
Gemello pubblica oggi, 21 gennaio 2022, il suo terzo album solista: La Quiete. Composto da 11 brani inediti – le cui produzioni sono state affidate a Sine, Marta Venturini, Ketama126, Neffa, Il Complemento Oggetto, Altarboy, Holden ed Esseho – il progetto è puramente autobiografico. È infatti un album intimo, riflessivo, a tratti cupo ma che non si preclude di avere momenti speranzosi. Una delle principali differenze rispetto ai suoi precedenti lavori è che stavolta Gemello si cimenta nel canto, facendolo suo e spostandosi leggermente verso la scena indie. Il sound, che lascia intuire le varie influenze musicali di Andrea, è vario ma risulta coeso. Queste influenze si possono notare anche nella cover realizzata da Niccolò Berretta.
Al progetto hanno preso parte, prestando le loro voci: Coez, Gemitaiz, Carl Brave, Ketama126, Mostro, Victor Kwality, Kinder Garden, Il Complemento Oggetto, Holden ed Esseho. Gazzelle invece ha scritto il ritornello di Come se niente fosse.
Abbiamo parlato di tutto questo, e anche di tanto altro (ad esempio: arte, poesia, Truceklan), tramite una videochiamata su Zoom. Il risultato della nostra chiacchierata lo trovate di seguito, ma prima mettete in play La Quiete. Buona lettura!
Ciao Gemello! Il titolo dell’album, La Quiete, è un omaggio al gruppo post-hardcore romagnolo. Come mai hai scelto di omaggiarli, cosa rappresentano per te?
Sono sempre stato appassionato di tanti generi musicali, ho sempre suonato la chitarra e sono un collezionista di dischi. Ho sempre seguito la scena italiana hardcore, punk, post rock ecc. Ci sono un sacco di gruppi leggendari e i La Quiete mi stanno particolarmente a cuore. Dopo in The Panchine, ho fatto il mio primo disco solista – Non parlarmi d’altro – e dentro c’erano i sample di gruppi come i The Cure, The Notwist.
Ho sempre avuto un animo un po’ noise. Alla fine, quando ho scelto il titolo dell’album, eravamo al Circeo e quando dalle mie playlist partiva qualche pezzo dei La Quiete mi ricordavo che ci stavo particolarmente in fissa, che ho tutti i loro LP e poi piaceva proprio la parola “quiete”. Proprio lo spelling. Ho voluto omaggiarli perché sono un gruppo che mi ricorda un bel periodo della mia vita. E poi mi piaceva l’idea che quando su Spotify viene digitato “Gemello La Quiete” nei risultati possano uscire anche loro e quindi essere “vicini di banco”, anche se sono due generi diversi.
Passando alla cover, vuoi dirmi qual è il concept grafico che ci sta dietro?
Con Valerio Bulla, grafico e musicista storico del gruppo I Cani, abbiamo deciso di usare delle foto che aveva fatto Niccolò Berretta in altri contesti. Niccolò le ha modificate inserendole in un contesto di fiamme, fuoco e bianco e nero. Ci piaceva giocare sul contrasto del titolo con la cover mezza sfocata con cavalli, la macchina che mi ricorda un po’ la cover di Tweez degli Slint, le fiamme che mi ricordano i Rage Against The Machine.
L’idea di fondo era quella di non fare una copertina troppo rilassata, perché altrimenti accostato al titolo sarebbe sembrata una cosa chillout. Invece la quiete è sempre momentanea.
Sei sempre stato un po’ un outsider sia all’interno della scena rap che all’interno del TruceKlan, quindi queste sonorità che tendono all’indie non mi sorprendono affatto. Come ti sei trovato a lavorare in studio con diversi musicisti?
È stato figo. Più vai avanti più l’etichetta ti da più budget e quindi più possibilità di sperimentare. Abbiamo affittato una casa al Circeo dove abbiamo fatto il disco e lì sono venuti i vari musicisti e produttori. Consapevole del fatto che sarebbe uscito il disco di Noyz con il nostro cult Verano Zombie rifatto nella Parte 3 e il pezzo con Mostro – e quindi la componente hardcore già c’era – mi piaceva l’idea di fare un disco con varie sonorità e più suonato. Avevo anche voglia di sperimentare con il canto, di fare i ritornelli e mettermi in gioco. È un disco maturo e libero dal punto di vista della sperimentazione.

A proposito: come ti sei trovato a cantare? Hai preso delle lezioni?
Sì, ho fatto lezioni di canto. Di base avevo già dentro l’intonazione ma sono sempre stato poco sicuro di me, e fare lezioni di canto ti sblocca. È stato come andare in analisi.
Poi ho degli amici che sono dei grandi ritornellari, quindi mi sono raccomandato a loro. Ho avuto grandi maestri come Gazzelle – che ha scritto il ritornello di Come se niente fosse – e Coez. Il supporto dietro non mi è mancato.
Però nonostante questo cambio di direzione, i riferimenti al rap sono tanti. In Pipistrelli c’è anche una citazione al gruppo In The Panchine e al tuo vecchio nickname Gmellow. Hai un po’ nostalgia di quei tempi?
Sì, certo. Fa parte del mio percorso e mi piace che quando gli amici ascoltano le cose nuove trovino citazioni ai pezzi vecchi, oppure gente che mi conosce da poco va a ritroso ascoltando i miei dischi precedenti. È il mio disco, la mia festa e io ci tengo che chiunque lo ascolti – vecchi amici, gente come te che mi segue da anni e che ha una cultura di musica underground oppure uno che mi ascolta per la prima volta. Volevo che si vedesse tutto me stesso.
E di me stesso fa parte la mia infanzia, la mia storia, il passato, il presente, ma anche il futuro. È un disco autobiografico. Ovvio che mi mancano le cose vecchie, ma so che erano culto. Possiamo fare Verano Zombie 3, Verano Zombie 4 perché è divertente beccarci e portare avanti queste cose. È come una storia d’amore vecchia, sicuramente ti manca, la ricordi con affetto ma non vai a ripescarla.
Pur essendo incredibilmente vario, l’album risulta ben amalgamato e coeso dall’inizio alla fine. Qual è il fil rouge che lega le varie canzoni?
Le canzoni sono state registrate un po’ a Milano, un po’ a Roma, un po’ al Circeo. Per come sono fatto io volevo ci fosse un ordine mentale e musicale. Con l’inizio un po’ malinconico che poi diventa cupo nel mezzo, ma che nel finale diventa malinconico e speranzoso, più musicale.
La prima canzone ha un inizio con la base vuota e io faccio uno speech. La canzone finale finisce con un assolo. Incosciamente era una cosa che gestivo, ma nel pratico non sapevo cosa stessi facendo esattamente.

Quindi fai dischi come un tempo, che seguono un percorso e che non contengono solo singoli da playlist..
Sì, essendo vecchia scuola mi piace che il disco sia un viaggio, come un film. Non sono un boomer, anche io shufflo (ride, ndr). Sicuramente adesso funziona molto di più fare singoli. Ma sono il primo che se compra un disco, ad esempio l’ultimo di Marracash, e mi fisso con una canzone, in questo caso Dubbi, invece che ascoltarlo tutto, per un mese ascolto solo quella canzone.
Però sicuramente mi piace avere un ordine e l’idea che ci sia un antipasto, un primo, un secondo, il dolce. Mi piace che ci sia una struttura ciclica.
Il modo di scrivere per immagini e metafore di Gemello è, per molti versi, paragonabile all’ermetismo. Mi ricorda alcune poesie di Quasimodo. Ti rivedi in quella corrente letteraria che voleva rendere la poesia “pura”, libera da ogni finalità pratica e senza alcuno scopo educativo o pedagogico?
Sì. Ho sempre scritto in questo modo per l’influenza dei libri letti – ad esempio quelli di Carver -, della poesia che mi ha sempre riempito, ma anche per i film con le voci fuori campo. Sicuramente mi ci ritrovo anche se non è voluto, e mi sento anche fico e onorato di stare nella squadra di Quasimodo, Montale o Carver piuttosto che stare in quella di Baudelaire (ride, ndr).
Però sai, è sempre difficile immettersi in una corrente, anche con i quadri. Penso che se ti danno dei colori o della musica, per quanto tu possa scopiazzare o ispirarti alla fine fai sempre le cose tue. Alla fine, quindi, faccio la cosa mia che è bella, ma anche confusa. Da una parte è una condanna, ma dall’altra sai che è quella la tua essenza.
Usi lo stesso approccio per le due arti?
L’approccio di quando faccio quadri è un po’ più automatico, più naturale, meno in guerra. Invece con le canzoni è sempre un mettersi in gioco e dire “cazzo, non ci credo che ho finito questa canzone, non ci riuscirò mai più!”. È una cosa più d’impatto, infatti mi emoziono ogni volta.
Perché puoi usare tutto quello che vuoi, ma in realtà scegli esattamente cosa usare nelle canzoni. Invece nei colori è più naturale. No, che non siano altrettanto potenti. Però dal punto di vista creativo, le canzoni sono un sport più difficile.

Nel progetto di Gemello sono presenti diversi featuring e diversi produttori: come hai scelto i nomi da coinvolgere?
È stato tutto naturale. Lo studio di Sine è dove ci sta lo studio di Carl Brave, quindi capitava che mentre stavamo ad ascoltare beat o provini Carletto si affacciava in studio per salutarci e ascoltando una determinata cosa diceva “pure io voglio cantarci su questa!”.
Oppure uscivamo di sera e facevo sentire le cose ai miei amici e ci scambiavamo idee e quindi veniva naturale coinvolgerli. Oppure andavo da Ketama, lui mi faceva ascoltare il suo disco e le basi ancora vuote e io gli dicevo “cazzo, ma dalle a me! Famolo insieme”.
Ho conosciuto Neffa; mi sono fatto scrivere il ritornello da Gazzelle a casa sua mentre fuori diluviava: incredibile vedere con quanta professionalità e con quanta semplicità lo ha tirato fuori.
Gemello ama l’arte a 360°; ti chiedo di farmi 3 nomi di artisti, anche in campi diversi, che hanno contribuito a fare di te la persona che sei oggi.
Più che artisti ti faccio i nomi di alcune persone: Evelina Ambrogio, che è mia sorella e che da piccolo mi faceva vedere i film; Benassa che mi faceva ascoltare i dischi di Joe Cassano e mi ha portato a fare il rap; Lorenzo Ambrogio, mio fratello, che mi faceva ascoltare la musica elettronica e techno, situazioni che mi hanno portato a conoscere Sine, Noyz e tutti gli altri ai rave.
