
Oro blu è il nuovo album dell’artista genovese Bresh, disponibile su tutte le piattaforme digitali e nei negozi di dischi a partire da Venerdì 4 Marzo 2022. Anticipato della ballad Andrea, preceduta dal singolo di grande successo Angelina Jolie e da Caffè (inedito nel quale, per la prima volta, il giovane allude al disco) questo progetto, già dal titolo, volendo riprendere l’immaginario piratesco tanto caro a Bresh, è un forziere che nasconde mille tesori.
Oro blu riprende l’espressione utilizzata per indicare l’acqua che, nonostante sia un elemento vitale, rappresenta spesso un interesse economico tale da essere paragonato ad un bene di mercato come l’oro, svelando quanto anche il necessario abbia un prezzo. E su ciò che è necessario Bresh si interroga lungo il disco, mentre si fa trasportare dalle onde di quel mare che non solo riecheggiano nel titolo e nella copertina, ma hanno sempre fatto da sfondo alla sua vita, iniziata a Genova e a questa città per sempre legata.
Ad accompagnare Bresh in questo viaggio tra le onde alla riscoperta dell’essenziale, due amici di sempre: Rkomi e Izi, provenienti dal suo stesso collettivo della Drilliguria, wave genovese che, con un flow continuo, narra la vita quotidiana quasi sotto forma di poesia cantautorale marinaresca. Ma non solo. L’album, infatti, vede la collaborazione di alcune tra le personalità più apprezzate della scena urban, ovvero Massimo Pericolo, Tony Effe e Psicologi e anche di una artista pop la cui voce ammalia come quella di una sirena, cioè Francesca Michielin, nonché la firma in una traccia del produttore Greg Willen.
Ogni incontro artistico contribuisce ad aggiungere rotte sonore a un album-barca sapientemente capitano da SHUNE e Dibla. Arrampicato sull’albero maestro, Bresh continua il percorso intrapreso con i lavori precedenti: inglobare una visione più poetica dell’universo rap nello standard dell’hip hop fatto di linguaggio urban. Per farcelo raccontare, e salpare anche noi alla ricerca del necessario, abbiamo deciso di intervistarlo.
Ciao Bresh, benvenuto su lacasadelrap.com! L’annuncio di Oro blu è arrivato insieme all’ultimo singolo, ma già in Caffè cantavi “Oro blu perché anche il necessario ha un prezzo”. Se intendessimo la musica come necessaria per te, come urgenza espressiva, quale sarebbe il prezzo da pagare per dedicarti a questa arte?
Bella domanda! Forse la più bella che mi abbiano fatto oggi! Chi, come me, fa musica per necessità di espressione, senza considerare il giudizio esterno nel processo creativo, forse paga il prezzo di denudarsi. Si mostra sensibile, fragile, debole. In una scena rap che predilige tanti aspetti, magari machisti o semplicemente più street, in cui si deve mostrare una certa forza, spogliarsi così non arriva a tutti allo stesso modo. Quando ho pubblicato Andrea, per me è stato come spogliarmi nudo di fronte a tutti e mettermi a correre in piazza. Naturalmente la gente non ha questa percezione, ma la mia è quella. La domanda è molto azzeccata, perché quando si fa musica personale, quando la si scrive, non ci si rende conto che poi la ascolteranno tutti. In quel momento è tua, ma arriva il tempo di condividerla. Col tempo, in ogni caso, ho scoperto che denudarsi in musica toglie un po’ di zavorre dalla vita.
Riflettendo ancora sul titolo del disco, Oro Blu, l’immagine evocata è quella del mare. L’immaginario portuale è sempre stato vivo nei tuoi testi, ma stavolta il mare sembra ancora più connesso all’idea di mutevolezza, soprattutto in Ulisse. Ti va di spiegarci questa connessione?
Oro blu rimanda ovviamente all’acqua, che è l’elemento che più mi contraddistingue, anche per il suo carattere mutevole. L’acqua prende la forma del contesto in cui sta, ma non cambia la sua sostanza, al massimo si mescola con altro. Tra l’altro, il senso di dinamica costante, di continuo cambiamento, è un po’ una delle leggi vitali: il fatto che nulla si distrugge e tutto si trasforma è una grande verità. Il punto è un po’ andare a raccogliere l’essenziale e poi srotolarlo, rispiegarlo, con la mia forma.

Sempre in Ulisse, parli del volerti fare trasportare dalla corrente verso luoghi nuovi insieme al provare a sentirti a casa ovunque. In Svuotatasche canti di ciò che sta fuori e ciò che sta dentro casa e tutto il pezzo La presa B e la presa male è costruito su opposizioni. Insomma, nei tuoi testi, si accostano spesso situazioni che possono sembrare contrastanti, come la provincia da cui provieni e la periferia che hai osservato. La tua musica, allora, punta ad attenuare una serie di contrasti?
È esattamente così! Si tratta di creare una sorta di ponte, una congiunzione tra parte e controparte, e analizzare un po’ la bilancia delle cose. È dare voce a tutti i punti di vista immaginabili in una determinata situazione, da un lato per non farci sentire soli in certe circostanze e, dall’altro, per dire come “guarda che non sei il centro del mondo, non esisti solo tu”. C’è un po’ una doppia faccia e mi si potrebbe dire di non essere né da una parte né dall’altra, ma anche nella vita accade sostanzialmente questo.
A proposito di visione complessiva della musica, hai raccontato che Andrea, primo estratto da Oro Blu, ne sia un manifesto. Molti lo hanno ricondotto all’omonimo pezzo di De Andrè, verso cui non hai mai nascosto ammirazione. Potrebbe, invece, essere focalizzato su un insegnamento più generale ci ha lasciato Faber, cioè l’andare “in direzione ostinata e contraria”?
È proprio quello. Io non mi sono mai ispirato ad un pezzo in particolare, tantomeno di De André, però l’ho ascoltato per tutta la vita. È un po’ come accade per i rapper oggi: nessuno pensa a copiare Marra, ma tutti lo abbiamo ascoltato e, probabilmente, alcune barre vengono scritte proprio grazie alla sua musica. Si tratta di influenze involontarie che, però, ci sono e sono anche forti. Se ho ascoltato mille ore di De André durante la mia vita, in qualche modo la mia musica può averne risentito. Poi, al di là di tutto, lui è un maestro, quindi quando parlo di lui lo faccio sempre con molta cautela, considerando che per me sia inarrivabile. Anche solo il paragone mi sembra quasi un’offesa nei suoi confronti, vista la sua grandezza.
In realtà non è la prima volta che le strofe di Bresh vengono associate alla poetica di De André, così come spesso accade per quelle dei tuoi amici genovesi. Al di là dell’influenza artistica dovuta alla provenienza, credi sia anche dovuto ai vostri riferimenti sociali e politici che sono poco comuni nei testi della nuova scuola nostrana?
Può essere che sia dovuto a questo, anche se magari in altri testi i riferimenti ci sono ugualmente, posti in maniera diversa. Tante volte si può pensare che nessuno dica niente all’interno della nuova scena, ma in realtà ci sono tanti spunti che non vengono colti. Ci si ferma spesso alla forma superficiale, ma non è tutta spazzatura, anzi! In ogni caso, forse l’accostamento tra la scuola genovese e quel tipo di cantautorato è dovuta al comune contatto con la realtà, al dividere la voglia di diventare artisti, di raggiungere il mondo dello spettacolo da quello che è il tessuto sociale comune: c’è anche chi non vuole arrivare da nessuna parte e quello che fa lo fa per campare. Forse è tutta questa intermediazione che noi abbiamo rispetto agli altri. Ci caratterizza molto l’esaltazione di alcune cose che sono normali per far capire quanto sono belle. Raccontare queste cose, senza puntare chissà dove per non fare la fine di chi troppo vuole e nulla stringe, di chi esalta alcuni miti e, alla fine, si ritrova con nulla in mano.
La dimensione sociale è molto viva nella tua musica. Si nota in Svuotatasche, quando dici che saresti disposto anche a perdere qualcosa per strada, consapevole che qualcun altro potrebbe ritrovarla e trarne vantaggio. E si riscontra anche nel fatto che molte tracce di Oro blu parlino di relazioni sociali. Esplorare tutti questi rapporti è un modo per comprendere meglio te stesso e, quindi, il mondo?
Direi proprio di sì. Fare musica per me è un po’ come affrontare una seduta psicanalitica. E ho notato che questo è un concetto che condividono anche altri artisti. Sicuramente le relazioni con gli altri aiutano a conoscere meglio se stessi, perché dall’altro si ha una risposta e anche un metro di paragone, un confronto. Il titolo del disco, Oro blu, non a caso ha una dimensione molto orizzontale, direi collettiva.
Non perché io sia un filosofo, sono solo un ragazzo che sta vivendo questa generazione e, se analizzo il tutto da fuori, sta cercando di raccogliere il più possibile informazioni emozionali e sentimentali cercando di trovarne un comun denominatore. Alla fine, sono solo un osservatore della realtà. Osservo la realtà, la analizzo e cerco di spiegarla con parole mie a chi mi ascolta che magari può pensare di essere l’unico a vedere le cose in un certo modo oppure può non riuscire a spiegarsene altre.

Parlando proprio di rapporti, veniamo alle collaborazioni di Oro blu. Questa volta al tuo fianco non ci sono solo gli amici di sempre, ma anche personalità con cui non avevi lavorato prima. Come sono nati questi incontri artistici?
Inizialmente è stato un po’ difficoltoso, perché a causa della pandemia non ci son state troppe occasioni di incontrarsi e confrontarsi dal vivo. Rkomi e Izi facevano già parte della mia famiglia artistica, quindi per loro non è stato un problema. Con Massimo Pericolo, invece, nonostante ci conoscessimo, non c’è stata occasione di beccarci dal vivo per parlare di questa collaborazione, quindi son intervenuti i nostri manager, ma è stata comunque una cosa naturale, perché entrambi eravamo entusiasti di collaborare.
Quello con Tony Effe è un incontro artistico molto particolare, per i generi che facciamo, ma basato su un’amicizia nata in giro per Milano. La scelta di Francesca Michelin è dovuta al fatto che secondo me la sua voce stesse benissimo su quel brano e lei è stata super disponibile a collaborare. Per quanto riguarda gli Psicologi, li ho voluti coinvolgere perché mi piace tanto il modo che hanno di parlare ai giovani e li stimo musicalmente per le loro sonorità e per la qualità dei loro live.

La varietà delle collaborazioni corrisponde ad una grande varietà musicale, tanto che in Oro blu ritroviamo anche un pezzo dance. Credi che la tua identità artistica sia legata al non avere paura di sperimentare forme nuove di raccontarti?
Sì, io amo dissacrare, smontare un po’ le cose. Credo che, rispetto a me stesso, io abbia dissacrato un po’ anche l’immagine del rapper, quindi sperimentare molto è una sorta di conseguenza. In Amore io e Greg Willen abbiamo spaziato tanto a livello sonoro e spero che questo non venga visto come qualcosa di forzato, come una ricerca alla hit, perché ci stavamo solo divertendo. Buttarsi sul generi diversi è puro divertimento, non cercare di andare incontro a un determinato pubblico. Io ho un range di ascolti molto ampio e questo si riversa anche nella mia musica. Tra l’altro oggi il panorama musicale è sempre più fluido.
Abbiamo parlato molto di cambiamenti e mutevolezza. Ma cosa vorresti, invece, che restasse di questo Oro Blu a chi lo ascolta? Cosa vorresti si portassero di Bresh nel loro Svuotatasche?
Spero semplicemente loro stessi, le loro ragioni, la loro voglia di essere contenti, un po’ di serenità. E di me, magari, il biglietto di un concerto!