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Intervista

Murubutu presenta “Storie d’amore con pioggia”: l’arte è progressione incessante

Storia di amore con pioggia e altri racconti di rovesci e temporali

Ho avuto il piacere di fare quattro chiacchiere con Alessio Mariani, in arte Murubutu, per farmi raccontare la genesi di Storie d’amore con pioggia, settimo tributo al connubio fra musica rap e letteratura, nonché quinto concept album dell’artista reggiano. Esce oggi, venerdì 14 gennaio, per Glory Hole Records, e si presenta con una peculiare copertina, affidata, come nei precedenti lavori discografici del professore, a Capitan Artiglio che rilegge il capolavoro di Gustave CaillebotteStrade di Parigi, giorno di pioggia‘, instradando l’ascoltatore verso un affascinante mondo musicale governato dalla pioggia.

Quindici tracce, le cui produzioni sono affidate ai beatmakers James Logan, Gian Flores, XxX Fila e Red Sinapsy, e arricchite dagli scratch di due turntablist di lungo corso come Dj FastCut e lo storico collaboratore Dj Caster. Oltre alla corista Dia e alla collaborazione con Claver Gold e Rancore sulla traccia che ha anticipato il disco – Black Rain -, tra gli ospiti al microfono vi sono Inoki – definito dallo stesso Murubutu ‘una leggenda vivente’ -, Mattak, En?gma e Moder, un trittico di penne sopraffine, e l’inedita collaborazione con Lion D, esponente di spicco della scena reggae internazionale – che i lettori di più lunga data ricorderanno per le svariate apparizioni nel primo iconico album dei K Maiuscola

Nel complesso, un disco denso di contenuti, variegato sia sul fronte musicale sia della scrittura, tanto difficile da spiegare in una singola intervista, quanto da comprendere in un solo e superficiale ascolto. Un disco diverso. Atipico ad un primo ascolto. Legittimato da una scrittura incessantemente elegante. Grazie alla disponibilità di Murubutu, abbiamo provato ad entrarci dentro.

Evolversi anche al rischio di fallire

La prima volta che vidi un live di Murubutu era il 2016. Si esibiva insieme all’amico Claver Gold alla Stazione Gauss, a Pesaro, per un evento organizzato dai K Maiuscola. Mi ricordo che, insieme ad alcuni amici, venimmo in treno da Rimini. Saranno state presenti un centinaio di persone sotto al palco; fu un’esibizione esaltante. Ai tempi Murubutu era in una fase della sua carriera artistica che può essere tranquillamente definita ‘matura’: erano già passati oltre vent’anni da quando si avvicinò per la prima volta al mondo dell’hip hop e delle posse agli inizi degli anni ’90. Eppure, ascoltando Storie d’amore con pioggia, ho come l’impressione che da quel live ad oggi, siano cambiate tantissime altre cose. 

“Certo è indubbiamente cambiato tanto, in me e intorno a me. Negli ultimi anni, a livello musicale, ho acquisito ad esempio molta più esperienza nella gestione della mia voce, che rimane una voce particolare. Ho ricercato, e sto ancora continuando a farlo, una musicalità più piena, per ottenere uno sviluppo musicale mio personale. Un’altra differenza, che conseguentemente ricade sulla mia musica, riguarda i miei ascolti quotidiani: ascolto molto più new soul che hip hop. E poi, importantissimo, è cambiato anche l’intento, ovvero quello di produrre musica meno tecnica, più emotiva e melodica”. Dopo una breve pausa, aggiunge: “Del resto io sono sempre stato un grande fan di artisti come Wyclef – produttore e membro dell’iconico trio hip hop The Fugees (ndr) -, ad esempio, che ibridano molto il loro hip hop con soluzioni melodiche”.

È indubbio che album come Dove vola l’avvoltoio, pietra miliare hip hop firmata La Kattiveria Crew, ma anche Il giovane Mariani e altri racconti, primo disco da solista di Murubutu, delineino un prodotto musicale complesso: farlo è difficile, ascoltarlo è difficile, non c’è nulla di immediato che può essere compreso senza ricerca e ragionamento. Nonostante questo, negli anni si è formata attorno alla musica di Murubutu una piccola coorte di devoti a un’immagine del rap più profonda e sofisticata della media. Un rap meno immediato, meditato a lungo nel pensiero e nelle tematiche, che alla stragrande maggioranza delle persone risulta difficile anche da capire, etichettandosi conseguentemente come un prodotto di nicchia – per fortuna, mi permetto di aggiungere. Partendo da queste premesse, mi chiedo se l’evoluzione di scrittura e soprattutto di suoni che contraddistingue questo album, e che qualsiasi ascoltatore di lunga data è difficile non noti, sia dovuta alla volontà di voler arricchire di contenuti e letteratura un pubblico più vasto, magari ostacolato dai certi suoni ostici dei precedenti lavori.

Si tratta indubbiamente di un’evoluzione personale di cui rendo conto solamente a me stesso

“Credo che nel mio piccolo io avrei potuto mantenere un nutrito pubblico affezionato anche continuando a proporre storytelling nudi e crudi, come ad esempio nel mio secondo disco da solista, La bellissima Giulietta e il suo povero padre grafomane, che è pura e autentica narrazione sistematica; storytelling che continuano a piacere al pubblico e che io continuo a scrivere volentieri. C’è però la volontà come artista di evolversi, anche a rischio di fallire: credo sia giusto rischiare e sperimentare, credo fortemente che l’arte sia progressione incessante. L’evoluzione per questo non c’è solo a livello musicale, ma anche a livello di testi: nelle storie che narro, ad esclusione dei pezzi storici che non mi è permesso modificare più di tanto, non muore nessuno, e questo per i miei album è una novità. Il discorso si riaggancia a quanto detto prima: l’ho fatto perché credo che sia giusto evolversi, non solo a livello melodico ed espressivo, anche a livello di penna, che è poi la base di questo genere”.

Murubutu Cover album

E se il nuovo album di Murubutu non fosse sulla pioggia?

Con l’ascolto dell’odierno disco, mi si rafforza una sensazione che avevo già colto vagamente in Tenebra è la notte. Faccio riferimento al fatto che il filo conduttore più profondo dell’album, non sia tanto la pioggia, quanto il tempo. Nello specifico il viaggio nel tempo: viaggio in un tempo mentale, fatto di ricordi e sensazioni, e, allo stesso tempo, viaggio in un tempo fisico, fatto di scorci di mondi oramai perduti o proiezioni del futuro. È come se la pioggia, che sicuramente arricchisce gli scenari delle storie, incantevoli alle volte, temibile altre, fosse un adeguatissimo escamotage per parlare del tempo in maniera meno ostica, evitando un topic così complesso e sfuggevole. La pioggia viene scelta come medium narrativo attraverso cui sviluppare concetti complessi quali il valore della memoria, come si evince nelle due tracce che aprono e chiudono il disco – Ode alla pioggia -, o la metamorfosi dei luoghi, nonché fenomeni contemporanei come l’inquinamento, le disuguaglianze socio-economiche e la dittatura politica, trattati metaforicamente nell’immaginario dispotico nella città della pioggia, ambientazione delle tracce Black Rain e Black Rain pt.2, in cui, tra atmosfere cyberpunk, la decadenza è indubbiamente il sentimento maggiormente perpetuato, o ancora il disagio psichico, come nella storia di fantascienza narrata in Une Chrononaute à Paris.

“Hai perfettamente ragione! La mia idea iniziale era di incentrare l’album sul concept del tempo. Lavorandoci però, mi sono reso conto non solo che si trattasse di un tema oceanico, estremamente fugace, ma soprattutto mi ha fatto paura. C’era il rischio di andare a scavare troppo in profondità: avere a che fare con il tempo presuppone inevitabilmente avere a che fare con la propria fine. Ho pensato dunque che fosse meglio utilizzare un escamotage, come la pioggia, un tema più fluido e versatile, che ugualmente però mi permetteva di far rientrare in modo indiretto queste tematiche”.

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Alcune tracce su tutte rispecchiano esplicitamente questa volontà: Il migliore dei mondi, ad esempio, oppure la già citata Une Chrononaute à Paris, ma sopratutto Multiverso.

“Probabilmente Multiverso è la mia traccia preferita dell’album. Ho provato qui a fare un pezzo fortemente musicale e armonioso, seppur non ho né l’esperienza né gli studi per un tono di voce così melodico. Ho voluto provarci, ma non vi preoccupate che dal vivo le parti melodiche le canterà Dia (ride ndr). Non è uno storytelling stretto, ma assume la struttura di una lettera aperta, un flusso di coscienza”.

Ma Alessio Mariani ci crede alla possibilità di altre versioni dello stesso mondo, all’esistenza di universi paralleli al nostro?

“Personalmente sono molto affascinato dal viaggio del tempo e dal multiverso, così come di tutta la narrativa e il cinema che tratta questi temi. Non credo realmente e scientificamente all’esistenza del multiverso, ma ci credo filosoficamente. Credo, da un punto di vista logico, alla possibilità di dimensioni parallele. Non da quello reale”. 

Qui la mia curiosità vince sulla mediocrità di una domanda che so può risultare convenzionale – seppur in apertura di intervista avevo promesso ad Alessio che avrei rigorosamente evitato ogni domanda abusata. Hai a disposizione una macchina del tempo estremamente potente: puoi scegliere una qualsiasi epoca storica passata, ma una soltanto, e una sola ambientazione geografica relativa. Puoi viaggiare lontanissimo, oppure scegliere anni recenti; l’unico vincolo è ricordarti che la tua scelta non presuppone la figura dell’attento osservatore esterno, bensì quello del protagonista che in prima persona vive l’epoca scelta. Cosa scegli?

“Ci sarebbero veramente tantissime epoche che mi piacerebbe vedere e vivere. Probabilmente, se avessi le leggi della crononautica in mano, il primo mondo che vedrei è quello dei socratici minori. Emigriamo dunque nella Grecia antica, appena dopo la morte di Socrate: sarei affascinato nel parlare con Antistene e Aristippo di Cirene”.

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Dalla Legio XII fulminata agli amore spezzati dal Muro di Berlino

Alessio Mariani, conosciuto dagli amici di lunga data anche come M-teoria, rimane però sempre un inimitabile rapper cantastorie, e Storie d’amore con pioggia un disco ossessionato e invigorito dalle più disparate storie umane, un originalissimo romanzo narrato in note rappate. Sfrutto dunque l’occasione per immergermi nell’immaginario dell’autore, per intromettermi nel connubio tra rap e letteratura e conoscere meglio quei pezzetti di mondo, quelle immagini e quei personaggi alla base del disco. Apro con Markus ed Ewa, quinta traccia dell’album – nonché sul mio personalissimo podio. Si narra la storia di due giovani innamorati, separati dalla costruzione del muro, nella Berlino divisa degli anni ’60. La traccia viaggia temporalmente dalla costruzione del muro, sino al suo abbattiamo, oltre trent’anni dopo: nel mezzo, per arricchire il viaggio di notevoli dettagli storici, si cita anche la decisiva richiesta di Riccardo Ehrman, il corrispondente italiano dell’ANSA che favorì in modo deciso la caduta del muro. 

Markus ed Ewa è una storia ispirata ad un romanzo, il quale a sua volta è ispirato ad una storia vera. In due passaggi qualche stralcio di realtà si perde, ma in linea di massima la storia racconta il destino che ha accomunato non una, ma tante coppie. Come sai le mia non è mai una riproduzione pedissequa della fonte, ma parto sempre da una suggestione: in questo caso sono rimasto veramente folgorato leggendo un passaggio di un romanzo, che trattava degli amori destinati a sfiorire. Era tanto tempo che volevo trattare la questione del Muro di Berlino, che spesso viene sovrastata da eventi maggiori come l’olocausto o il fascismo, ma che ha segnato profondamente la storia dell’Europa e soprattutto delle persone che l’hanno vissuta. Ho letto tanti libri al riguardo, che mi hanno affascinato per la drammaticità delle storie che hanno accomunato tante coppie dell’epoca, storie romanzate certo ma vere nel loro dramma, che offrono un riscontro molto concreto, un ricordo vivo e reale. Nel 1989, quando cadde il muro, Markus ed Ewa si rincontrano, quasi miracolosamente, nei pressi della porta di Brandeburgo, ed entrambi si rendono conto che non è cambiato niente nel sentimento reciproco che provavano: questo finale lieto, per me toccante, risultava congruo con l’evoluzione di scrittura che stavo ricercando”.

Un’altra storia che mi ha impressionato per scenari e narrazione, è quella tra Ada e Nando, ambientata in Sud America. Nasce sull’ennesima variegata produzione di Gian Flores, è arricchita dall’incantevole voce di Dia nel ritornello, e racchiude una narrazione stupefacente di paesaggi. È la traccia dell’album che forse, più di tutte, rievoca un forte nesso con i lavori passati del professore, almeno sul piano della scrittura. 

Pentagramma d’acqua è indubbiamente uno dei pezzi più classici che potrebbe stare tranquillamente anche in qualche mio album precedente. Si inserisce all’interno del mio filone latino-americano, a cui ho già dedicato diverse tracce – come ad esempio La Bella Creola o Tornava l’Albatros (ndr) – e della cui letteratura cui io sono un amante. Personalmente stimo molto un giovane scrittore francese dalle origini sudamericane: si chiama Miguel Bonnefoy e ha scritto romanzi stupefacenti, tra cui Zucchero Nero, che è l’ispirazione per la storia che racconto. Anche in questo caso ho preso una costola della trama e l’ho sviluppata per una via personale. La narrazione è ambientata nella città più piovosa del mondo, che esiste veramente ed è in Colombia, e si fonda su un onirismo di fondo in bilico tra sogno o realtà: Nando esiste veramente o è solo un’illusione? Ada accetta veramente l’invito a seguirlo nei suoi viaggi, o è solo un finale immaginario scritto dalla stessa donna? Una frase più di ogni altra guida questa traccia:


La vita sa stupirci molto di più della letteratura. Soprattutto se è la letteratura a raccontarcelo

Mi concentro sull’oramai tradizionale ‘capitolo storico’ del disco: dopo le vicissitudini del re Cambise, la storia della Battaglia di Lepanto e il massacro di San Bartolomeo, qui troviamo la narrazione della dodicesima legione fulminata, legione romana costituita nel 58 a.c. da Gaio Giulio Cesare, protagonista della campagna in Gallia, il cui emblema era proprio il simbolo del fulmine.

“Io inserisco sempre una deformazione professionale, un pezzo prettamente didattico all’interno dell’album. In questo caso ho scelto un avvenimento che si lega indissolubilmente alla pioggia. Si tratta di un evento verificatosi sotto l’imperatore Marco Aurelio, quando la Legione XII era impiegata nella campagna contro i Quadi (popolo dell’alta valle del fiume Meno in Germania) e i Marcomanni, ed improvvisamente una incessante e prodigiosa pioggia, salvò una vessillazione della Fulminata dalla sconfitta, rianimando i legionari, permettendogli di rompere l’accerchiamento e respingere i barbari. L’episodio, denominato ‘Miracolo della pioggia‘ e riportato da diverse fonti, è rappresentato oggi anche sulla colonna di Marco Aurelio a Roma, alla scena numero 16, declinato come un miracolo voluto da Giove Pluvio. In questo caso la maggiore novità riguarda la produzione: ho sperimentato la narrazione storica su una base dalle sonorità drill, moderne, al fine di dimostrare, soprattutto al mio pubblico più giovane, che è possibile fare didattica anche attraverso la trap”.

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Storie d'amore con pioggia

Ad un primo ascolto Storie d’amore con pioggia appare come un album più ‘digeribile’ rispetto al passato. Ma è solo un’impressione. I livelli di lettura sono molteplici e, conseguentemente, quell’apparente semplicità che si può percepire a un primo ascolto, altro non è che un’evoluzione della scrittura. I rap-conti sono ambientati in tanti luoghi, prossimi o remoti, che hanno la pioggia come comune denominatore ma che differiscono per registri e suggestioni, risentendo l’influenza di narratori così diversi quanto perfettamente adeguati all’economia del brano: da Bradbury, nella traccia con lo stimato amico Moder, agli scrittori di fantascienza come Wells – considerato da molti padri del genere – e Dick, sino a scrittori geograficamente vicini a noi come Grazie Deledda o Camilla Salvago Raggi, scrittrice di poesie.

Insomma l’ascoltatore che nutre il desiderio dell’approfondimento, ad ogni ascolto è tempestato da una moltitudine di input che vanno dalle citazioni storico/geografiche, ai riferimenti pittorici nascosti tra le righe, alla scelta delle parole, alcune volte ricercate, altre desuete, sino ai tecnicismi presenti in ogni barra; la creazione di una serie di livelli di lettura stratificati aumenta lo spessore dell’opera, aprendo, ascolto dopo ascolto, alla possibilità di svelare sempre qualcosa di nuovo. Ogni traccia sembra, apparentemente, un mondo a sé. Eppure anche questa lettura può forse apparire frettolosa. Il disco richiede, per essere compreso fino in fondo, di essere ascoltato per intero, nella sua completezza. Ogni brano è stato scritto appositamente per soddisfare un’idea narrativa compatta: non è una raccolta di pezzi scritti in momenti diversi e con ispirazioni differenti, ma un viaggio dall’inizio alla fine. Mi appare questo come un’anomalia nel panorama del genere rap in Italia, dove ad oggi vengono richiesti sempre più contenuti, che spesso trascendono dalla musica stessa. Colgo dunque l’occasione per chiedere ad Alessio, che hai vissuto diverse epoche della storia della discografia, come vive le release allo stato attuale delle cose, facendo riferimento a tutto quello che include oggi la distribuzione di un prodotto musicale. 

“Io vengo dall’epoca dei vinili degli anni ’80, e quello rimane il mio riferimento. Di conseguenza continuo a produrre album come se fossero da incidere su vinile, su cassetta o su cd. Credo che tutto questo susseguirsi di singoli che sostituiscono gli album, distribuiti su piattaforme differenti, tolgano un po’ l’identità all’artista: un album è un’opera che ha un proprio senso logico nella misura in cui è stata concepita dall’artista, seguendo un ordine ed una tracklist non casuale. Non ho nulla contro quella che ad oggi viene denominata ‘musica  liquida’, ma scorporare tante canzoni, presentandole separatamente come scollegate fra di loro non è qualcosa che amo; preferisco rimanere ancorato alla produzione di un album compatto, che ha una sua concentrazione come può essere una raccolta di racconti di un libro. Storie d’amore con pioggia è stato pensato e realizzato su questa idea“.

All’interno di una carriera musicale così lunga e prolifica come quella di Murubutu, c’è mai stato il pericolo che l’ossessione di risultati prevalesse sulla passione per la musica? 

“Il fatto di avere un lavoro sicuro e sopratutto che amo, come quello dell’insegnante, sicuramente mi tutela dall’ansia nei confronti dei numeri, dal timore di fallire, e conseguentemente dal fare musica per soddisfare esigenze di pubblico. Da sempre faccio musica liberamente, seguendo le mie più autentiche attrazioni. Anni fa non avrai mai pensato di far uscire un album a 46 anni! Eppure sono qui, sono soddisfatto del prodotto musicale che ho realizzato, confermando, in primo luogo a me stesso, che se produco ancora musica è soltanto perché si tratta di una passione vera”.

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Studente, accanito lettore, alla continua ricerca di creatività. Dalla mentalità diversa da chi tergiversa.
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