Vlog sul canale YouTube; a me piace anche così il “Gipsy Studio”. La fase di stesura e creativa è anche questa: ci si arrangia come meglio si può e ci si diverte insieme.

Un brano che ho apprezzato è Stress con Clementino: guarda al reggae e al rub-a-dub, distaccandosi fortemente dalle altre sonorità proposte. Mi ha fatto subito pensare alla recente scomparsa di Lee “Scratch” Perry. Quali sono state le figure artistiche che hanno influenzato il tuo percorso?
Se dovessi fare un elenco delle cose che mi ispirano non finiremmo mai! Vuoi o non vuoi è un continuo, perché ci sono state delle sonorità che hanno preso il ruolo di pietre miliari all’interno del mio percorso nella musica. Il primo ricordo che ho con la musica è legato al disco Dark Side of the Moon dei Pink Floyd. Mi ricordo che da bambino stavo in ginocchio a casa da mio zio, sfogliavo questo vinile e sentivo questa musica fighissima. Una degli album più belli mai concepiti.
Andando avanti, ricordo mio fratello che ascoltava un sacco di rock, ma aveva anche molti dischi di Bob Marley: sono tutte sonorità che mi hanno segnato inevitabilmente. Avevo intorno a me un pot-pourri di stimoli musicali e questo, di riflesso, mi costituisce anche come artista.
Questo album ha un concept comunque piuttosto particolare ed è palese già guardando la cover del disco: in Italia sono già diversi gli artisti che si occupano di Crypto art – penso al duo Hackatao o Giovanni Motta. Come ti poni nei confronti di questa nuova forma d’arte?
Oltre alla musica mi ha sempre molto interessato il mondo dell’arte: sarebbe interessante approcciarsi a questo nuovo mondo, soprattutto se affiancato dai migliori street artist di Roma e non solo. In Beat Coin abbiamo Gemello, Noyz, Gast, Coez: hanno tutti un passato nel settore dell’arte – chi nel writing, chi nella grafica – magari si potrebbe pensare a qualcosa di questo tipo, perché no.

Pensi che le criptovalute possano rappresentare anche un sistema per modificare il mercato musicale e ridimensionare il ruolo delle major al suo interno?
Legato specificatamente al mercato musicale ci sono dei progetti che si stanno sviluppando – già l’NFT ne è una dimostrazione. A livello globale la criptovaluta sta cambiando radicalmente le regole del mercato; se pensiamo anche in termini di inflazione questo è evidente: se fino a 10 anni fa quello che potevi comprare con un BitCoin era un niente, ora il valore di questa moneta digitale è enormemente aumentato.
Nel prossimo futuro cosa pensi ci sia in progetto per te come DJ? Hai in cantiere nuovi lavori? Porterai in tour questo producer album?
Visti i tempi, questo è un progetto sicuramente più da ascolto: parlando con altri addetti ai lavori sembra che stiano rimandando di nuovo ogni apertura. Vorremmo fare una critica aperta: negli altri paesi tutti stanno facendo i concerti e, forse, sarebbe il momento che si prestasse un po’ più di attenzione al mondo dello spettacolo e soprattutto che ci si interessasse maggiormente alla gestione di questo settore.